tag:blogger.com,1999:blog-245488192024-03-18T19:22:23.401+01:00Tomobiki Märchenland<br>Il blog del cinema di Christian – Recensioni di film visti in casa e in salaChristianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.comBlogger4432125tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-35509113180518597202024-01-05T13:00:00.001+01:002024-01-05T13:00:30.137+01:00Il ragazzo e l'airone (Hayao Miyazaki, 2023)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/ragazzoelairone.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Il ragazzo e l'airone (Kimitachi wa do ikiru ka)<br>
di Hayao Miyazaki – Giappone 2023<br>
animazione tradizionale<br>
***</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto al cinema Impero, con Sabrina.</p> <p class="MsoNormal" style="">Dopo la morte della madre Himiko in un incendio, all'inizio della seconda guerra mondiale, il dodicenne Mahito si trasferisce in campagna con il padre, ingegnere militare, e la nuova compagna di questi, Natsuko, sorella minore della stessa Himiko. Il ragazzo fatica ad adattarsi al nuovo ambiente e soprattutto ad accettare la matrigna e la nuova situazione famigliare. Attirato in una torre diroccata da un misterioso airone cenerino parlante, si ritrova trasportato in un’altra dimensione, un mondo fantastico popolato da uccelli antropomorfi e governato dalla magia, dal soprannaturale e da differenti leggi temporali. Qui, fra le altre cose, ritroverà sua madre da giovane e imparerà ad accettare il proprio destino. Dieci anni dopo "Si alza il vento" (che avrebbe dovuto essere il suo ultimo film, prima di ripensarci), Miyazaki realizza una delle sue pellicole più complesse, allegoriche e filosofiche, su un soggetto originale (e in parte autobiografico) ispirato al romanzo "E voi come vivrete?" di Genzaburo Yoshino (da cui proviene il titolo giapponese). All'apparenza è una rilettura/variazione de "La città incantata", con un protagonista (stavolta maschile) che, come in "Alice nel paese delle meraviglie", si ritrova in un mondo onirico, fantastico e surreale, dominato da regole strane e paradossali e popolato da creature bizzarre. La fantasia e la visionarietà sono però al servizio di temi particolarmente profondi – la morte, la nascita, la guerra, la famiglia – affrontati attraverso simboli e allegorie: l'intero percorso di Mahito è un viaggio dantesco (sulla porta della torre è letteralmente inscritta una citazione di Dante, in italiano: "Fecemi la divina potestate"), dagli inferi al paradiso, fino all'incontro con il creatore. Anche se a tratti si ha l'impressione che la fantasia di Miyazaki scorra un po' troppo a ruota libera, saltando di palo in frasca (e introducendo personaggi, creature o ambienti senza pausa), le suggestioni sanno come colpire nel segno e rimangono impresse nello spettatore perché risuonano di concetti e temi propri dell'essere umano. Certo, un film simile è evidentemente frutto della maturazione e della tarda età del suo autore, che riflette all'indietro sulla propria infanzia, e per questo motivo la pellicola potrebbe risultare meno gradita al pubblico più giovane, che al limite ne apprezzerà soltanto gli aspetti più fantasy, buffi e visionari (gli uccelli parlanti, i "wara-wara", gli echi avventurosi). La bella colonna sonora di Joe Hisaishi è meno sinfonica del solito, e per lo più composta al pianoforte. L'edizione italiana è fortunatamente Cannarsi-free (anche se alcune frasi qua e là tendono a ricordare il suo stile). Disegni, sfondi e animazioni eccellenti, come al solito.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-59663827369732006322023-12-05T12:15:00.003+01:002023-12-05T12:26:59.300+01:00Assassinio a Venezia (Kenneth Branagh, 2023)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/assassinioavenezia.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Assassinio a Venezia (A Haunting in Venice)<br>
di Kenneth Branagh – USA 2023<br>
con Kenneth Branagh, Tina Fey<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Disney+).</p> <p class="MsoNormal" style="">Nella Venezia del dopoguerra, dove Hercule Poirot (Branagh) si è ritirato a vita privata, deluso dall'umanità intera, il grande detective viene convinto dall'amica Ariadne Oliver (Tina Fey), scrittrice di gialli in cerca di ispirazione, a partecipare a una seduta spiritica che si terrà la notte di Halloween nel decadente palazzo della cantante lirica Rowena Drake (Kelly Reilly). Questa ha infatti ingaggiato una sedicente medium (Michelle Yeoh) per evocare l'anima di sua figlia Alicia, morta suicida da poco. Ma quando la sensitiva verrà assassinata, Poirot dovrà indagare per scoprire se il colpevole è un fantasma o un assassino in carne e ossa. Il terzo film di Branagh sul personaggio di Agatha Christie, (molto) liberamente tratto dal romanzo "Poirot e la strage degli innocenti", è forse il più riuscito dei tre, anche perché gioca su piccola scala, con un cast di volti meno noti e un'ambientazione parecchio circoscritta. In effetti proprio l'atmosfera è la cosa migliore, con il fascino decadente e spettrale di una Venezia decrepita e maledetta. La vicenda si svolge quasi tutta in un palazzo dai muri scrostati, ricolmo di vecchi oggetti, fra spifferi e leggende di bambini fantasma che si vogliono vendicare dei soprusi subiti in passato, il che dona alla vicenda toni quasi da horror soprannaturale più che da giallo classico. Nel cast, oltre a Branagh e Yeoh, il volto più noto per noi italiani è quello di Riccardo Scamarcio nei panni dell'ex poliziotto e guardia del corpo di Poirot. Ci sono poi Kyle Allen, Camille Cottin, Jamie Dornan, Emma Laird e Ali Khan.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-47390597534255147302023-11-04T09:00:00.093+01:002024-01-05T13:00:39.091+01:00D&D: L'onore dei ladri (J. Goldstein, J. F. Daley, 2023)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/d&d-onoredeiladri.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Dungeons & Dragons: L'onore dei ladri<br>(Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves)<br>
di Jonathan Goldstein e John Francis Daley – USA 2023<br>
con Chris Pine, Michelle Rodriguez<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Il bardo ed ex spia Edgin (Chris Pine) e la guerriera Holga (Michelle Rodriguez), rivoltisi al furto, si alleano con il giovane stregone Simon (Justice Smith) e la druida mutaforma Doric (Sophia Lillis) per salvare Kira (Chloe Coleman), la figlia di Edgin, rapita dal truffatore Forge (Hugh Grant), che si è impadronito del potere in una città-stato con l'aiuto della perfida maga Sofina (Daisy Head). Chi cerca una trama sensata e personaggi originali rimarrà deluso. Chi si "accontenta" dell'avventura, della fantasia e della magia, invece, no. La vastità e la varietà del mondo, dei suoi scenari, delle creature e delle situazioni garantisce il divertimento, anche se a livello di sceneggiatura gli snodi sono meccanici e improbabili, il ritmo manca di respiro, e soprattutto tutto è ricolmo di umorismo e di battutine con occasionali dissonanze tonali quando si sfiorano temi seri o momenti di pathos. Insomma, un tipico prodotto da intrattenimento hollywoodiano. Che però, a differenza dei precedenti tentativi di portare al cinema il celebre gioco di ruolo (tre film usciti fra il 2000 e il 2012, di cui solo il primo in sala: il secondo solo in TV e il terzo direttamente nell'home video), questa volta ha riscosso un certo successo, se non di pubblico almeno di critica, anche per merito del buon cast (fa eccezione la bambina, tremenda). Regé-Jean Page è lo stregone Xenk Yendar, Bradley Cooper l'halfling Marlamin. Certo, sarebbe stato carino se la storia avesse fatto maggior riferimento alle dinamiche del gioco (di cui porta in scena comunque numerose creature, razze e oggetti magici). Tantissima CGI: le poche scene dal vivo sono state girate in Irlanda del Nord.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-75165286459205067362023-10-20T09:00:00.126+02:002023-10-20T09:00:00.139+02:00Il sol dell'avvenire (Nanni Moretti, 2023)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/soldellavvenire.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Il sol dell'avvenire<br>
di Nanni Moretti – Italia 2023<br>
con Nanni Moretti, Silvio Orlando<br>
