22 ottobre 2020

Velvet goldmine (Todd Haynes, 1998)

Velvet goldmine (id.)
di Todd Haynes – GB/USA 1998
con Jonathan Rhys Meyers, Ewan McGregor
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Rivisto in TV.

Nel 1984, il giornalista Arthur Stuart (Christian Bale) viene incaricato di scoprire che fine ha fatto Brian Slade (Jonathan Rhys Meyers), leggendario cantante sparito dalla vita pubblica dopo aver inscenato, dieci anni prima, la propria morte sul palcoscenico. Arthur, che negli anni settanta era un fervente seguace di Slade e del glam rock, il filone cui apparteneva, si reca così a intervistare le persone più vicine al cantante, quelle che lo hanno conosciuto durante la sua rapida ascesa: fra questi il suo primo agente Cecil (Michael Feast), poi sostituito dal più intraprendente Jerry Devine (Eddie Izzard); la sua ex moglie Mandy (Toni Collette); e soprattutto Curt Wild (Ewan McGregor), cantante ribelle americano che Brian idolatrava e che cercò di riportare in auge facendolo esibire al proprio fianco. La struttura del film, come si vede, è la stessa di "Quarto potere", con frammenti dell'esistenza di una persona irraggiungibile e misteriosa che pian piano vanno a comporre un quadro più grande, con tanto di finale a sorpresa. Ma più che su un singolo personaggio, la pellicola intende concentrarsi su un periodo storico-musicale, quello della Swinging London dei primi anni settanta, ricco di lustrini, scintillante ed eccessivo, caratterizzato da anticonformismo, libertà sessuale, gusto per l'apparenza e per il glamour. Il bisessuale Slade è evidentemente modellato su David Bowie (con tanto di "alter ego" venuto dallo spazio, Maxwell Demon), mentre Curt Wild è basato su Iggy Pop (con un pizzico di Lou Reed) e Jack Fairy, che influenza Slade, è ispirato a Little Richard. I Venus in Furs, fra gli altri, forniscono la colonna sonora. In realtà, però, più che la musica a contare sembra essere lo stile di vita o il modo di porsi: i cantanti – seguiti con una narrazione disgiunta in un'altalena di amori, eccessi, crisi artistiche ed esistenziali – hanno valore più per il loro carisma o i loro sogni che per le capacità musicali, che il film non approfondisce o sembra dare per scontate. E come capita spesso nei lavori di Haynes (che in seguito, con "Io non sono qui", farà anche di peggio), è il trionfo della forma (vuota) sulla sostanza, fra citazioni e riferimenti buoni solo per chi li sa cogliere. D'altronde, si dice, "la vita di un uomo è la sua immagine". Colorata, confusa, evanescente, ma con una fama da cult movie, la pellicola intreccia anche suggestioni legate alla figura di Oscar Wilde, il primo "idolo pop" (che si immagina provenire dallo spazio, e la cui eredità perdura prima in Slade e poi in Wild). David Bowie non ha gradito, e forse per questo i cineasti hanno alterato alcuni elementi del personaggio e del suo entourage.

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