28 dicembre 2006

Giù per il tubo (D. Bowers, S. Fell, 2006)

Giù per il tubo (Flushed Away)
di David Bowers, Sam Fell – GB/USA 2006
animazione digitale
***

Visto ieri al cinema Colosseo, con Hiromi e Albertino.

Un topolino che vive in una gabbia dorata all'interno di un appartamento di Kensington, a Londra, si ritrova catapultato nelle fognature ed entra così in contatto con il mondo dei ratti delle fogne. Nel corso di una movimentatissima avventura (al tentativo di tornare a casa si aggiunge la lotta contro una perfida rana e il suo piano per spazzare via la comunità dei topi) troverà anche l'amore. Per la prima volta la Aardman, la casa di Wallace & Gromit, abbandona la plastilina e, in collaborazione con la Dreamworks, realizza un film tutto in CGI. L'aspetto grafico dei personaggi e la loro "consistenza" (sia pure virtuale) sono però gli stessi di sempre, così come il divertimento, le trovate, la simpatia. La tecnica digitale consente in più di raggiungere un maggior dinamismo e fluidità nelle scene d'azione, che sono peraltro molto lunghe ed elaborate, addirittura a volte esageratamente "fisiche" e rendono il film assai movimentato. Nel complesso mi è piaciuto molto, l'ho trovato divertente e pieno di momenti godibilissimi. È ricco anche di battute autoironiche sull'Inghilterra e gli inglesi, ma anche di gag "politiche" su americani e francesi, riferimenti ai recenti mondiali di calcio, e mille altre cose. Magnifiche le lumache urlanti e canterine.

27 dicembre 2006

Vento di passioni (E. Zwick, 1994)

Vento di passioni (Legends of the Fall)
di Edward Zwick – USA 1994
con Brad Pitt, Anthony Hopkins
*1/2

Visto in TV, con Hiromi.

Un polpettone storico-romantico, dai toni esagerati e sopra le righe, in parte saga familiare e in parte tormentata storia d'amore, anche se mi aspettavo che se il lato sentimentale, visto anche il titolo italiano, avesse un peso maggiore nella vicenda. Nonostante avessi parecchi pregiudizi (molti dei quali confermati dalla visione), alla fine il film non mi è del tutto dispiaciuto. Se l'ambientazione potrebbe essere quella di un romanzo Harmony e i personaggi principali risultano stereotipati e fin troppo delineati (si capisce tutto di loro pochi secondi dopo la prima apparizione, e nel corso del film rimangono immutati tanto fisicamente quanto moralmente), la pellicola è comunque attraversata da una certa forza viscerale da soap opera, la stessa dei grandi "drammoni" romantici americani da "Via col vento" in poi, che sorregge le vicende fino in fondo. I temi storici (la prima guerra mondiale, il proibizionismo) sono comunque affrontati in maniera quasi ridicola e non mancano tocchi ingenui di politically correct (si pensi al rapporto dei protagonisti con gli indiani). Regia e fotografia non mostrano qualità particolari, mentre nel cast spicca su tutti un ottimo Anthony Hopkins nei panni del vecchio patriarca della famiglia.

23 dicembre 2006

Marie Antoinette (S. Coppola, 2006)

Marie Antoinette (id.)
di Sofia Coppola – USA 2006
con Kirsten Dunst, Jason Schwartzman
*1/2

Visto al cinema President, con Hiromi.

Non mi ha fatto impazzire, questa rilettura pop della vita di Maria Antonietta a Versailles (il film si apre con il viaggio dall'Austria alla Francia e si chiude con il trasferimento dei sovrani dalla reggia al palazzo delle Tuileries, dunque poco prima del tentativo di fuga e della successiva condanna a morte da parte dei rivoluzionari). L'attenzione della regista si concentra tutta sul personaggio principale, e dunque è soltanto attraverso lei che osserviamo l'ambiente circostante. La giovanissima regina vive però in un microcosmo tutto suo nel quale c'è poco spazio per gli eventi storici che avvengono intorno a lei: questi risultano perciò quasi assenti, o al limite filtrati da una personalità rassegnata e superficiale. Il personaggio che ne esce fuori, infatti, è ben poco interessante, direi quasi noioso: non sembra mai interessato a conoscere il mondo né prova il minimo interesse per quello che accade attorno a lei. Alla fine anche lo spettatore tende ad addormentarsi, anestetizzato dai colori pastello, dalle parrucche, dai cibi sontuosi. E non bastano un po' di canzoni moderne nella colonna sonora (una scelta che alcuni hanno criticato, ma che a me non è dispiaciuta: almeno ogni tanto forniva qualche scossa) per rendere il film meno piatto.