***</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema), con Sabrina.</p> <p class="MsoNormal" style="">Il regista Giovanni (Moretti) si appresta a girare il suo nuovo film, ambientato negli anni cinquanta e incentrato sulla crisi di coscienza di Ennio (interpretato dall'attore Silvio Orlando), segretario di una sezione del partico comunista italiano, di fronte alla brutale repressione sovietica della controrivoluzione ungherese. E nel frattempo Giovanni deve fare i conti con la volontà di Paola (Margherita Buy), sua compagna e produttrice da quarant'anni, di lasciarlo, sia personalmente sia professionalmente. Moretti torna a recitare sé stesso, in un film con tutti i suoi vezzi, le ossessioni e le caratteristiche: le nevrosi, le difficoltà relazionali, i turbamenti politici, l'amore per la canzone italiana (con brani di Battiato, Tenco, De André, ma anche "Think" di Aretha Franklin), la cinefilia un po' snob (si mostrano scene da "Lola" di Demy e da "La dolce vita", si citano nei dialoghi Kieslowski, Cassavetes, i Taviani) che si accoppia al disagio di fronte al cinema moderno (le frecciatine a Netflix, con i suoi rappresentanti che continuano a ripetere che "i nostri prodotti sono visti in centonovanta paesi" e che nella pellicola di Giovanni manca "il momento <i>what the fuck</i>"), evidente anche nella scena in cui il protagonista contesta a un giovane regista emergente (Giuseppe Scoditti) di essere troppo "innamorato della violenza" ("La scena che stai girando fa male al cinema!") e di usarla come intrattenimento, "senza peso", e chiama a dargli manforte personaggi come Renzo Piano, Chiara Valerio e Corrado Augias (nei panni di sé stessi), una sequenza che ricorda quella di Woody Allen con Marshall McLuhan in "Io e Annie". Aggiungiamoci la consapevolezza del tempo che passa: il distacco dalla modernità, la decisione di voler girare più spesso (e non solo "un film ogni cinque anni"), e ovviamente l'idea della morte che si avvicina: il soggetto del film nel film prevedeva in effetti una conclusione cupa (un nichilismo che però piace ai produttori coreani), poi cambiata all'ultimo momento e trasformata in un'utopia socialista, con una "felliniana" sfilata del circo, cui partecipano tutti i personaggi (e anche alcuni volti noti extra, ovvero i protagonisti di molti film precedenti di Moretti, fra cui Alba Rohrwacher, Jasmine Trinca, Giulia Lazzarini, Lina Sastri e Renato Carpentieri) e che si conclude con lo stesso Moretti che saluta lo spettatore. Chi ama il regista si troverà di sicuro a suo agio, come di fronte a un vecchio amico di cui conosce pregi e difetti. Barbora Bobulova è l'attrice che recita insieme a Orlando. Nel cast di contorno si riconoscono Mathieu Amalric (il produttore francese, che gira insieme a Giovanni per le strade di Roma di notte in monopattino elettrico), Valentina Romani (Emma, la figlia di Giovanni, autrice delle musiche del film), Jerzy Stuhr (il suo fidanzato, ambasciatore polacco), Teco Celio (lo psicoanalista da cui va Paola) e Zsolt Anger (il direttore del circo). Nella scena iniziale, il titolo del film viene dipinto a grandi lettere rosse sul muro delle arcate di un ponte sul Tevere.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-42355177083628211962023-09-20T12:00:00.000+02:002023-09-20T12:20:54.653+02:00Dust in the wind (Hou Hsiao-hsien, 1986)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/dustinthewind.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Dust in the wind (Lian lian feng chen)<br>
di Hou Hsiao-hsien – Taiwan 1986<br>
con Wang Chien-wen, Hsin Shu-fen<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Rivisto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.</p> <p class="MsoNormal" style="">Amici e "fidanzatini" sin dall'infanzia, il giovane Wan (Wang Chien-wen) e la compagna Huen (Hsin Shu-fen) si trasferiscono dopo la scuola dal villaggio natale di Jiufen nella capitale Taipei, in cerca di lavoro. Ma le cose non andranno come previsto. E mentre Wan svolge il servizio militare, verrà a sapere che Huen ha sposato un altro. Basato sui ricordi d'infanzia dello sceneggiatore Wu Nien-jen (che inizia qui una collaborazione con Hou Hsiao-hsien che proseguirà con "Città dolente" e "Il maestro burattinaio"), è il terzo capitolo di una trilogia di "memorie" firmata dal regista, dopo "In vacanza dal nonno" (che si ispirava all'infanzia di un altro sceneggiatore, Chu Tien-wen) e "A time to live, a time to die" (sulle esperienze dello stesso HHH). I tre film sono piuttosto simili, caratterizzati da una struttura episodica, con momenti di "slice of life" che mettono in evidenza le difficoltà della crescita, dei rapporti con i genitori e con il mondo esterno, in chiave anti-nostalgica (il periodo dell'adolescenza è tutt'altro che edulcorato). Questo, però, è forse il meno riuscito dei tre, e non solo perché molti temi erano già stati affrontati nei lavori precedenti: anche per via del realismo di fondo, si ha la sensazione che la narrazione salti di palo in frasca, i personaggi non sono mai pienamente caratterizzati e il risultato è alquanto noioso. Ottime, come sempre, regia e atmosfera (la pellicola fu acclamata per il ritratto di una Taiwan rurale e quasi dimenticata), nonché le prove di attori in gran parte non professionisti, tranne qualche comprimario. Li Tian-lu, che interpreta il nonno di Wan, sarà riutilizzato da HHH in altri due film. La storia si svolge negli anni settanta, quando Jiufen era un villaggio in gran parte minerario. Il film che viene proiettato sui teloni nella piazza del paese è "Beautiful Duckling" di Li Hsing. La colonna sonora è di Chen Ming-Chang, al suo esordio come compositore cinematografico.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-29500167273952438602023-08-21T09:00:00.082+02:002023-08-21T09:00:00.143+02:00Vampires (John Carpenter, 1998)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/vampires.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Vampires (John Carpenter's Vampires)<br>
di John Carpenter – USA 1998<br>
con James Woods, Daniel Baldwin<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Rivisto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Il rude Jack Crow (James Woods) è a capo di un gruppo di cacciatori di vampiri che, finanziati dal Vaticano, hanno l'incarico di rintracciare e sterminare i succhiasangue nel sud-ovest americano. Ma dopo che la loro intera squadra è stata sterminata da Valek, un "maestro" particolarmente duro a morire, Jack e il fido Montoya (Daniel Baldwin) si ritroveranno ad affrontarlo con il solo aiuto di un giovane prete inesperto (Tim Guinee) e di una prostituta morsa dal mostro (Sheryl Lee). Un film di vampiri diretto da John Carpenter? Non poteva che essere tamarro al 100%. Per cominciare, si smonta il mito dei vampiri "romantici" che in quegli anni era tornato in auge grazie a pellicole come il "Dracula" di Coppola (1992) e "Intervista col vampiro" (1994): per usare le parole di Jack, i vampiri "non assomigliano affatto a un branco di transessuali che se ne vanno in giro in abito da sera a tentare di rimorchiare tutti quelli che incontrano, con un falso accento europeo". E anche i cacciatori sono canaglie, brutti, sporchi e cattivi, che dicono parolacce e volgarità assortite, bevono, vanno a puttane e picchiano i preti (!). L'ambientazione, poi, è quanto di più distante dagli scenari urbani tipici del genere: siamo nel Nuovo Messico, fra deserti e missioni spagnole abbandonate, più adatta a un film western che dell'orrore. Il film stesso è girato come un western alla Peckinpah, con un'atmosfera polverosa e piena di stile cui contribuiscono anche la colonna sonora (dello stesso Carpenter, come al solito) e la fotografia crepuscolare (di Gary B. Kibbe). Il divertimento non manca, e il <i>gore</i> nemmeno, anche se nella parte centrale la pellicola si trascina un po' stancamente. Ma il regista sa tenere desta l'attenzione dello spettatore anche con pochi mezzi (la pellicola è evidentemente girata al risparmio) e sa creare un "mondo" con le sue regole (che i cacciatori citano in continuazione) e la sua coerenza interna. Nel cast anche Maximilian Schell (il cardinale).</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-29954959340967446612023-08-19T09:00:00.040+02:002023-08-19T13:41:22.398+02:00Megan (Gerard Johnstone, 2022)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/m3gan.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Megan (M3GAN)<br>
di Gerard Johnstone – USA 2022<br>
