Le avventure di Tintin (S. Spielberg, 2011)
Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno
(The adventures of Tintin)
di Steven Spielberg – USA/NZ 2011
con Jamie Bell, Andy Serkis
***
Visto al cinema Colosseo (in 3D), con Marisa.
Attraverso l'ormai collaudata tecnica del performance capture, con cui la recitazione degli attori viene utilizzata per dar vita a personaggi in animazione digitale (già sperimentata da Robert Zemeckis nei suoi ultimi lavori ma in questo caso ben più giustificata, visto che consente di mantenere lo stile caricaturale e stilizzato del fumetto originale senza sacrificare il realismo dell'azione e delle ambientazioni), la coppia Steven Spielberg-Peter Jackson (co-produttori, con il secondo che si è già candidato a dirigere il sequel) porta sul grande schermo uno dei più fortunati e popolari personaggi d'avventura del secolo scorso, il "Tintin" di Hergé, maestro della bande dessinée franco-belga, le cui pagine vengono integrate con due elementi che giocoforza gli mancavano, ovvero tridimensionalità e movimento. Trattandosi a tutti gli effetti di un film d'animazione, è difficile dunque riconoscere (e il discorso vale ancora di più per la versione doppiata in italiano) gli interpreti che si celano dietro le fattezze dei vari personaggi: Jamie Bell per l'intrepido reporter Tintin, Andy Serkis per l'alcolizzato capitano Haddock, Simon Pegg e Nick Frost per la coppia di detective pasticcioni Dupond e Dupont (grazie al cielo sono stati mantenuti i nomi francesi, al posto di quelli americani Thompson e Thomson), Daniel Craig per il malvagio Ivan Sakkarine, e così via. Il cane Milù, invece, è ovviamente del tutto digitale. Dopo una bella sigla di apertura, la pellicola si apre con un diretto omaggio a Hergé (è proprio lui, infatti, il pittore che fa un ritratto – in perfetta ligne claire! – a Tintin al mercato). Partendo dal mistero che circonda un modellino di veliero del diciassettesimo secolo, ci troviamo poi catapultati in piena avventura vecchio stile, fra viaggi per mare, per aria e per terra (fino al deserto del Marocco) alla ricerca degli indizi che rivelano l'ubicazione di un tesoro depredato quattro secoli prima dal pirata Rackham il rosso.
Dovendo selezionare un soggetto fra i 23 albi a fumetti che compongono la saga di Hergé, gli sceneggiatori hanno scelto una delle storie più belle, quella che a quanto pare era la preferita dello stesso disegnatore belga: "Il segreto del liocorno", prima parte di una storyline che prosegue (e proseguirà nel secondo film) nell'albo "Il tesoro di Rackham il rosso". L'hanno però fusa con un'avventura precedente, "Il granchio d'oro", in cui si celebra il primo incontro fra il giovane protagonista e quella straordinaria spalla che è il capitano Haddock. Il lavoro di adattamento dal fumetto al film mi è parso esemplare, e poco importa se alcuni dettagli delle storie originali sono stati modificati (su tutti il ruolo di Sakkarine, che si rivela essere addirittura un discendente del pirata Rackham): la pellicola funziona su più piani, da quello cinematografico (come molti hanno detto, la collaborazione con Jackson sembra aver ringiovanito Spielberg, riportandolo ai livelli dei primi Indiana Jones) a quello del divertimento e dell'azione (di questa, a dire il vero, ce n'è fin troppa: dopo la magnifica scena della fuga dal palazzo dello sceicco, realizzata con un lungo e spettacolare piano sequenza, si è talmente stremati che ci sarebbe voluto più tempo per riprendere fiato; e invece quasi subito comincia lo scontro finale al molo, con un combattimento a basi di gru che mi ha ricordato quello fra le scavatrici di una famosa storia di Carl Barks). Viene persino colta l'occasione per introdurre personaggi del corpus delle avventure di Hergé che non erano presenti nelle storie selezionate, come la cantante lirica Bianca Castafiore (che però non si esibisce nel pezzo che più l'ha resa celebre, l'aria dei gioielli dal "Faust" di Gounod, bensì intona "Je veux vivre" dal "Roméo et Juliette", un'altra opera del compositore francese, peraltro preceduta – chissà perché – dall'introduzione della cavatina di Rosina nel "Barbiere di Siviglia"), mentre altri (e penso al mitico scienziato Trifone Girasole) dovranno attendere la prossima pellicola, che visto il titolo annunciato – "Prisoners of the sun" – fonderà verosimilmente il già citato "Il tesoro di Rackham il rosso" con la saga de "Le sette sfere di cristallo".
4 commenti:
Credo che con questo film Spielberg sia riuscito ancora una volta (come del resto ha già fatto in innumerevoli occasioni in passato, basti pensare a E.T., Indiana Jones e via dicendo) a riportare il cinema ad una dimensione ludica, gioiosa, divertente. Come ho scritto da me, ho apprezzato molto questo film, che, nonostante abbia qualche difettuccio (forse qualche autocitazione di troppo, e la trama a volte un pò banale) supera brillantemente l'esame: non sarà un capolavoro, ma questa pellicola mi ha appassionato, divertito, e mi ha confermato ancora una volta l'immenso amore che provo per Steven Spielberg.
Anch'io amo lo Spielberg "ludico", come lo definisci tu, che è appunto quello di questo film e di Indiana Jones. Lo amo meno quando fa, o cerca di fare, cinema "impegnato", visto che in quei casi sforna pellicole che nonostante le buone intenzioni risultano talvolta retoriche, pesanti e pedanti. Detto ciò, secondo me la buona riuscita di questo film (difettucci a parte) dipende anche da due ingredienti "esterni": la collaborazione con Peter Jackson e il materiale di partenza (il fumetto di Hergé). Evidentemente Spielberg si trova a suo agio a collaborare con un "compagno di giochi", proprio come aveva fatto con George Lucas ai tempi dei Predatori dell'arca perduta.
bella questa del compagno di giochi, in effetti riflettendoci sembra proprio così. cmq anche lo spielberg impeganto ha infilato dei capolavori, penso solo a schlinder's list, secondo me il suo film milgiore insieme a incontri ravvicinati del terzo tipo. Un saluto.
Non aver ancora mai visto "Schindler's List" è uno dei miei scheletri nell'armadio, come cinefilo... ^^'
Posta un commento