Nota a margine: dopo il film mi sono fermato a riflettere su quanto siano prive di personalità le "divette" hollywoodiane della nuova generazione (Dunst, Lohan, Johansson...). Nel migliore dei casi, di loro si può dire che siano simpatiche. Ma il carisma di una Lauren Bacall che esordiva a vent'anni in "Acque del sud", a fianco di Bogart, se lo sognano.

Grattacielo tragico (H. Hathaway, 1946)

Grattacielo tragico (The dark corner)
di Henry Hathaway – USA 1946
con Mark Stevens, Lucille Ball
**1/2

Visto in DVD.

Un detective privato scopre che il suo socio di un tempo, a causa del quale aveva dovuto scontare due anni di galera per un reato che non aveva commesso, lo sta facendo pedinare da un misterioso individuo in abito bianco. La situazione peggiora quando il detective viene narcotizzato: al suo risveglio trova al suo fianco il cadavere dell'ex-socio e nelle proprie mani l'arma del delitto. Aiutato dalla sua leale segretaria, della quale è innamorato, dovrà scoprire chi lo vuole incastrare, e perché. Un bel noir, elegante e raffinato, con un'ottima fotografia in bianco e nero e un cast (ci sono anche William Bendix, Cathy Downs, Kurt Kreuger e soprattutto Clifton Webb, in un ruolo simile a quello di "Vertigine") che dà vita a personaggi ben caratterizzati e contrastati. Forse manca un pochino di profondità (l'intreccio mi è sembrato più lineare della media del genere) ma la sensazione di complotto e di accerchiamento, così come la voglia di riscatto sociale del protagonista (e di un'intera società, visto che il film è ambientato subito dopo la fine della guerra), lo rendono molto piacevole. Stevens non è un antieroe cinico e duro come vorrebbe apparire, ma si dimostra vulnerabile e dipendente dalla sua donna, anche per tirarsi fuori dai guai. Stupido il titolo italiano, che si riferisce a un'unica scena peraltro marginale: era meglio quello originale, più evocativo.

22 dicembre 2006

Scusi, dov'è il west? (R. Aldrich, 1979)

Scusi, dov'è il west? (The Frisco Kid)
di Robert Aldrich – USA 1979
con Gene Wilder, Harrison Ford
**

Visto in DVD.

Dico subito che non mi è sembrato il miglior Aldrich (quello di "Che fine ha fatto Baby Jane?", "Piano... piano, dolce Carlotta" o "Un bacio e una pistola", per intenderci): anche nel campo del western il regista ha fatto di meglio, per esempio con "Vera Cruz", che ho visto di recente. Però il film si lascia vedere, se non altro per la scelta curiosa del protagonista, un rabbino polacco (interpretato con vigore da Gene Wilder) che deve raggiungere la propria comunità a San Francisco, attraversando l'intera America. Lungo la strada incontrerà banditi e indiani (con cui si troverà in sintonia) e farà amicizia con un rapinatore di banche, un giovanissimo Harrison Ford, che lo aiuterà a giungere a destinazione. Il difetto principale del film, a mio parere, è quello di non spingersi con decisione né verso la commedia (a parte pochissime gag, non particolarmente memorabili) né verso il realismo (manca l'epicità del viaggio alla scoperta del west), né tantomeno calcare sulla "surrealità" della situazione. Procede invece per cliché e situazioni già viste, puntando quasi tutte le sue carte sul tema dell'amicizia e dell'integrità morale del rabbino e terminando con il più scontato dei temi western, il duello nella strada principale della città.