con Allison Williams, Violet McGraw<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Gemma, progettista di giocattoli iper-tecnologici, mette a punto un'innovativa (e inquietante) bambola robot, M3GAN (sigla che sta per Model 3 Generative Android), dotata di intelligenza artificiale, che può essere programmata per diventare la "migliore amica" della bambina cui viene abbinata. E non solo giocare con lei, ma prendersene cura nel tempo libero come una baby sitter (di fatto sostituendo i genitori) e proteggerla da ogni possibile pericolo... Quando la donna sperimenta il prototipo facendolo abbinare alla sua nipotina Cady, di cui ha assunto la custodia dopo la morte dei suoi genitori, le cose però non vanno come previsto. Da un lato la bambola, infatti, prende alla lettera il compito di proteggere la bambina, giungendo persino a uccidere chi la minaccia (dal cane della vicina a un bullo del campo scuola), dall'altro la stessa Cady diventa talmente dipendente dalla sua nuova amica da rifiutare ogni altra interazione con il mondo esterno... L'interessante soggetto (di James Wan) non è, a ben vedere, così originale: sembra quasi un mix fra "Small Soldiers" e le tante pellicole horror sulle bambole (come "Chucky la bambola assassina"). Ma supera i limiti della convenzionalità quando preferisce concentrarsi sugli aspetti emotivi e psicologici legati alla genitorialità, alla crescita, al lutto, e anche – e qui forse sta la principale novità – all'eccessivo affidamento alla tecnologia nella vita di tutti i giorni. Delude invece sul fronte puramente horror, anche perché la regia ha quasi timore di mostrare in maniera esplicita le scene cruente, lasciandole spesso fuori campo (una caratteristica di molto cinema dell'orrore moderno, se confrontato con quello degli anni ottanta, per esempio). La prova della protagonista Allison Williams convince poco: molto meglio la bambina (Violet McGraw). Già in cantiere un sequel.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-78076368442400828422023-08-16T09:00:00.001+02:002023-08-16T09:00:00.140+02:00Forrest Gump (Robert Zemeckis, 1994)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/forrestgump.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Forrest Gump (id.)<br>
di Robert Zemeckis – USA 1994<br>
con Tom Hanks, Robin Wright, Gary Sinise<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Rivisto in divx.</p> <p class="MsoNormal" style="">Seduto su una panchina, alla fermata di un autobus, l'ormai quarantenne Forrest Gump (un Tom Hanks praticamente perfetto) racconta la storia della sua vita a una serie di sconosciuti. Nato in una fattoria dell'Alabama, con un ritardo mentale (ha un quoziente intellettivo di soli 75 punti, nettamente al di sotto della media), ha vissuto contro ogni aspettativa un'esistenza incredibilmente e inconsapevolmente di successo, attraversando (senza rendersene conto) tutti gli avvenimenti più importanti della storia americana della seconda metà del ventesimo secolo: dalla fine della segregazione razziale nelle scuole alla guerra del Vietnam, dal disgelo con la Cina alle contestazioni hippy, incontrando (fra gli altri) Elvis Presley, John Lennon, Kennedy, Nixon... E grazie alla sua buona natura, ma anche a una serie di coincidenze che lo hanno portato a trovarsi spesso nel posto giusto e al momento giusto, si è laureato (con una borsa di studio sportiva), è diventato un eroe di guerra, un campione di ping pong, un imprenditore, un miliardario e infine, dopo essersi sposato con la sua amica di sempre (Robin Wright), un padre felice. Dopo una lunga serie di pellicole avventurose, fantascientifiche e horror, Robert Zemeckis approda per la prima volta al cinema "mainstream" adattando (non del tutto fedelmente) l'omonimo romanzo di Winston Groom e riscuotendo un enorme successo: il film vinse sei Oscar (su tredici nomination): miglior film (sottraendolo a "Pulp Fiction"), attore (il secondo di fila per Hanks, dopo "Philadelphia"), regia, sceneggiatura, montaggio ed effetti visivi. Nonostante alcuni momenti toccanti (quelli sul rapporto fra Forrest e l'amata Julia, ma anche con il tenente Dan (Gary Sinise), conosciuto in Vietnam: per entrambi diventa un'ancora di salvezza) e altri francamente divertenti (la scena in cui Forrest, che si mette a correre per la strada per tre anni di fila, diventa una sorta di guru spirituale, sembra un incrocio fra "Oltre il giardino" e "Brian di Nazareth"), nell'insieme è però una pellicola superficiale e autocompiaciuta. E allora perché (ci) piace? Forse proprio perché sullo slancio di un tono quasi fiabesco non ha un vero messaggio da mandare (nonostante i numerosissimi "messaggi" che lo stesso Gump cita a profusione, quasi tutti preceduti dalla frase "Mia mamma diceva sempre che...", molti dei quali diventati dei tormentoni iconici e pluricitati, come "La vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita", o "Stupido è chi lo stupido fa"): non offre una chiave satirica, non intende offrire analisi sociali o politiche, e non sa ironizzare né contestualizzare gli eventi che racconta, inserendoli magari in una sorta di progressione narrativa. Tutto capita e basta, e al limite siamo felici nel vedere una persona fondamentalmente "buona" come il protagonista (ma buona non per scelta morale, ma perché i suoi limiti intellettivi gli precludono la "cattiveria": di fatto non comprende nemmeno cosa siano il razzismo o la guerra) riuscire a trovare armonia e affermazione quando invece gli individui "normali" attorno a lui (Jenny e Dan in primis) sono tormentati, sbandati e autodistruttivi. Ma dopo un po', le mille coincidenze e citazioni cominciano a lasciare il tempo che trovano e diventano semplici strizzatine d'occhio (il Watergate, la Apple ("una specie di società di frutta"), lo smile...). Notevole, per l'epoca, l'uso degli effetti digitali quasi invisibili (opera della Industrial Light & Magic), come la piuma che svolazza in aria, animata sui titoli di testa e di coda, che simboleggia lo stesso Gump che si fa portare in giro dal vento, o l'inserimento di Forrest all'interno dei filmati in cui compaiono personaggi celebri, ma anche le gambe amputate del tenente Dan e il movimento delle palline da ping pong. Il figlio di Forrest, nel finale, è Haley Joel Osment. La colonna sonora comprende una trentina di celebri canzoni dell'epoca. Per un certo periodo si valuto l'opportunità di girare un sequel, ipotesi poi tramontata.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-38032807643944578622023-08-12T09:00:00.075+02:002023-08-12T09:00:00.145+02:00Il genio della truffa (Ridley Scott, 2003)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/geniodellatruffa.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Il genio della truffa (Matchstick Men)<br>
di Ridley Scott – USA/GB 2003<br>
con Nicolas Cage, Alison Lohman<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Rivisto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Roy (Nicolas Cage), che si guadagna da vivere organizzando piccole e grandi truffe insieme al complice Frank (Sam Rockwell), soffre di disturbo ossessivo-compulsivo, è agorafobico e ossessionato dall'igiene. Quando nella sua vita disordinata si presenta all'improvviso Angela (Alison Lohman), la figlia quattordicenne che ignorava di avere, le cose cominciano a migliorare. Ma non tutto è come sembra... Il problema con i film di questo tipo, che parlano di truffe e truffatori, è che in fondo sono estremamente prevedibili: lo spettatore è portato a sospettare di ogni cosa, e dunque i twist e i colpi di scena che inevitabilmente giungono verso il finale non sconvolgono come farebbero in altre pellicole. In questo caso, tutto è così evidente sin dall'inizio che viene quasi il dubbio che gli sceneggiatori (che si sono basati su un soggetto di Eric Garcia) non ci abbiano provato nemmeno: Roy si fa "fregare" come una delle sue vittime, ma il focus del film non è la truffa in sé quando lo studio del personaggio (con le sue manie, le sue ossessioni, i suoi problemi relazionali) e il rapporto con la figlia che lo aiuta a crescere e ad uscire dal tunnel. Lo dimostra il fatto che alla risoluzione del twist stesso non viene data particolare enfasi, nemmeno a livello registico. Buone le prove degli attori: in particolare la Lohman, ventiquattrenne, è piuttosto credibile nell'interpretare una quattordicenne (!). Nel cast anche Bruce Altman, Bruce McGill e Sheila Kelley. Anche se regge a una seconda visione, complessivamente però il film è dimenticabile.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-20618288155326851042023-08-10T09:00:00.102+02:002023-08-10T09:00:00.143+02:00Breakfast club (John Hughes, 1985)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/breakfastclub.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Breakfast Club (The Breakfast Club)<br>
di John Hughes – USA 1985<br>
