Cannes e dintorni 2012 - conclusioni
Come si era già detto da più parti, l'ultima edizione del Festival di Cannes non ha offerto veri capolavori, e questo si è riflesso anche nella rassegna milanese. Il vincitore della Palma d'Oro ("Amour" di Michael Haneke), pur essendo un buon film, non mi è parso alla stessa altezza del precedente lavoro del regista austriaco ("Il nastro bianco"). E nulla di ciò che ho visto in questi giorni sembrerebbe destinato a lasciare il segno. L'unica pellicola che si è stagliata (e anche piuttosto nettamente) al di sopra delle altre è stato l'affascinante affresco notturno di Nuri Bilge Ceylan, "C'era una volta in Anatolia": ma guarda caso, proveniva dal Festival dell'anno scorso e non da quello del 2012. Per il resto, meritano comunque una segnalazione i film di Ulrich Seidl ("Paradise: Love") e di Tony Kaye ("Detachment"). Interessanti, ma con qualche riserva, quelli di Michel Gondry ("The We and the I") e di Cristian Mungiu ("Beyond the Hills"). Delusione per Audiard ("De rouille et d'os") e per le "Relazioni pericolose" cinesi. Divertente il giapponese "Thermae Romae", e tutto sommato anche il consueto giocattolo di Wes Anderson ("Moonrise Kingdom"): insieme al documentario kubrickiano "Room 237", hanno rappresentato i pochi momenti di allegria in una rassegna permeata da atmosfere cupe e tragiche, dai temi della malattia e del disagio giovanile (ben tre erano i film ambientati attorno a una scuola!). C'è da dire che forse il caldo afoso ha inciso sul mio scarso gradimento complessivo. Il peggio? Difficile salvare qualcosa nel pretenzioso Carlos Reyagdas ("Post tenebras lux") e nel ricattatorio coreano "Silenced".
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