Transparent (K. Motohiro, 2001)

Transparent: Tribute to a sad genius (Satorare)
di Katsuyuki Motohiro – Giappone 2001
con Masanobu Ando, Kyoka Suzuki
**1/2

Rivisto in DVD, con Hiromi, in originale con sottotitoli inglesi.

Nel mondo esistono alcuni rarissimi individui, chiamati satorare ("trasparenti"), i cui pensieri sono percepibili nel raggio di una decina di metri come se li pronunciassero ad alta voce. Poiché si tratta anche di veri e propri geni in tutti i campi della scienza, essi sono importantissimi per il progresso della loro nazione. La loro natura viene tenuta accuratamente nascosta anche a loro stessi, nel timore che la scoperta di essere "trasparente" possa causare uno shock fatale. Attorno a questi individui nascono comunità, o intere città, i cui abitanti fingono di condurre una vita normale ma che in realtà agiscono dietro le quinte per impedire al "trasparente" di entrare in contatto con chiunque possa rivelargli la verità e per spingerlo a intraprendere la carriera più produttiva e conveniente al benessere della nazione. Lo spunto, in parte simile a quello di "The Truman Show", è parecchio interessante: ed è un peccato che venga sviluppato soltanto in minima parte. La sceneggiatura, infatti, sceglie di concentrarsi solo sul lato privato e sentimentale del protagonista, uno dei sette "trasparenti" esistenti in Giappone, e sulla sua storia d'amore con una ricercatrice incaricata dal governo di stare al suo fianco. Comunque il film è gradevole e tratta di un tema insolito: quanto è difficile vivere insieme a una persona i cui pensieri più intimi sono sempre accessibili a tutti?

21 dicembre 2006

C.S.I.: Grave danger (Q. Tarantino, 2005)

C.S.I. – Grave danger (CSI, stagione 5, ep. 24/25)
di Quentin Tarantino – USA 2005
con William Petersen, Marg Helgenberger
*

Visto in DVD, con Albertino e Giovanni.

Come ho già avuto modo di scrivere, le serie televisive americane non mi interessano e, per il poco che ho visto, non mi piacciono. Finora non avevo mai guardato una puntata di "CSI - Scena del crimine" (o dei suoi spin-off): le rare volte che mi è capitato per caso di gettarci un occhio, facendo zapping, non ho resistito per più di trenta secondi. Mi dà fastidio tutto, dalla recitazione scadente alla fotografia in eterna penombra (ma non le accendono mai le luci, in quegli uffici? O sono sponsorizzati da qualche industria che produce pile e torce elettriche?), per non parlare dei dialoghi scontatissimi e del ritmo monotono della narrazione. Questo doppio episodio l'ho visto soltanto perché è stato scritto e diretto da Tarantino. E visto che non mi ha fatto impazzire (è un eufemismo), potrò mettermi il cuore in pace ed evitare di sorbirmi in futuro altri episodi della serie, con la consapevolezza di averci almeno provato. Costruito su un'unica trovata stiracchiata per un'ora e mezza (un poliziotto della scientifica viene rapito e seppellito vivo, mentre i suoi colleghi devono cercarlo prima che sia troppo tardi), non coinvolge e non trasmette emozioni. Dopo dieci minuti già mi stavo annoiando. A differenza dell'analoga scena della Thurman sepolta in "Kill Bill, vol. 2", non c'è claustrofobia, né tensione, né panico. Due soli sussulti degni di nota ("l'esplosione" del ricattatore, l'allucinazione nella camera mortuaria) non bastano a sostenere il peso della vicenda. E se per una volta la regia di una serie tv non è da buttar via e la sceneggiatura è (appena) sufficiente, la recitazione, la fotografia e il montaggio televisivo continuano a sembrarmi ostacoli insormontabili per farmi piacere questo tipo di prodotto.