con Molly Ringwald, Judd Nelson<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Messi in punizione per motivi diversi, cinque studenti liceali appartenenti a "circoli" molto differenti fra loro – la "principessa" Claire (Molly Ringwald), l'"atleta" Andrew (Emilio Estevez), il "ribelle" John (Judd Nelson), il "secchione" Brian (Anthony Michael Hall) e la "disadattata" Allison (Ally Sheedy) – sono costretti a trattenersi di sabato nella biblioteca della scuola, per l'intera giornata, a scrivere un tema su sé stessi. Inizialmente scoccano scintille: ma col passare delle ore, man mano che parlano e si "confessano" l'uno con l'altro, i cinque ragazzi cominciano a scoprirsi più simili di come pensavano, accomunati dalle barriere di incomprensione che li separano dal mondo adulto, dal difficile rapporto con i genitori (c'è chi pretende troppo da loro, e chi invece li ignora) e con i professori (come il tirannico vice-preside Vernon (Paul Gleason), che li sorveglia durante la loro punizione), e in generale da una forte disillusione verso il mondo e il proprio futuro. Aperto da una citazione di David Bowie ("E questi ragazzi sui quali sputate, mentre cercano di cambiare il loro mondo, sono immuni dai vostri giudizi. Sono perfettamente consapevoli di quello che stanno attraversando...", da "Changes") e ambientato tutto fra le quattro mura scolastiche e praticamente con solo sette attori (oltre ai cinque ragazzi e al professore, c'è anche il bidello Carl (John Kapelos)), il secondo film di John Hughes è una riflessione prima di tutto sull'identità e su come definire sé stessi di fronte alle aspettative o ai pregiudizi esterni, in particolare quelli della generazione precedente. Ma rappresenta anche un grido di ribellione verso il sistema scolastico, che incasella gli studenti e frustra le loro reali ambizioni, nonché un'espressione del desiderio di vivere in maniera autonoma e individuale. I personaggi sono forse un po' troppo costruiti e stereotipati nella loro diversità, e i dialoghi sono a tratti esistenzialisti e poco realistici ("Finiremo per somigliare ai nostri genitori?" "È inevitabile. Quando cominci a crescere il tuo cuore muore"), ma il film ha lasciato una forte impronta culturale, soprattutto negli Stati Uniti, dove è diventato un cult movie e il simbolo di una generazione, quella dei teenager anni ottanta. Sui titoli di apertura e di chiusura c'è la canzone "Don't You (Forget About Me)" dei Simple Minds.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-57969566237401979592023-08-04T09:00:00.067+02:002023-08-04T09:00:00.127+02:00Gli avventurieri (Michael Curtiz, 1939)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/avventurieri.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Gli avventurieri (Dodge City)<br>
di Michael Curtiz – USA 1939<br>
con Errol Flynn, Olivia de Havilland<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (RaiPlay).</p> <p class="MsoNormal" style="">Negli anni successivi alla guerra civile americana, Dodge City, nuova città di frontiera e centro del commercio di bestiame della regione, è funestata dal crimine, dalla violenza e dall'illegalità. Il mandriano Wade Hatton (Errol Flynn) viene perciò assunto come sceriffo per ripulirla dai banditi che vi spadroneggiano. E con l'aiuto del fedele Rusty (Alan Hale) e della bella Abbie (Olivia de Havilland), di cui è innamorato, saprà sgominare la banda dell'infido Surrett (Bruce Cabot). Esordio nel western per Flynn, attore fino ad allora celebre per le pellicole di cappa e spada, sin dai tempi di "Capitan Blood", film che aveva fra l'altro segnato la prima delle sue numerose collaborazioni con la De Havilland e il regista Michael Curtiz. Sceneggiato da Robert Buckner, è un western solido e con tutte le carte in regola (carovane di pionieri, treni in fiamme, sparatorie in strada, risse nei saloon...), anche se gli manca il guizzo che lo renda memorabile. Al fianco dell'affabile Flynn ci sono una serie di caratteristi che danno vita a personaggi simpatici, e non mancano momenti inaspettatamente drammatici, ma tutto è un po' all'acqua di rose, finalizzato a uno spettacolo hollywoodiano che celebra, oltre che la storia del paese, soprattutto sé stesso.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-86676218547573101312023-08-02T09:00:00.170+02:002023-08-02T09:00:00.153+02:00I misteri di un'anima (G. W. Pabst, 1926)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/misteridiunanima.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">I misteri di un'anima (Geheimnisse einer Seele)<br>
di Georg Wilhelm Pabst – Germania 1926<br>
con Werner Krauss, Ruth Weyher<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto su <a HREF="https://www.youtube.com/watch?v=aYoXy3bYD1k">YouTube</a>, con cartelli in inglese.</p> <p class="MsoNormal" style="">Rimasto scosso dalla notizia di un omicidio avvenuto nella casa accanto (una donna uccisa con un rasoio), un uomo (Werner Krauss) inizia ad avere strani incubi, costellati da misteriose visioni. E in concomitanza con il ritorno dall'Oriente del suo più caro amico d'infanzia (Jack Trevor), nonché cugino della moglie (Ruth Weyher), scopre di avere il terrore di impugnare un coltello o una lama affilata, provando l'irresistibile impulso di usarli per uccidere proprio la consorte. Fugge così di casa, incontrando per caso un medico (Pavel Pavlov) che si offre di aiutarlo usando un nuovo metodo messo a punto da poco, la "psicoanalisi". Nel corso di una serie di sedute, il dottore riuscirà infatti a scoprire il motivo delle pulsioni alla base del trauma del protagonista. Per quanto non privo di ingenuità (il cartello iniziale recita "In ogni uomo ci sono desideri e passioni inconsci. Dal loro tentativo di emergere possono derivare misteriose malattie. La psicoanalisi le cura."), uno dei primi film a mettere in scena in maniera realistica e scientifica le teorie e i metodi della nuova disciplina di analisi del profondo. Il protagonista, un chimico viennese, ama la moglie ma vede irrazionalmente nel cugino una "minaccia" al loro matrimonio, nonché la causa del fatto che non abbiano figli. E le immagini surreali del sogno acquistano il loro reale significato solo quando vengono rielaborate e descritte dallo psichiatra, che analizzandole le riconduce a esperienze, paure e umiliazioni passate. Ovviamente basta ricordare traumi e sogni, ovvero portare le immagini fuori dall'inconscio, e si guarisce di colpo. Il produttore del film, Hans Neumann, avrebbe voluto direttamente Sigmund Freud come consulente scientifico per la pellicola, ma lui rifiutò, e allora si rivolse a due suoi allievi, Karl Abraham e Hanns Sachs, citati nei titoli di testa.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-58195179026009676872023-07-31T09:00:00.208+02:002023-07-31T09:00:00.142+02:00Avatar 2 (James Cameron, 2022)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/avatar2-laviadellacqua1.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Avatar: La via dell'acqua (Avatar: The Way of Water)<br>
di James Cameron – USA 2022<br>
con Sam Worthington, Stephen Lang<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Disney+).</p> <p class="MsoNormal" style="">Per proteggere la propria famiglia – la moglie Neytiri (Zoe Saldana) e i quattro figli Neteyam, Lo'ak, Tuk e Kiri (Sigourney Weaver!), quest'ultima adottata – dalla vendetta del redivivo colonnello Quaritch (Stephen Lang), tornato su Pandora nel corpo clonato di un Na'vi insieme a una nuova forza di invasione terrestre, l'ex marine Jake Sully (Sam Worthington) – diventato nel frattempo un capoclan Na'vi col nome di Omaticaya – decide di abbandonare insieme a loro il mondo delle foreste e di stabilirsi presso le tribù indigene che vivono sulla costa, vicino alle barriere coralline. Qui i suoi figli imparano le usanze dei popoli marini, "la via dell'acqua", cercando di integrarsi fra loro. Ma il colonnello li rintraccia lo stesso, e lo scontro sarà inevitabile. L'enorme successo commerciale di "Avatar", nel 2009, aveva portato James Cameron a mettere quasi immediatamente in cantiere un sequel, anzi una serie di seguiti (ne sono previsti quattro, per ora), la cui lavorazione si è però protratta talmente a lungo che il primo di questi è uscito ben tredici anni dopo il prototipo. Tredici anni in cui il mondo del cinema è andato avanti, in molteplici direzioni: la febbre del 3D (che tanto aveva contribuito agli incassi del primo film), per esempio, è quasi svanita. Il che aveva spinto molti analisti a immaginare un sonoro flop per il secondo "Avatar", anche considerando il fatto che il primo aveva lasciato ben poco nell'immaginario collettivo. E invece, ancora una volta Cameron ha avuto ragione, almeno dal punto di vista commerciale: "La via dell'acqua" ha fatto sfracelli al botteghino, incassando oltre due miliardi di dollari in tutto il mondo. Tecnicamente impeccabile, narrativamente parlando però è carente quasi quanto il film precedente: una storia esile e poco interessante, situazioni stereotipate (i bulli, le dinamiche da teenager), dialoghi mediocri, personaggi debolmente o per nulla caratterizzati.
