11 luglio 2020

The return of the king (Rankin, Bass, 1980)

The Return of the King: a story of the Hobbits
di Arthur Rankin Jr., Jules Bass – USA/Giappone 1980
animazione tradizionale
*1/2

Rivisto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Dopo "Lo Hobbit" del 1977, la casa di produzione Rankin/Bass decise di mettere in cantiere un secondo special televisivo in animazione tratto dalle opere di J.R.R. Tolkien. La scelta, quantomeno bizzarra, fu quella di adattare "Il ritorno del re", vale a dire la terza parte de "Il Signore degli Anelli", saltando a pié pari i primi due volumi della trilogia: ma in un certo senso si rivelò provvidenziale, avendo Ralph Bakshi lasciato nel frattempo a metà la propria trasposizione dopo aver coperto soltanto "La compagnia dell'anello" e parte de "Le due torri". Pur non condividendo con quella né l'atmosfera né lo stile di realizzazione, questo film finì dunque per esserne considerato il sequel non ufficiale. La sceneggiatura di Romeo Muller risolve in maniera sensata il problema di dover iniziare una storia da metà: anziché in media res si comincia dalla fine, quando Frodo e compagni si trovano a Rivendell per festeggiare il compleanno di Bilbo prima di partire dai Porti Grigi. Molti di questi elementi (Rivendell, Elrond, Bilbo e l'anello) erano già stati introdotti ne “Lo Hobbit”, e Rankin/Bass potè dunque cominciare da ambienti già noti e favorevoli, offrendo una parvenza di continuità. La storia è evocata da un menestrello di Gondor sotto forma di ballata, e questo forse aiuta a spiegare la preponderanza di canzoni (molto orecchiabili, ma di qualità altalenante) che punteggiano tutto il film, rendendolo di fatto un musical. Anche se fedele al libro, la maggior parte della narrazione è dedicata al viaggio di Frodo e Sam attraverso Mordor per distruggere l'Anello nella lava del Monte Fato (e fa anche un buon lavoro nel mostrarne tutto il lato cupo e oppressivo), lasciando poco spazio agli altri personaggi e ad altri eventi. Si inizia con Frodo prigioniero nella torre di Cirith Ungol e con Sam che va al suo salvataggio, mentre Pipino è già a Minas Tirith con Gandalf: guardando il film subito dopo quello di Bakshi, dunque, manca qualche passaggio (la seconda parte de "Le due torri", Saruman, gli Ent e Shelob). Anche se a lui è dedicato il titolo, Aragorn ha un ruolo ridotto e compare solo nel finale, mentre Legolas e Gimli sono del tutto assenti, e a Éowyn è riservata solo la scena dello scontro con il re degli stregoni. I difetti sono dovuti in gran parte proprio all'aver mantenuto le scelte che erano state effettuate nel precedente "Lo Hobbit": innanzitutto i toni infantili (gli orchi sono buffi mostriciattoli che non fanno alcuna paura) e le canzoni spesso fuori luogo e che contrastano con l'atmosfera plumbea e disperata di Mordor (si va dalle ballate folk di Glenn Yarbrough ai cori degli orchi in marcia). Aggiungiamoci poi un ritmo pesante e noioso, e i dialoghi irrealistici, enfatici e iper-espositivi, con tanto di pronunce errate ("all'inglese") di molti nomi e termini tolkieniani. Eppure, nonostante questi problemi, se visto a sé stante o appunto come seguito dello special su "Lo Hobbit", il film ha un suo perché, con tanto di coerenza interna (per esempio, si sofferma a spiegare che gli orchi sono le stesse creature che Bilbo chiamava goblin). Per gli stessi motivi, però, non funziona affatto come sequel del film di Bakshi, da cui è distante per tono, stile, impostazione, ambizioni e qualità, e rimane soltanto una curiosità di (moderato) interesse per i fan della Terra di Mezzo.

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