3 gennaio 2021

The whispering star (Sion Sono, 2015)

The whispering star (Hiso hiso boshi)
di Sion Sono – Giappone 2015
con Megumi Kagurazaka
***

Visto in TV (Prime Video).

In un universo popolato all'80% da macchine, e dove il genere umano è ormai in via di estinzione, l'androide Yoko Suzuki lavora come "corriere spaziale", viaggiando con la sua astronave vintage da un pianeta all'altro per consegnare misteriosi pacchi. Soltanto gli umani si affidano ancora a questo vetusto servizio di consegna, che richiede anni per essere portato a termine, anziché al più pratico teletrasporto, forse per un'atavica paura del moderno. Reclusi e isolati in pianeti semidistrutti e morenti (il film è stato girato nei luoghi colpiti dal disastro nucleare di Fukushima), gli uomini vivono ormai di ricordi del passato, aggrappandosi ad oggetti e a cose perdute, apparentemente insignificanti ma ultime testimonianze del loro mondo di un tempo. Un film molto diverso da tutti quelli di Sion Sono che finora avevo visto: malinconico e meditativo anziché provocatorio e sopra le righe, con atmosfere di tristezza e solitudine veicolate anche dalla fotografia in bianco e nero (o seppia: una sola brevissima scena è invece a colori), dagli interni retrò della piccola astronave di Yoko (che riproduce un antiquato tinello, con tanto di rubinetto gocciolante, lampada al neon, tavolino, dispensa e vecchie prese elettriche, spazio che l'androide condivide con l'altrettanto vetusto – e talvolta malfunzionante – computer di bordo, la cui voce è la sua unica compagnia durante il lungo viaggio), dalla cifra surreale (vedi per esempio lo scorrere del tempo, scandito da cartelli che indicano i giorni della settimana, che pure hanno ben poco significato per un androide capace di restare inattivo anche per mesi o per anni) e dalle sequenze ambientate sui pianeti dove risiedono gli ultimi umani (come quello, che dà il titolo al film, in cui è vietato produrre rumori superiori ai 30 decibel, perché risulterebbero letali per gli abitanti). È una fantascienza esistenziale e minimalista, che da un lato ricorda quella di Andrej Tarkovskij ("Solaris" e "Stalker"), o in generale dell'Europa dell'Est (cui si rifanno spesso i registi giapponesi, si pensi anche a Mamoru Oshii), e dall'altra il "Dark star" di John Carpenter (compresi gli echi kubrickiani del dialogo con il computer di bordo). Trovate come il diario dell'androide registrato su nastro o la lattina incastrata sotto la scarpa perché "fa un bel rumore" contribuiscono a stimolare la narrazione, mentre Yoko si interroga (e noi con lei) su cosa significhi essere umani. Al fianco della protagonista assoluta, Megumi Kagurazaka, recitano in brevi scene (come dicono i titoli di testa) "le persone che ancora vivono nelle unità abitative temporanee di Namie, Tomioka e Minami Soma" nella prefettura di Fukushima, zone evacuate dopo il disastro nucleare del 2011 (altro parallelo con "Stalker").

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