</p><a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/avatar2-laviadellacqua2.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">
Il punto di forza, ancora una volta, sono le immagini: l'aspetto visivo è spettacolare, anche se tutto è CGI e animazione digitale, per una serie di scenari "esageratamente" belli ma anche incapaci di offrire autentici agganci emotivi. È videografica (nemmeno videoarte), non più cinema, e più che a un film sembra di assistere a uno screensaver o a uno di quei filmati dimostrativi che scorrono sugli schermi dei televisori messi in mostra nei negozi di elettronica. Così come è difficile riconoscere gli attori dietro i loro "avatar" digitali (ho scoperto che uno dei personaggi è interpretato da Kate Winslet soltanto leggendo i titoli di coda). Fra i soggetti affrontati, sorvolando sugli abusati temi sul concetto di famiglia, spicca quello dell'incontro fra le diverse culture, che riguarda sia i buoni (la famiglia di Sully che cerca di integrarsi dei Na'vi del mare) sia i cattivi (Quaritch e i suoi uomini cercano di "imparare a pensare come il nemico"). Continua invece a mancare ogni riflessione sull'identità, a dispetto del titolo della <i>franchise</i>. Riguardo al world building, si ripetono gli stessi temi del primo film, a partire dalla "comunione con la natura", che qui si riflette nel rapporto fra i clan del mare e i giganteschi tulkun, enormi cetacei "intelligenti e sensibili" a cui ovviamente i cattivi danno la caccia come, sulla Terra, fanno le baleniere. Sully resta ai margini di quasi tutta la pellicola, lasciando il proscenio ai figli, salvo affrontare il cattivo nel finale. Fra i nuovi personaggi spicca "Spider" (Jack Champion), il figlio del colonnello, cresciuto fra i Na'vi e diventato amico dei figli di Sully, che si aggira fra gli indigeni quale unico umano con una maschera per respirare (ricordando in questo la Sandy Cheeks di Spongebob!). Nonostante la lunga durata (oltre tre ore), il film è complessivamente inconcludente nel quadro più ampio (la nuova invasione terrestre non viene sventata) e fa solo da preambolo ai capitoli successivi. Premio Oscar per gli effetti speciali, più altre tre nomination (sonoro, scenografie e film, quest'ultima regalata).</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-77966206329485238002023-07-29T09:00:00.237+02:002023-07-29T09:00:00.139+02:00Da qui all'eternità (Fred Zinnemann, 1953)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/daquialleternita.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Da qui all'eternità (From Here to Eternity)<br>
di Fred Zinnemann – USA 1953<br>
con Burt Lancaster, Montgomery Clift<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in divx.</p> <p class="MsoNormal" style="">All'inizio degli anni quaranta, il trombettiere militare Robert "Prew" Prewitt (Montgomery Clift) viene trasferito come soldato semplice in una compagnia di fucilieri stanziata alle isole Hawaii. Qui trova un ambiente ostile, fomentato soprattutto dal capitano Holmes (Philip Ober), appassionato di pugilato che, sapendo dei trascorsi di Prew come boxeur, vorrebbe che entrasse a far parte nella squadra della compagnia per vincere il torneo del reggimento. E di fronte al suo rifiuto (motivato non solo da testardaggine e orgoglio, ma anche dal trauma di aver ferito un amico durante un incontro), gli rende la vita difficile in ogni modo. La sua storia si intreccia con quella del sergente Milton Warden (Burt Lancaster), innamorato di Karen (Deborah Kerr), l'infelice moglie del capitano; e con quella di Angelo Maggio (Frank Sinatra), l'unico amico di Prew, oggetto di una crudele vendetta da parte del sadico sergente "Trippa" Judson (Ernest Borgnine). Tutte le storie prenderanno una piega drammatica quando la base militare sarà bombardata dai giapponesi, il 7 dicembre del 1941: è l'attacco di Pearl Harbour, che segna l'ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. Dal romanzo di James Jones, sceneggiato da Daniel Taradash, un film corale che fece scalpore per come seppe ritrarre la vita in una caserma militare in tempo di pace, alternando momenti leggeri e altri più pesanti, fra amicizia, rivalità, cameratismo e litigi, senza edulcorarne gli aspetti più negativi: il nonnismo, il bullismo, gli abusi degli ufficiali, i traumi del passato e i tentativi di "evasione" del presente (come le visite al locale bordello). A colpire l'immaginario fu anche la forte carica sensuale di alcune scene, su tutte il celeberrimo bacio sulla spiaggia fra Lancaster e la Kerr. Ma in generale i rapporti con l'altro sesso sono problematici: sia Warden sia Prew – che si innamora dell'"intrattenitrice" Lorena (Donna Reed) – rinunciano rispettivamente alla vita da civile o da ufficiale, che le donne vorrebbero per loro (e dunque un matrimonio e un "lieto fine" romantico), pur di rimanere fedeli a sé stessi e all'esercito. Colpisce però come, fino al finale, non si parli quasi mai di guerra: se pellicole come "I migliori anni della nostra vita" mostravano le ricadute psicologiche del conflitto, qui i soldati vivono in un microcosmo isolato e che sembra distante anni luce dagli eventi che accadevano in quegli anni in Europa, di cui non si fa nemmeno menzione; l'attacco giapponese nel finale piomba quasi dal nulla e senza preavviso. E se all'epoca fu percepito come estremamente intenso e realistico, visto oggi forse risulta un po' datato e inneguo. Grande successo di pubblico e di critica, con otto premi Oscar vinti su ben 13 nomination: miglior film, regia, attore non protagonista (Sinatra), attrice non protagonista (Reed), sceneggiatura, fotografia, montaggio e sonoro. Per Sinatra (scelto al posto di Eli Wallach), in particolare, fu la tanto attesa consacrazione in campo cinematografico, curiosamente per un ruolo che non gli richiedeva di cantare. Il titolo proviene da un verso di una poesia di Rudyard Kipling.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-34478744963755369402023-07-27T09:00:00.076+02:002023-07-27T09:00:00.140+02:00Close (Lukas Dhont, 2022)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/close-2022.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Close (id.)<br>
di Lukas Dhont – Belgio/Fra/Ola 2022<br>
con Eden Dambrine, Gustav de Waele<br>
***</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">L'amicizia fra i tredicenni Léo (Dambrine) e Rémi (de Waele) è talmente stretta che a scuola i compagni suggeriscono che siano innamorati l'uno dell'altro. La cosa turba Léo, che cerca di prendere le distanze dall'amico, allontanandosi da lui – da cui in precedenza era inseparabile – per frequentare altri circoli. E quando Rémi, improvvisamente, si suiciderà, Léo sarà tormentato dai sensi di colpa. Secondo film per il regista Lukas Dhont e il suo co-sceneggiatore Angelo Tijssens: come il precedente "Girl", con cui ha molto in comune, esplora il vissuto intimo di personaggi giovanissimi alla prese con la scoperta di sé e dei propri sentimenti, qualcosa di assai difficile in un'età in cui non solo non si hanno le idee chiare, ma non si è nemmeno abbastanza forti da resistere all'influenza dell'ambiente circostante, anche quando questo non è necessariamente negativo o tossico (i genitori dei due bambini approvano la loro amicizia, i compagni di classe si limitano a scherzarci sopra). E che, per questi motivi, scelgono di cambiare strada per paura dei propri sentimenti o per il timore di essere giudicati. La maggior parte della pellicola si svolge dopo la morte di Rémi, e dunque il film parla più di elaborazione del lutto e dei sensi di colpa (quando la vita "va avanti") che di consapevolezza <i>queer</i> o di coming out (anzi, non è nemmeno detto che Léo sia gay: la sua amicizia con Rémi può essere semplicemente questo, un'amicizia), come invece accadeva, per esempio, in "Fucking Åmål". Rispetto a "Girl", il film è forse un po' più costruito, ma non meno intenso. Grand Prix a Cannes, e nomination all'Oscar come miglior film straniero.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-48195518118270112332023-07-25T09:00:00.000+02:002023-07-25T09:00:00.142+02:00Good night, and good luck (G. Clooney, 2005)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/goodnightandgoodluck.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Good Night, and Good Luck. (id.)<br>
di George Clooney – USA 2005<br>
