2 febbraio 2011

Mamma Roma (P. P. Pasolini, 1962)

Mamma Roma
di Pier Paolo Pasolini – Italia 1962
con Anna Magnani, Ettore Garofolo
***1/2

Rivisto in DVD, con Luca, Ilaria e Paola.

Il secondo, toccante lungometraggio di Pasolini è ancora ambientato nel mondo del proletariato romano, proprio come il precedente "Accattone" e come i suoi romanzi sui "ragazzi di vita"; stavolta però il regista fa ricorso a un'interprete professionista e già affermata come Anna Magnani (anche se la collaborazione si rivelò conflittuale e in seguito entrambi ebbero a lamentarsi, forse a torto, del risultato) e non solo ad attori dilettanti (come l'esordiente Ettore Garofolo, che interpreta il figlio della protagonista e che ha lo stesso nome e cognome del suo personaggio). Mamma Roma è una prostituta di mezza età che ha finalmente l'occasione di cambiare vita dopo che il suo protettore Carmine (Franco Citti) si è sposato, lasciandola libera di trasferirsi in un altro quartiere e di trovare un nuovo lavoro (vendere frutta e verdura al mercato rionale). La donna chiama a vivere con sé il figlio sedicenne Ettore – fino ad allora cresciuto in provincia, ignaro della professione della madre – e si dà da fare in tutti i modi per garantirgli un futuro migliore, giungendo persino a mettere in scena un elaborato inganno (con la complicità di una ex "collega") ai danni del proprietario di un ristorante per costringerlo ad assumere Ettore come cameriere. Ma i suoi sogni verranno infranti quando il figlio, rinchiuso in prigione per un furtarello, morirà in preda ai deliri della febbre. Realistico e struggente, il film è perfettamente bilanciato fra momenti drammatici e altri più leggeri, fra quadri di convivenza familiare e scorci di vita di strada, fra scene dedicate alla madre e altre riservate al figlio.

I personaggi, ritratti in maniera intensa e vitale (l'uso della parlata romanesca è essenziale per la loro caratterizzazione), lottano contro un destino che impedisce ogni speranza di riscatto sociale ("Dal niente non si costruisce niente", spiega con pragmatica crudeltà un parroco alla protagonista). Nonostante Mamma Roma cerchi di atteggiarsi a donna borghese, andando a messa e frequentando nuove compagnie, il suo passato ritorna in continuazione, e Carmine rispunta nel momento meno indicato per costringerla a tornare sulla strada. Quello interpretato dalla Magnani è un personaggio indimenticabile, vivace e di grande temperamento, spontaneo e ostinato: qua e là si lascia sfuggire dettagli di un tumultuoso passato, non si sa quanto veritieri, mentre l'unica cosa certa è il suo amore senza limiti per il figlio, con cui balla il tango sulle note della vecchia canzone "Violino tzigano" e del quale cerca di indirizzare non solo la vita lavorativa ma anche quella sentimentale ("All'età tua, l'unica donna che devi avere è tua madre!", gli grida quando scopre che corteggia Bruna, giovane dai facili costumi; e subito dopo chiede alla giovane prostituta Biancofiore di andare a letto con lui per fargli dimenticare quella cotta). Dal suo canto Ettore, con la sua ingenuità e la sua innocenza di fondo, è l'altra anima della pellicola: e le lunghe scene in cui girovaga per la città in compagnia degli amici portano lo spettatore ad affezionarsi a lui e a partecipare ai sentimenti di Mamma Roma, rendendo ancora più straziante la scena finale in cui gli occhi sbarrati della Magnani, mentre guarda la città fuori dalla finestra, sembrano prendere atto di quanto c'era di vero nella frase che lei stessa aveva detto al figlio all'inizio del film: "Te ancora n'ha sai tutta la cattiveria der monno".

Se si pensa che Pasolini era praticamente un autodidatta per quanto riguardava la tecnica cinematografica, il livello estetico e qualitativo del film fa impressione: la magnifica fotografia in bianco e nero è merito di Tonino Delli Colli, è vero, ma PPP ci mette del suo nelle splendide inquadrature di una Roma periferica e in via di sviluppo, nei lunghi piani sequenza che accompagnano le camminate notturne della Magnani mentre parla a uomini sempre diversi che si materializzano al suo fianco per poi sparire nel buio, nell'utilizzo del panorama e degli scenari (memorabile lo spiazzo degli acquedotti dove Ettore incontra gli amici o Bruna, fra rovine antiche che si ergono quasi come testimoni indifferenti della vicende moderne che si svolgono sotto di loro). La commistione fra arte colta e vita popolare, tanto cara al regista, risalta anche nell'ampio ricorso che Pasolini fa all'iconografia religiosa (i due esempi più evidenti sono la scena iniziale del banchetto di nozze, che ricorda l'ultima cena, e l'inquadratura ripetuta di Ettore sdraiato sul tavolo della prigione, mostrato in prospettiva come il "Cristo morto" del Mantegna), oltre che – come detto – nella coesistenza di antiche rovine e nuove costruzioni popolari; e poi, naturalmente, nella colonna sonora costituita da brani di Vivaldi che fanno da sfondo intenso e quasi religioso alle vicende di personaggi che probabilmente Vivaldi non l'hanno mai sentito nominare e che semmai ascoltano canzonette e cantano volgari strofe da osteria (come quelle intonate da Mamma Roma e da altri commensali al matrimonio di Carmine).

2 commenti:

Marisa ha detto...

Più passa il tempo e più apprezzo Pasolini soprattutto per la sua poeticità. Anche un film duro come questo è totalmente intriso di poesia. Il rapporto madre-figlio inoltre qui tocca uno dei vertici degno del lamento di Jacopone.

Christian ha detto...

Anch'io apprezzo Pasolini sempre di più a ogni nuova visione dei suoi film, che davvero sono godibili su più livelli (dai rimandi all'arte rinascimentale ai debiti verso il cinema neorealista, dall'originalità del suo stile personale alla qualità della tecnica cinematografica). Gli unici che ancora non mi convincono del tutto sono quelli della "trilogia della vita" (Il Decamerone e gli altri due), ma prima o poi darò anche a loro una seconda chance. Questo, "Accattone" e "Il vangelo secondo Matteo", invece, sono indubbiamente grandissime pellicole.