Nota: C'è una curiosa comparsata di Tony Curtis nella parte di sé stesso. Lascia un po' il tempo che trova e ci si chiede che senso abbia, ma è divertente sentirlo parlare di vestirsi da donna e dire "Non sono mica Jack Lemmon".

20 dicembre 2006

Un'ottima annata (R. Scott, 2006)

Un'ottima annata (A good year)
di Ridley Scott – USA 2006
con Russell Crowe, Marion Cotillard
**1/2

Visto al cinema Apollo, con Hiromi.

Un film insolito per Ridley Scott, dall'intreccio molto semplice, se vogliamo pure scontato e prevedibile, eppure realizzato con cura e con passione e dunque niente affatto spiacevole. E il risultato è tenero e romantico senza calcare la mano: non c'è nemmeno il temuto effetto cartolina, anche se la fotografia e le scenografie, come sempre nei film di Scott, giocano un ruolo davvero essenziale. Crowe interpreta un broker cinico e spregiudigato che eredita da uno zio una vecchia villa in rovina (con vigneto annesso) nella Provenza francese. Recatosi sul posto per un rapido sopralluogo con l'intenzione di vendere al più presto la tenuta, si fa lentamente rapire dall'ambiente e dal paesaggio fino a trasferirsi lì definitivamente, complice anche una storia d'amore con una ragazza conosciuta nel villaggio vicino. Il tutto nonostante il vino prodotto nella tenuta sia letteralmente imbevibile (ma anche qui c'è un piccolo segreto, custodito gelosamente dall'anziano vignaio che lavora lì da sempre). Fino a questo film avevo considerato Crowe buono soltanto per le parti da "duro" (non mi aveva per nulla convinto quando aveva provato a uscire da questo stereotipo, come in "A beautiful mind", film che non mi era piaciuto per niente): qui invece è bravo a tratteggiare un personaggio contemporaneamente simpatico e scontroso, abile e goffo. Completano il tutto alcuni rimandi nostalgici all'infanzia (Albert Finney interpreta lo zio in numerosi flashback), a un mondo "perduto" e idealizzato, e a mille altri cliché che darebbero forse fastidio se non fossero maneggiati con sapienza ed eleganza e frammisti a situazioni comiche.

Nota: è stato il primo film che ho visto insieme a Hiromi.

19 dicembre 2006

Lo stato delle cose (W. Wenders, 1982)

state of things

Lo stato delle cose (Der Stand der Dinge)
di Wim Wenders – Germania/Portogallo/USA 1982
con Patrick Bauchau, Allen Garfield
***

Visto in DVD, con Martin.

Una troupe cinematografica sta girando uno strano film di fantascienza catastrofica nei pressi di Lisbona. Ma la pellicola è terminata e il produttore non dà più notizie di sé. Dopo alcuni giorni di attesa durante i quali gli attori e i tecnici ammazzano il tempo come possono, azzardano riflessioni filosofiche e visitano la città vicina, il regista decide di volare negli Stati Uniti in cerca del produttore, scoprendo che questi si nasconde da tutti perché la sua vita è in pericolo. "La vita è a colori, ma il bianco e nero è più realistico", dice a un certo punto Samuel Fuller, che interpreta il direttore della fotografia. Il film è volutamente rarefatto, soprattutto nella parte centrale, ed estremamente autobiografico (il regista è tedesco, come Wenders, è al suo decimo film e ha pretese autoriali, come appunto quella di girare in b/n): compaiono numerose citazioni cinefile (fra gli attori, oltre a Fuller, c'è anche Roger Corman; viene citato più volte "Sentieri selvaggi" di John Ford; a Hollywood il protagonista si sofferma sulla stella di Fritz Lang sul selciato, e lui stesso si chiama Fritz di nome); nel finale la vicenda porta a una riflessione sul potere dell'industria del cinema nei confronti dell'arte e della vita stessa degli artisti. Proprio la parte finale, comunque, mi è sembrata la più bella e interessante. E Allen Garfield che canta "Hollywood, Hollywood" nella sua roulotte è praticamente indimenticabile, così come la conclusione bruciante con la telecamera che continua a riprendere le immagini della strada e del selciato.