con David Strathairn, George Clooney<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Rivisto in TV (Prime Video).</p> <p class="MsoNormal" style="">Negli anni cinquanta, il giornalista Edward R. Murrow (David Strathairn), già celebre per i suoi notiziari dal fronte durante la seconda guerra mondiale e ora conduttore di una popolare trasmissione d'inchiesta sulla CBS ("See It Now"), comincia a prendere posizione contro il maccartismo imperante e la "caccia alle streghe" condotta dal senatore McCarthy contro chiunque sia sospettato di avere simpatie per il comunismo, dapprima segnalando nella sua trasmissione casi di abusi e violazioni dei diritti civili e poi attaccando direttamente il senatore. Il film di Clooney (alla sua seconda regia, dopo "Confessioni di una mente pericolosa", e che si ritaglia per sé il ruolo di Fred Friendly, amico, collaboratore e producer di Murrow) ricostruisce l'ambiente di quegli anni dal punto di vista della redazione giornalistica, in una sorta di omaggio a Murrow e alla sua concezione della televisione, che non deve fornire solo intrattenimento fine a sé stesso ma anche informare il pubblico e denunciare le storture della politica. Girato in un bianco e nero patinato, il film è però monotono nel ritmo, ingessato nello stile e noioso nella narrazione, nonostante alcune sottotrame (il giornalista emarginato che si suicida, la coppia che finge di non essere sposata) e un tema tutto sommato "importante", legato a un periodo particolare della storia e della cultura americana nel dopoguerra. Il titolo è la frase con cui Murrow era solito chiudere ogni sua trasmissione. Nel cast anche Jeff Daniels, Frank Langella, Grant Heslov e Patricia Clarkson. Ottimo il riscontro critico, con sei nomination agli Oscar (miglior film, regia, attore, sceneggiatura, fotografia e scenografia) ma nessuna statuetta. Strathairn vinse anche la coppa Volpi a Venezia.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-51970391588560833552023-07-24T09:00:00.082+02:002023-07-24T09:00:00.135+02:00La macchinazione (David Grieco, 2016)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/macchinazione.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">La macchinazione<br>
di David Grieco – Italia 2016<br>
con Massimo Ranieri, Libero De Rienzo<br>
*</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Nell'estate del 1975, mentre sta montando quello che sarà il suo ultimo film ("Salò o le 120 giornate di Sodoma"), Pier Paolo Pasolini lavora alla stesura di "Petrolio", romanzo-fiume nel quale intende denunciare le storture del sistema politico ed economico italiano, e in particolare attaccare Eugenio Cefis, presidente della Montedison, fondatore della loggia P2 e sospettato di essere invischiato nello stragismo di stato. Per metterlo a tacere, lo scrittore viene ucciso con una messinscena che fa ricadere la colpa di Pino Pelosi (Alessandro Sardelli), suo giovane amante di borgata. Ennesimo <i>biopic</i> sulla morte di PPP (solo tre anni prima c'era stato il "Pasolini" di Abel Ferrara), che nelle intenzioni vorrebbe essere una pellicola di denuncia o di impegno sociale come quelle che si giravano in Italia negli anni settanta (a un certo punto si cita il Volontè di "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto"). Ma il risultato è superficiale e inconcludente sotto ogni aspetto, con caratterizzazioni e dinamiche da fiction televisiva. I dialoghi sono didascalici, la sceneggiatura goffa, gli attori mediocri e mal diretti (l'unico che si salva è Libero De Rienzo nei panni di Antonio Pinna, personaggio fra l'altro fondamentalmente inutile). Ranieri nei panni di Pasolini convince moderatamente, ma solo quando ha gli occhiali scuri. Milena Vukotic è la madre di PPP. Musica (usata poco e male) dei Pink Floyd. Grieco aveva lavorato per Pasolini come attore e aiuto regista.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-6415643829922474632023-07-22T09:00:00.107+02:002023-07-22T09:00:00.135+02:00Nel nome del padre (M. Bellocchio, 1972)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/nelnomedelpadre-1972.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Nel nome del padre<br>
di Marco Bellocchio – Italia 1972<br>
con Yves Beneyton, Renato Scarpa<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (RaiPlay).</p> <p class="MsoNormal" style="">Per punirlo della mancanza di rispetto verso il padre, il giovane Angelo Transeunti (Yves Beneyton) viene mandato in collegio, in un istituto religioso maschile. Insofferente non verso la disciplina in sé (che anzi invoca) quanto verso regole che ritiene assurde e datate, nonché verso l'ipocrisia di un sistema autoritario, patriarcale e religioso in cui non si riconosce, il ragazzo non esita a manifestare in ogni occasione il proprio disprezzo verso il corpo insegnante e i suoi stessi compagni. E più portato a comandare che a obbedire, trascina tutti in una rivolta contro l'ordine costituito e il pensiero religioso (a tutti i livelli, superstizioni popolari comprese). Ispirato a esperienze autobiografiche (si svolge nel 1958, l'anno della morte di Pio XII, di cui si parla in tv), il film di Bellocchio è quasi una rilettura ideologica di "Zero in condotta" di Vigo: ma lì la ribellione alle autorità era l'espressione di anarchica individualità e volontà di autodeterminazione, un desiderio di esprimere sé stessi anche attraverso il caos. Qui, invece, i toni grotteschi colorano il tutto di un'amara satira politica (Angelo – come suggeriscono la sua divisa e il suo aspetto – è chiaramente un "nazista", seguace della scienza e delle idee del Superuomo, oltre che un narcisista che non ha paura di nulla perché si sente superiore agli altri): non ci si ribella più per divertimento, ma per rabbia, così come non si recita per dare conforto o piacere allo spettatore (nella rappresentazione teatrale ispirata al "Don Giovanni", la cui ribellione è infatti contro tutto: il padre, la scuola, l'autorità e Dio stesso) ma per suscitare paura e angoscia. Nonostante alcuni momenti interessanti, per quanto cupi, l'insieme è un po' troppo episodico e confuso, anche perché al tempo stesso vuole essere omnicomprensivo (alla rivolta degli studenti figli di papà, ovvero quelli delle classi agiate, si sovrappone quella dei servitori, i camerieri e i bidelli della scuola, per motivo ben più prosaici, sindacali e "di sinistra"). Renato Scarpa è il vice rettore, Aldo Sassi è Franco, compagno "filosofo" di Angelo. Piccoli ruoli per Laura Betti (la madre di Franco) e Lou Castel (uno degli inservienti). Musiche di Nicola Piovani. Da non confondere con l'omonimo film di Jim Sheridan del 1993.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-1568162804758811982023-07-20T09:00:00.089+02:002023-07-20T09:00:00.136+02:00Frantic (Roman Polanski, 1988)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/frantic.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Frantic (id.)<br>
di Roman Polanski – USA/Francia 1988<br>
con Harrison Ford, Emmanuelle Seigner<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Rivisto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Il chirurgo americano Richard Walker (Harrison Ford) è appena giunto a Parigi per un congresso medico in compagnia della moglie (Betty Buckley). Ma quando questa sparisce misteriosamente dall'albergo senza lasciare traccia, e né le autorità locali né l'ambasciata sembrano fare nulla per aiutarlo, si getta alla sua ricerca, scoprendo che è stata rapita da misteriosi individui a causa di una valigia scambiata per errore all'aeroporto... Un thriller tradizionale, di stampo quasi hitchcockiano: oltre al tema dell'uomo comune che si ritrova invischiato senza volerlo in una vicenda avventurosa o di spionaggio, c'è anche il più classico dei "MacGuffin", l'oggetto che fa gola ai cattivi e che fa muovere la vicenda, anche se in fondo non è importante di cosa si tratti (in questo caso, il componente di un'arma nucleare, nascosto dentro un modellino della statua della libertà). Ford, "eroe d'azione" suo malgrado (vedi la scena sui tetti), è il mattatore, mentre al suo fianco c'è la quasi esordiente – e futura moglie e musa del regista – Emmanuelle Seigner nei panni di Michelle, la ragazza che ha contrabbandato in Francia la statuetta e che affianca il dottor Walker nelle sue indagini. La sceneggiatura la tira forse un po' troppo per le lunghe nella seconda parte, ma riesce a mantenere la tensione fino in fondo. Bella l'atmosfera, favorita anche dalla fotografia di Witold Sobociński e dalla musica di Ennio Morricone (ma nella colonna sonora ricorre a più riprese la canzone "I've Seen That Face Before" di Grace Jones, sul motivo del "Libertango" di Piazzolla).</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-27182268763977913172023-07-16T09:00:00.288+02:002023-07-16T09:00:00.131+02:00L'imperatrice Yang Kwei-fei (K. Mizoguchi, 1955)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/imperatriceyangkweifei.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">L'imperatrice Yang Kwei-fei (Yokihi)<br>
