Close up (Abbas Kiarostami, 1990)
Close Up (Nema-ye Nazdik)
di Abbas Kiarostami – Iran 1990
con Hossain Sabzian, Hossain Farazmand
***1/2
Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli, con Eleonora, Paola, Marta, Sabrina.
Spacciandosi per il celebre regista Mohsen Makhmalbaf (ai tempi reduce dal successo de “Il ciclista”, e in seguito autore di “Viaggio a Kandahar”), un operaio disoccupato (Hossein Sabzian) conquista l'amicizia dei membri di una ricca famiglia di Teheran, gli Ahankhah, e inizia a frequentarli assiduamente, suggerendo di usare la loro casa come set per il suo prossimo film e promettendo anche un ruolo da attore a uno dei figli. Scoperto e arrestato, ammette la truffa ma spiega anche di non aver avuto cattive intenzioni o secondi fini, se non quello di "vivere" nel ruolo che aveva sempre desiderato. Kiarostami ha avuto l'idea di realizzare un film sulla vicenda dopo aver letto la notizia su un giornale. Il risultato è una vertiginosa “riflessione sul potere del cinema”, come l’ha definito Nanni Moretti nel suo cortometraggio “Il giorno della prima di Close Up”; il film più metacinematografico della cinematografia più metacinematografica di tutte, quella iraniana (basti pensare a titoli come “Lo specchio”, “Pane e fiore”, “Sotto gli ulivi” o “Salaam Cinema”); il capolavoro “filosofico” (più che neorealista) del regista; ma anche molto altro (una profonda indagine sull'identità, per esempio, o sull'ossessione per l'arte). A parte le scene del processo, che sono reali (ma Kiarostami era presente con una sua telecamera per riprendere l’udienza, e tutti ne erano consapevoli), il resto è stato ricostruito con l’aiuto degli stessi protagonisti del fatto, che dunque interpretano sé stessi. In poche parole, Sabzian recita nel suolo di sé stesso che recita nel ruolo di Makhmalbaf: come credergli, allora, quando afferma “In questo momento non sto recitando?”. Oltre a lui, però, anche gli altri attori sono contemporaneamente "veri" (interpretano sé stessi, ripropongono ciò che è successo realmente) e "fasulli" (si tratta comunque di una messa in scena): tutti recitano una parte, anche quando in realtà non lo fanno, come in una sorta di "falso documentario". Per questo motivo "Close Up" (il titolo significa "primo piano", "inquadratura ravvicinata": ma non sempre i dettagli si distinguono meglio da vicino!) è un complesso intreccio fra realtà, finzione e metacinema, con tanto di messa in scena spoglia ed essenziale, e persino di "finti" tempi morti – come nella sequenza della lunga attesa dell'autista del taxi davanti alla villa della famiglia Anankhah (con l'interminabile inquadratura della lattina che rotola lungo la strada) – o "finti" problemi tecnici (l'audio che va e viene nella celeberrima scena finale, quella in cui Sabzian e il "vero" Makhmalbaf viaggiano in motorino per le strade di Teheran; da notare che la stessa "trovata" dell'audio difettoso sarà riproposta da Jafar Panahi ne "Lo specchio"). Molto interessante anche il sottotesto sociale, che illustra la forza del cinema e l'importanza che questa forma d'arte investe per ampi strati della popolazione, non importa se si tratta di poveri (come Sabzian) o di benestanti (come gli Ahankhah): per tutti il cinema è una fonte di sogni, di speranze, un modo per allargare la propria visione del mondo e per ampliare i propri orizzonti, anche al punto di ingannare o di lasciarsi (consapevolmente?) ingannare. A un certo punto, alcuni membri della famiglia affermano addirittura di aver presto compreso di trovarsi di fronte a un truffatore, ma di aver continuato a far finta di crederci pur di permettere agli altri parenti (come la madre, per esempio) di proseguire a vivere nel loro sogno. In un paese pieno di difficoltà contingenti (pur ricchi, anche i figli degli Ahankhah hanno problemi nel trovare un lavoro; entrambi sono laureati in ingegneria, ma il maggiore si è adattato a lavorare in un panificio mentre il secondo è disoccupato), l'idea di diventare sia pure per un breve momento un attore o un regista può essere molto allettante: e chissà come i vari personaggi hanno reagito alla richiesta di Kiarostami, quando ha proposto loro di realizzare davvero un film sulla loro vicenda. Nota a margine: divertente l'incipit con il giornalista con il mito di Oriana Fallaci (il film precede di oltre dieci anni l'attentato delle Twin Towers e l'uscita de "La rabbia e l'orgoglio", ovviamente).
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