14 luglio 2011

Testimonianza di un essere vivente (A. Kurosawa, 1955)

Testimonianza di un essere vivente, aka Vivo nella paura (Ikimono no kiroku)
di Akira Kurosawa – Giappone 1955
con Toshiro Mifune, Takashi Shimura
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Visto in divx.

A metà degli anni cinquanta, in piena Guerra Fredda, con americani e russi che sperimentavano ordigni nucleari sempre più minacciosi e potenti (è del 1952 la prima detonazione di una Bomba H), la psicosi di un conflitto atomico si era ormai fatta strada in molte fasce della popolazione, ed era particolarmente forte soprattutto in Giappone, l’unico paese ad avere subito sulla propria pelle un bombardamento di questo tipo. Non pochi, potendoselo permettere, si facevano costruire un rifugio antiatomico privato dove rifugiarsi in caso di necessità. Il protagonista di questo film, l’arcigno e ostinato anziano Kiichi Nakajima (interpretato da un Toshiro Mifune invecchiato ad arte, con tanto di capelli bianchi, rughe ed occhiali spessi: ma risulta un po’ grottesco e non sempre credibile), proprietario di una fonderia, è talmente terrorizzato dall’ipotesi di un’imminente esplosione atomica e della contaminazione radioattiva da progettare di emigrare in Brasile con la sua numerosa famiglia (non solo quella “regolare”, ma anche i figli illegittimi avuti da tre differenti amanti). Per impedirgli di vendere l’industria di famiglia e di dissipare il proprio denaro in questo progetto, la moglie e i suoi stessi figli ricorrono al tribunale per le controversie familiari, chiedendo la sua interdizione e che venga giudicato infermo di mente. A decidere sulla spinosa questione è chiamato il dottor Harada (Takashi Shimura), un semplice dentista che di solito lavora come consulente nei casi di divorzio. Come “Il duello silenzioso” del 1949, il film fa parte della produzione ‘minore’ di Kurosawa: storie contemporanee e un po’ troppo melodrammatiche su personaggi eccentrici, ossessionati da paure più o meno irrazionali e da un generico male di vivere, ai quali il regista – con il suo consueto umanismo – guarda con una certa simpatia. Se alla resa dei conti la pellicola risulta poco appassionante e un po’ datata, il personaggio di Nakajima resta comunque impresso, con la sua complessa situazione familiare, il suo desiderio di sopravvivere a ogni costo, il suo carattere scontroso e la sua paura senza limiti che – benché condivisa anche da altri personaggi (nel finale un medico commenta: “È strano lui, o siamo strani noi che ce ne stiamo così tranquilli?”) – lo condurrà fino alla pazzia. Il tema dell’incubo nucleare farà nuovamente capolino nel cinema di Kurosawa molti anni dopo, in un paio di episodi del film “Sogni”, e naturalmente in "Rapsodia in agosto".

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