di Kenji Mizoguchi – Giappone 1955<br>
con Machiko Kyo, Masayuki Mori<br>
***</p> <p class="MsoNormal" style="">Rivisto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.</p> <p class="MsoNormal" style="">Poco prima di morire, l'imperatore cinese Xuan Zong (Masayuki Mori) – appartenente alla dinastia Tang e vissuto nell'ottavo secolo – ricorda il periodo più felice della sua esistenza, quello trascorso al fianco della bellissima Yang Kwei-fei (Machiko Kyo), umile ragazza di campagna che era stata condotta a corte dall'eunuco Kao (Eitaro Shindo) allo scopo di fargli dimenticare la precedente consorte defunta. Colpito non solo dalla sua bellezza, ma anche dalla sincerità e dalla sensibilità affine per la musica e le arti, Xuan Zong ne fece la sua compagna, favorendo anche la scalata sociale della sua famiglia, in primis il cugino Yang Kuo-chung (Eitaro Ozawa). L'avidità e l'ambizione di questi, però, scatenerà una rivolta della popolazione, guidata dal generale An Lu-shan (So Yamamura). E la stessa Kwei-fei, pur di salvare l'imperatore, accetterà di farsi uccidere. L'intera vicenda è raccontata in flashback, nel ricordo dell'imperatore poco prima di ricongiungersi "spiritualmente" con l'adorata moglie. Primo degli unici due film a colori girati da Mizoguchi (l'altro è "Nuova storia del clan Taira", dello stesso anno), il film è una coproduzione fra la giapponese Daiei e l'hongkonghese Shaw & Sons (la futura Shaw Brothers), anche se cast e troupe sono interamente nipponici, e racconta di personaggi realmente esistiti: Yang Guifei (questa la romanizzazione moderna del suo nome), in particolare, è considerata una delle "quattro grandi bellezze" dell'antica Cina, al fianco di altre figure storiche e/o leggendarie. La prima parte della pellicola è romantica e quasi fiabesca, con echi in particolare di "Cenerentola" (la ragazza maltrattata dalla propria famiglia, e messa a lavorare nelle cucine dalle sorellastre, che però conquista il favore di un sovrano); la parte centrale, la migliore (con la visita in segreto e in anonimato alla festa popolare), mostra l'evoluzione del rapporto fra i protagonisti, con la presenza della donna che aiuta l'imperatore a liberarsi dalle costrizioni della vita di corte, dove anche lui è di fatto prigioniero di norme e regole alle quali non può contravvenire; quella conclusiva, infine, si concentra sugli eventi storici, ma è evidente che non siano questi al centro dell'interesse di Mizoguchi, che infatti sorvola rapidamente sull'evolversi politico e militare della situazione, in favore dei conflitti morali ed emozionali, culminando nel tema a lui caro del sacrificio femminile. Il consueto sobrio formalismo del regista giapponese è accompagnato stavolta da un certo gusto barocco, dovuto forse all'ambientazione cinese, complici anche i colori che donano una qualità pittorica all'immagine. Nel 1962 gli Shaw Brothers realizzeranno un remake in lingua cinese del film, diretto da Li Han-hsiang e distribuito all'estero col titolo "The magnificent concubine".</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-27824064164167517602023-07-14T09:00:00.184+02:002023-07-14T16:22:21.542+02:00Fantasma (Friedrich W. Murnau, 1922)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/fantasma-1922.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Fantasma (Phantom)<br>
di Friedrich Wilhelm Murnau – Germania 1922<br>
con Alfred Abel, Lya de Putti<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto su <a HREF="https://www.youtube.com/watch?v=gkTFPxk5kwM">YouTube</a>, con cartelli in inglese.</p> <p class="MsoNormal" style="">Lorenz Lubota (Alfred Abel), impiegato comunale in una piccola cittadina, vive con la testa fra le nuvole, aspira a fare il poeta e – al pari della sorella Melanie (Aud Egede-Nissen) – è fonte di continue preoccupazioni per l'anziana madre (Frida Richard). Investito per la strada dalla carrozza guidata da una ragazza vestita di bianco (Lya de Putti), se ne innamora perdutamente. E quando incontra Melitta, che ne è praticamente la sosia, comincia a frequentarla e a dilapidare per lei il denaro che non ha, preso in prestito da una zia usuraia, convinto di poterla ripagare con le rendite delle sue poesie, ignorando però che l'editore al quale sono state proposte non ha alcuna intenzione di pubblicarle. Complici gli intrighi dell'infido Wigottschinski (Anton Edthofer), amante di Melanie, Lorenz scende così sempre più la china: perde il lavoro, fa frequentazioni equivoche, e infine si lascia convincere a compiere una rapina... L'intera vicenda (una storia di caduta ed espiazione, in chiave melodrammatica o, meglio, "psicodrammatica") è narrata in un flashback che comprende quasi tutto il film, da un Lorenz che riabilitatosi, e su suggerimento della moglie Marie (Lil Dagover), ha deciso di scrivere "la storia dei suoi misfatti". La sceneggiatura è di Thea von Harbou (già collaboratrice di Murnau ne "La terra che brucia"), tratta da un romanzo di Gerhart Hauptmann. Murnau, fedele alla corrente dell'espressionismo tedesco (evidente nella recitazione, nella fotografia, nelle scenografie della piccola e opprimente cittadina con i suoi ambienti stretti e i palazzi che sembrano prendere vita nei deliri del protagonista), la vivacizza con toni astratti e trasognanti: Lorenz è tormentato di continuo dalle sue fantasie, dalle immagini del "carretto fantasma" che rincorre, ed è completamente avulso dalla realtà, al punto da non rendersi conto delle sofferenze e dell'indigenza della madre rimasta a casa da sola. A lungo lo si era ritenuto un film perduto, prima che una copia venisse ritrovata (e restaurata) agli inizi degli anni Duemila.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-39026383195969908562023-07-12T09:00:00.073+02:002023-07-12T09:00:00.133+02:00Io confesso (Alfred Hitchcock, 1953)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki/ioconfesso.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Io confesso (I Confess)<br>
di Alfred Hitchcock – USA 1953<br>
con Montgomery Clift, Anne Baxter<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Il profugo tedesco Otto Keller (Otto Eduard Hasse) confessa in chiesa a padre Michael Logan (Montgomery Clift), giovane prete cattolico, di aver appena ucciso un uomo in un tentativo di rapina. Non potendo rivelare ciò che gli è stato detto nel segreto del confessionale, Michael non può scagionarsi quando lui stesso viene sospettato dall'ispettore Larrue (Karl Malden) di essere l'autore del delitto... Da un dramma teatrale francese ("Nos deux consciences" di Paul Anthelme), che Hitchcock aveva visto da ragazzo e di cui sposta l'ambientazione a Québec, in Canada, un noir dallo spunto accattivante ma che si dipana poi in maniera schematica. Riguardo agli aspetti gialli o polizieschi, sappiamo già tutto sin dall'inizio: sono i dilemmi morali a far avanzare la storia, e questi si complicano quando l'ispettore si convince che il movente di padre Logan risieda nella sua passata relazione con Ruth (Anne Baxter), moglie di un abbiente avvocato (Roger Dann), che era ricattata dall'uomo ucciso. Buona la costruzione della tensione (anche se il pubblico americano, essendo protestante e non cattolico, fece fatica a comprendere il motivo per cui il protagonista scegliesse volontariamente di non scagionarsi), meno convincente la sceneggiatura, soprattutto nella caratterizzazione un po' ballerina dei personaggi. Deludente anche la risoluzione finale, che giunge in maniera casuale ed è alquanto semplificata e annacquata rispetto al dramma originale. Il cameo di sir Alfred è subito all'inizio, nella prima scena dopo i titoli di testa. Bella la colonna sonora sinfonica di Dimitri Tiomkin, che in certi passaggi ingloba il tema del "Dies irae".</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-13133767383132062212023-07-10T09:00:00.088+02:002023-07-10T09:00:00.137+02:00Lola (Andrew Legge, 2022)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/lola-2022.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Lola (id.)<br>
