6 febbraio 2012

Furia (Fritz Lang, 1936)

Furia (Fury)
di Fritz Lang – USA 1936
con Spencer Tracy, Sylvia Sidney
***1/2

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele, Paola, Ilaria, Costanza, Ginevra, Eleonora.

Il primo film americano di Lang – che era fuggito da poco dalla Germania nazista – è ispirato (pare) a un fatto di cronaca e soprattutto a un’inquietante statistica, citata nella stessa pellicola: nei 45 anni precedenti, negli Stati Uniti si erano verificati più di 6.000 casi di linciaggi di massa, nella maggior parte dei quali i responsabili non sono mai stati identificati né condannati. L’onesto garagista Joe (Tracy), proprio alla vigilia delle sue nozze con Kate (Sidney), viene scambiato per un rapitore di bambini e portato in carcere nella cittadina di Strand, in attesa di giudizio. La voce del suo arresto si sparge per il paese, e ben presto la folla assalta la prigione per farsi giustizia da sola. L’edificio viene dato alle fiamme, e soltanto dopo il suo crollo si scoprirà che l’uomo era innocente. Miracolosamente scampato all’incendio, e ritenuto morto da tutti, Joe medita una crudele vendetta, facendo in modo che ventidue dei cittadini di Strand vengano processati e condannati a morte per il suo omicidio. Il titolo “Furia” può dunque riferirsi tanto alla follia omicida della massa quanto all’ira vendicativa del protagonista. Cupo thriller che il lieto fine (imposto dai produttori, fra i quali figura Joseph L. Mankiewicz) non riesce completamente a edulcorare, il film è un impietoso ritratto della provincia americana, di cui descrive la brutalità e la violenza repressa (in contrasto con la visione ottimistica e la fiducia nel popolo che caratterizza da sempre la cultura degli Stati Uniti) e la consuetudine di farsi giustizia da soli (così diffusa allora del paese, soprattutto nelle regioni del Sud e del Midwest). Sfiorando temi già trattati nelle sue pellicole tedesche (in particolare “M, il mostro di Düsseldorf”), Lang approfondisce in particolare il concetto a lui caro del potenziale assassino nascosto in ciascun essere umano (impagabile la scena del barbiere che racconta di essere talvolta preso dall’impulso di tagliare la gola ai suoi clienti), che si tratti di un singolo o di una folla (e qui la mente corre alle celebre pagine manzoniane sulla massa che agisce senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni), un tema che tornerà a più riprese anche nei lavori successivi, da “Sono innocente” a “La donna del ritratto”. Da notare che la cagnolina Rainbow è interpretata dalla stessa “attrice” (Terry) che tre anni dopo sarà Totò nel “Mago di Oz” di Victor Fleming. La scena in cui l’immigrato rivendica di conoscere la costituzione degli Stati Uniti meglio di coloro che in America ci sono nati, avendo dovuto studiarla per ottenere il visto d’ingresso, fa evidentemente riferimento all’esperienza dello stesso Lang.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Film magistrale, soprattutto se lo contestualizziamo. Fuggito dall'esaltazione pericolosa delle masse della Germania nazista, Lang non fa l'errore di sposare il "buonismo" americano e delinea lucidamente il nascere e il divampare nella folla di quelle emozioni rimosse e violente che si annidano sempre nell'animo umano e vengono alla prima occasione proiettate sul mostro di turno.
Canetti nella sua opera fondamentale "Massa e potere" ne analizza lucidamente gli aspetti e le conseguenze. C'è da dire che, per lo stesso meccanismo, anche gli stati emotivi positivi sono contagiosi e alle volte il "furor di popolo" è a servizio di lotte nobili e di sacrosante rivendicazioni, vedi ad esempio come persino Gandhi ha utilizzato le masse coinvolgendole nella lotta all'impero britannico attraverso la "disobbedienza civile".

Christian ha detto...

In effetti Lang, anche nei suoi film americani (ingiustamente sottovalutati, a mio avviso, rispetto ai capolavori girati in Germania), mantiene sempre una visione critica e distaccata dell'American way of life. Non si integrerà mai completamente, a differenza di tanti altri esuli che addirittura modificarono il proprio nome per renderlo più "americano", come Billy Wilder o William Wyler (e dire che "Fritz" era il nome tedesco per antonomasia, e non credo fosse molto popolare portarlo negli anni della Guerra).