16 dicembre 2006

Quando meno te lo aspetti (G. Marshall, 2004)

Quando meno te lo aspetti (Raising Helen)
di Garry Marshall – USA 2004
con Kate Hudson, John Corbett
*

Visto in TV.

Alla morte della sorella e del cognato, una giovane agente di moda in carriera che non aveva mai pensato in precedenza a farsi una famiglia si ritrova affidati i tre nipoti: nonostante le difficoltà che sorgono sul lavoro e nella sua vita privata, fra i quattro nascerà l’affetto e la protagonista troverà anche l’amore (con un pastore luterano!). Un’insopportabile commedia moralista e di buoni sentimenti, con personaggi superficiali, situazioni stereotipate, gag prevedibili e a volte quasi imbarazzanti. Il regista di “Pretty Woman” non fa nulla per renderla più interessante, anche perché gli attori sono quello che sono. Di nessun interesse.

7 dicembre 2006

Il mio migliore amico (P. Leconte, 2006)

Il mio migliore amico (Mon meilleur ami)
di Patrice Leconte – Francia 2006
con Daniel Auteuil, Dany Boon
***

Visto al cinema Colosseo, con Marisa e Giuliana.

Una commovente pellicola sull'amicizia: Auteuil (bravissimo come sempre) interpreta un arido mercante d'arte che all'improvviso si rende conto che, quando giungerà il momento del suo funerale, nessuno si presenterà in chiesa poiché non ha nessun vero amico. Complice una scommessa si impegna a presentare ai suoi soci il proprio "miglior amico" entro dieci giorni. Dopo molte delusioni, forse lo troverà in un tassista estroverso e appassionato di quiz televisivi. Introspettivo e minimalista, è un film i cui toni a tratti agrodolci sono espressi in maniera delicata e leggera, con tutta la grazia di cui i francesi sono maestri. Come spesso capita nei film di Leconte ("L'uomo del treno", "Confidenze troppo intime", "La ragazza sul ponte"), due soli personaggi sostengono il peso di quasi tutta la vicenda. Stavolta la struttura è un po' meno "simmetrica", visto che l'attenzione è concentrata più su Auteuil che sul secondo personaggio, ma il risultato è comunque bello e equilibrato. Curioso lo spazio dedicato al quiz "Chi vuol essere milionario", naturalmente nella versione francese.

2 dicembre 2006

Labirinto di passioni (P. Almodóvar, 1982)

Labirinto di passioni (Laberinto de pasiones)
di Pedro Almodóvar – Spagna 1982
con Cecilia Roth, Imanol Arias
***

Visto in DVD, con Martin.

Una simpatica, grottesca e variopinta galleria di personaggi nel puro stile dell'Almodóvar degli inizi (si tratta del suo secondo film dopo l'esordio con "Pepi, Luci e Bom"), dove leggerezza e trasgressione – ma mai provocazione fine a sé stessa – si fondono per dar vita a una pellicola comica e trascinante allo stesso tempo. Il mondo è sempre quello della "movida" madrilena, con artisti e musicisti, giovani gay e rocker punk, donne ninfomani e terroristi islamici (fra i quali un giovane Antonio Banderas, all'esordio sul grande schermo), principesse e imperatori di una nazione mediorientale fittizia, intrighi sentimentali e situazioni bizzarre, degne di una screwball comedy. Molto divertente dall'inizio alla fine, e con un'interessante colonna sonora (alcune canzoni sono interpretate da Almodóvar stesso), ricorda per certe cose (come forse ho già detto da qualche altra parte) le storie di "Locas también", il bellissimo fumetto di Jaime Hernandez che fa parte della serie "Love & Rockets". Peccato solo che la traccia audio italiana del DVD fosse in condizioni particolarmente scadenti. La corsa in taxi verso l'aeroporto nel finale sarà ripresa in "Donne sull'orlo di una crisi di nervi". Malamente accolto dalla critica contemporanea, con il tempo (e la successiva ascesa del regista) è diventato un film cult.