
Avatar (id.)
di James Cameron – USA 2009
con Sam Worthington, Zoe Saldana
**
Visto al Medusa Multisala di Rozzano (in 3D), con Martin e Gabriele.
A dodici anni di distanza dal suo capolavoro "Titanic", James Cameron fa un ritorno in grande stile, pronto a superare sé stesso con un altro film-kolossal destinato a entrare nella storia del cinema, almeno per quanto riguarda la spettacolarità, gli incassi al box office, le innovazioni tecniche e (presumibilmente: lo scopriremo nei prossimi mesi) i premi vinti. Peccato però che il cinema sia anche – e soprattutto – emozioni, fantasia, personaggi, storie: e da questo punto di vista "Avatar" si rivela parecchio carente, e non può non deludere chi (come me) da un film si aspetta qualcosa di più che una lunga carrellata di immagini in computer grafica, per quanto belle. Fa anzi rabbia vedere "sprecato" tanto talento e tanta tecnologia con una sceneggiatura così debole, con sviluppi ampiamente prevedibili, con personaggi la cui caratterizzazione è scontata e stereotipata (con nota di demerito per il militare cattivo e ottuso) e la cui evoluzione praticamente non esiste, e con un mondo alieno così poco... "alieno" per fantasia e creatività, al punto che sembra quasi essere stato ideato da un bambino di dieci anni. Oltre al mancato coinvolgimento emotivo, la mancanza di sense of wonder è il difetto principale del film. Non bastano pochi ritocchi a piante e animali terrestri (per esempio: aggiungiamo due zampe e allunghiamo il muso a un cavallo, ed ecco che abbiamo una cavalcatura aliena!) per dare vita a qualcosa capace di lasciare davvero a bocca aperta. Se la semplicità della storia poteva benissimo essere messa in conto (anche le pellicole precedenti di Cameron non brillavano da questo punto di vista, e i loro punti di forza erano ben altri), l'assenza di stupore e la penuria di emozioni invece no.

Nonostante la lunghezza (160 minuti), la trama si riassume in poche righe: nel 2154, sul pianeta Pandora, unica fonte di approvvigionamento del preziosissimo minerale Unobtainium, gli esseri umani devono fronteggiare un ambiente ostile e soprattutto gli indigeni Na'vi, che professano una simbiosi totale fra tutte le forme di vita. Il marine paraplegico Jake Sully, la cui coscienza viene trasferita dentro un corpo artificiale Na'vi (un "avatar"), entra in contatto con un gruppo di questi alieni, supera tutte le prove per essere accettato fra loro e si innamora della figlia del capo tribù. Convertitosi al loro stile di vita, li guiderà in battaglia contro l'esercito terrestre che intendeva distruggere l'intero ecosistema. Come si vede, se spogliamo il soggetto dei (pochi) elementi fantascientifici, quello che resta è qualcosa già letto o visto mille volte. Come hanno detto in molti, le somiglianze con "Pocahontas" e "Balla coi lupi" (o, se vogliamo rimanere nell'ambito della SF, con il John Carter di Marte creato da Edgar R. Burroughs) sono lampanti, anche se questo in sé non è un difetto. A pesare in negativo sono semmai la divisione monolitica fra buoni e cattivi e l'assenza totale di colpi di scena. Per di più, anche gli elementi di fantascienza non sono in fondo nulla di nuovo: a parte alcune cosette che peraltro Cameron ci aveva già mostrato in passato (gli esoscheletri manovrabili, Sigourney Weaver che si sveglia dal sonno criogenico...), l'unico spunto davvero centrale è quello dell'avatar, che pure avrebbe potuto essere sviluppato meglio, magari anche a livello simbolico o esistenziale: per dirne una, manca qualsiasi riflessione sull'identità.