di Andrew Legge – GB/Irlanda 2022<br>
con Emma Appleton, Stefanie Martini<br>
**1/2</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (RaiPlay).</p> <p class="MsoNormal" style="">Agli inizi degli anni quaranta, nella campagna inglese, le sorelle Thomasina (Emma Appleton) e Martha (Stefanie Martini) Hanbury inventano "Lola", una macchina che può ricevere trasmissioni radiofoniche e televisive dal futuro. Dapprima si appassionano alla cultura e alla musica del tardo ventesimo secolo (in particolare a David Bowie, la cui canzone "Space Oddity" diventa per loro una sorta di inno personale e liberatorio), ma poi cominciano a usare la macchina per intercettare i notiziari bellici, con l'intento di aiutare il proprio paese a sconfiggere i tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Per una serie di paradossi, però, proprio le loro azioni porteranno invece i nazisti ad avere la meglio e a conquistare la Gran Bretagna, creando una distopia anche dal punto di vista culturale, dove la stessa musica pop si ammanta di toni fascisti... Realizzato durante il lockdown, in bianco e nero e in forma quasi amatoriale, usando cineprese 16mm e lenti d'epoca, nonché molto materiale di repertorio (riprese con Churchill e Hitler, per esempio, ma anche scene di folla, di guerra e di bombardamenti), un film di fantastoria che ricorre alla trovata del <i>found footage</i> (si finge cioè che tutto il girato sia opera delle sorelle stesse, giunto in qualche modo fino ai giorni nostri), anche se per una volta questa non è fine a sé stessa ma parte integrante della storia stessa e strumento essenziale per la risoluzione finale del paradosso. Il tutto è semplice (il film dura poco più di un'ora) ma a suo modo ingegnoso, e affascinante dal punto di vista fantascientifico, oltre che coerente nello stile. Il regista, anche sceneggiatore, è all'esordio. Interessante anche la colonna sonora di Neil Hannon, che fonde anacronisticamente suggestioni punk e glam rock.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-28744064339548391012023-07-08T09:00:00.111+02:002023-07-08T09:00:00.142+02:00Black Adam (Jaume Collet-Serra, 2022)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/blackadam.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Black Adam (id.)<br>
di Jaume Collet-Serra – USA 2022<br>
con Dwayne Johnson, Aldis Hodge<br>
**</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Sky Cinema).</p> <p class="MsoNormal" style="">Risvegliato da un'archeologa (Sarah Shahi) dopo cinquemila anni, l'antieroe Black Adam (Dwayne Johnson) deve proteggere la piccola nazione mediorientale di Kahndaq dalle mire di Sabbac (Marwan Kenzari), membro di un'organizzazione paramilitare che tramite una corona magica ha ottenuto il potere di sei demoni infernali. Ma prima dovrà vedersela con i supereroi della Justice Society – Hawkman (Aldis Hodge), Doctor Fate (Pierce Brosnan), Atom Smasher (Noah Centineo) e Cyclone (Quintessa Swindell) – , inviati dagli Stati Uniti nel Kahndaq per imprigionarlo. Versione "oscura" di Capitan Marvel (il personaggio Fawcett/DC, non l'omonimo della Marvel), di cui ha praticamente gli stessi poteri e la stessa origine, Black Adam avrebbe dovuto esserne l'antagonista in "Shazam!", prima che Johnson stesso suggerisse di renderlo protagonista di un film a parte, anche per sfruttare il successo del "Black Panther" della Marvel. Di buona fattura, e con una decente dose di azione supereroistica, il film soffre però per la mancanza di originalità e fatica a uscire dall'alveo della pellicola di genere: i temi "impegnati" come lo sfruttamento colonialista e imperialista delle risorse dei paesi poveri, o il contrasto fra l'etica dei supereroi "ufficiali" (che non uccidono) e quella degli antieroi (che non si trattengono dal ricorrere alla violenza), sono esposti in maniera didascalica e superficiale, mentre aspetti come l'adattamento al mondo moderno di qualcuno che proviene dal terzo millennio avanti Cristo sono completamente ignorati. Fra le citazioni e le strizzatine d'occhio: la musica di Ennio Morricone per il triello de "Il buono, il brutto e il cattivo", e un cameo di Henry "Fonzie" Winkler come zio di Atom Smasher, oltre a tanto metatesto (il personaggio di Amon (Bodhi Sabongui), ragazzino fan dei supereroi DC che insegna a Black Adam le regole per comportarsi come un personaggio dei fumetti). Nel controfinale, Black Adam incontra Superman, suggerendo un suo ritorno nei futuri film del DC Extended Universe.</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-24548819.post-52984731818546994992023-07-06T09:00:00.146+02:002023-07-06T09:00:00.132+02:00Nimona (Nick Bruno, Troy Quane, 2023)<a><img style="float: right;" src="http://www.mazzate.com/wordpress/christian/tomobiki2/nimona.jpg" alt="" border="0" height="100"></a><p class="MsoNormal" style="">Nimona (id.)<br>
di Nick Bruno, Troy Quane – USA 2023<br>
animazione digitale<br>
***</p> <p class="MsoNormal" style="">Visto in TV (Netflix), in originale con sottotitoli.</p> <p class="MsoNormal" style="">In un mondo medieval-tecnologico, il prode Ballister Boldheart (Cuoreardito nella versione italiana) viene ammesso fra i cavalieri che devono proteggere il regno dai presunti mostri che lo minacciano da oltre le mura, seguendo l'esempio di Gloreth, la leggendaria guerriera che mille anni prima aveva sconfitto ed esiliato il primo di questi. Incastrato con l'accusa di aver ucciso la regina, ed etichettato da tutti come un criminale, Ballister sarà costretto ad allearsi proprio un una ragazza mostro, la mutaforma Nimona, per cercare di dimostrare la propria innocenza. Liberamente tratto dal fumetto di ND Stevenson (già Noelle Stevenson, showrunner dell'eccellente serie "She-Ra e le principesse guerriere"), un film d'animazione che ha avuto una storia piuttosto travagliata: avrebbe dovuto essere realizzato dai Blue Sky Studios della Fox, ma dopo l'acquisizione da parte della Disney gli studi furono smantellati e la produzione interrotta, per essere poi ripresa dalla casa indipendente Annapurna e da Netflix. L'ottima animazione, pop, colorata e vivace, ricorda un altro prodotto animato Netflix, la serie "Arcane", ma sono soprattutto la storia (ricca di colpi di scena) e i personaggi a colpire per originalità e profondità psicologica. L'idea di giocare con i cliché delle fiabe classiche, discutendone gli assiomi e ribaltando per esempio la dicotomia fra eroe e cattivo e fra personaggi "normali" e mostri, non è certo nuova: c'è un evidente filo rosso che parte da "Shrek" e giunge a "Nimona" passando per "Dragon Trainer", "Frozen", "Red" e "Il mostro dei mari". Qui però i temi della diversità e della (in)tolleranza sono trattati a più livelli: da quelli più espliciti (Ballister mal visto come cavaliere perché non è di origine nobile; la coppia gay) a quelli metaforici (Nimona stessa, con le sue trasformazioni, può essere vista come un personaggio <i>gender fluid</i>, non binario, che non si adegua alle etichette altrui, e che pertanto è facile definire come "un mostro"). Ma Nimona, prima di tutto, è un personaggio assai divertente, che vivacizza ogni scena in cui è presente (tanto in forma umana quanto nel caleidoscopio di trasformazioni in animali rosa) e porta caos e rivoluzione nell'ambiente in cui vive: è punk, ribelle, demoniaca villain wannabe... ma quando arriva il momento del flashback sulle sue origini (che, come previsto, ribalta in chiave revisionista gran parte di quello che ci era stato detto all'inizio) diventa anche un personaggio tragico e assai simpatetico. I nemici sono invece il conservatorismo bigotto e la cieca intolleranza, che insegnano a ripetere meccanicamente "quel mostro è una minaccia per il nostro stile di vita" (notevole la propaganda mediatica che insiste su questo punto, che giunge a contaminare le pubblicità e i prodotti per i bambini) e a proteggere tradizioni millenarie che si rivelano costruite sul (quasi) nulla. Molti di questi temi, ovviamente, erano presenti anche in "She-Ra" (non solo in Nimona e Gloreth, ma anche nella coppia Ballister-Ambrosius si percepiscono echi di Catradora).</p>Christianhttp://www.blogger.com/profile/08398471982127849312noreply@blogger.com0