Dunque i pregi del film – oltre che nel "mestiere" del regista, comunque una garanzia – stanno soprattutto nel suo apparato visivo, questo sì davvero impressionante. Il mondo di Pandora è vasto, imponente, colmo di colori e paesaggi mozzafiato (boschi, montagne, cascate). Gli effetti digitali sono quanto di meglio si sia mai visto prima in una pellicola cinematografica. Non c'è confronto nemmeno con il "Signore degli Anelli" (c'è sempre la Weta Digital di mezzo), dove comunque le creature digitali erano riconoscibili come tali: qui i Na'vi, gli animali e i mostri di Pandora, le astronavi e tutti gli elementi generati al computer si fondono alla perfezione fra loro e nell'interazione con gli attori umani, lasciando allo spettatore l'impressione che tutte queste meraviglie esistano davvero e che Cameron si sia "limitato" a recarsi su un altro pianeta con la macchina da presa. Cosa pagherei per vedere una tale qualità al servizio di una sceneggiatura più intelligente e profonda: che so, un nuovo adattamento cinematografico di "Dune"! L'animazione è fluida, la regia impeccabile, la fotografia suggestiva. Iconograficamente c'è forse qualche debito di troppo verso Hayao Miyazaki (soprattutto "Laputa", per le montagne volanti, e "Princess Mononoke", per il bosco e gli animali) e Moebius ("Arzack"), ma sono debiti che si pagano con piacere. La scena più bella del film per me è quella in cui Jake deve catturare e domare la sua cavalcatura alata: sarà forse per il fascino del volo, ma è l'unica in cui ho quasi provato un brivido.

I Na'vi, a parte la pelle blu e altre caratteristiche anatomiche (magrissimi e longilinei, sono alti quasi quattro metri e hanno la coda), sono chiaramente ispirati ai nativi americani, mentre le loro credenze ricordano anche i miti indiani (d'altronde il termine stesso "avatar" è di origine indù e ha a che fare con l'incarnazione) e la residenza sugli alberi fra pensare agli elfi di Tolkien. Una loro caratteristica peculiare, forse la più interessante e originale, è la capacità di "connettersi" empaticamente con altri esseri viventi, piante comprese, attraverso l'estremità dei capelli (curiosamente questo aspetto non viene ulteriormente sviscerato: per esempio, durante il sesso si "connettono" fra loro?). Tutto, nel loro rapporto con la propria terra, è un elogio del panteismo, dell'animismo e della comunione con la natura, per quanto rappresentata in maniera assai fideistica. In confronto, gli esseri umani (a parte Jake e due o tre suoi amici, come i personaggi interpretati da Sigourney Weaver e da Michelle Rodriguez) fanno una ben magra figura: aridi, stupidi, egoisti, spietati, insensibili. Nel film non manca un sottostante messaggio anti-guerrafondaio ("Se qualcuno è seduto su una cosa che vuoi, prima lo rendi tuo nemico e poi te la prendi", con evidente riferimento alla politica estera americana nell'era Bush), ma non meno importante è il messaggio ecologico: ogni cosa è legata a tutte le altre, e l'intero pianeta può ribellarsi contro coloro che stanno cercando di distruggerlo per impadronirsi delle sue risorse (che poi, nel film, nemmeno viene spiegato perchè è tanto importante e prezioso questo Unobtainium: a proposito, un nome meno ridicolo non glielo si poteva trovare? Sembra uscito da "Topolino").

E veniamo infine al tanto acclamato 3D. Ancora una volta questa modalità di proiezione non mi ha convinto, anzi mi ha lasciato con la quasi certezza che si tratti di una bufala pazzesca. Se gli effetti digitali sono senza dubbio il punto di forza del film, tanto che senza di questi la pellicola perderebbe ogni interesse, al contrario la visione in tre dimensioni non aggiunge nulla di veramente essenziale all'esperienza dello spettatore, e forse la peggiora. Saranno stati gli scomodi occhialetti del cinema dove l'ho visto (pesanti, scuri e sporchi), fatto sta che dopo pochi minuti avrei già desiderato poter passare immediatamente alla tradizionale visione in 2D. Se sullo schermo l'utilizzo delle tre dimensioni è realistico, non invadente e sicuramente ben realizzato (molto meglio che nei film che avevo visto finora con questa tecnologia, "Coraline" e "A Christmas Carol"), dal lato narrativo non offre nessuna emozione aggiuntiva, non aumenta il coinvolgimento dello spettatore, anzi rischia di sviare la sua attenzione. Per fortuna, essendo il film così lungo, a un certo punto ci si abitua e si tende quasi a dimenticare che lo si sta vedendo in 3D: ma allora a cosa serve, se non a far pagare un biglietto maggiorato e a costringere a una visione più scomoda? Infine, ultima nota di biasimo (ma ormai non è più una novità) per l'orrendo e piattissimo doppiaggio italiano, che abbinato a un mediocre adattamento dei dialoghi ("carne a domicilio su rotelle": ma un marine parla davvero così?), mi costringerà a rivedere questo film, se mai lo rivedrò in futuro, rigorosamente in lingua originale e in 2D.