1 marzo 2020

Cities of last things (Ho Wi Ding, 2018)

Cities of last things (Xìngfu chengshì)
di Ho Wi Ding – Taiwan/Cina/Fra/USA 2018
con Jack Kao, Lee Hong-chi
**

Visto in TV, in originale con sottotitoli.

Il film si apre con il suicidio di un uomo, Zhang Dong-ling, che si getta giù da un palazzo. Dopo di che, una serie di tre sequenze – ambientate progressivamente a ritroso – ci raccontano il suo passato e come è giunto a quella situazione. Il meccanismo è dunque lo stesso del bellissimo film coreano "Peppermint candy" del 1999, con l'indagine sulle tragedie trascorse che rivela i motivi dell'indurimento del personaggio: da adulto è scorbutico, solitario, incattivito e deciso a vendicarsi di coloro che l'hanno ridotto così; da giovane è idealista e pieno di speranze, ma dovrà scontrarsi con la cattiveria del mondo che lo circonda; da adolescente vive un trauma che lo segnerà per sempre. E il film si chiude con una breve scena che ce lo mostra da bambino, felice e ignaro di ciò che lo aspetta. Rispetto alla pellicola coreana, questa è persino più pessimista ma non altrettanto organica: sfruttando la diversa collocazione temporale, ciascuna delle tre sequenze è quasi un episodio a sé stante, tanto che sembra di avere a che fare con tre protagonisti differenti (non mancano però rimandi fra i vari segmenti, come luoghi visitati o situazioni simili: per esempio, il giovane Zhang immagina già di uccidere la moglie e il suo amante, per poi suicidarsi, cosa che farà effettivamente da adulto). La parte iniziale, che si svolge subito prima del suicidio, ha una curiosa ambientazione fantascientifica (siamo in un futuro non troppo lontano, con interessanti tocchi di world building: la società è talmente invecchiata che le pubblicità, i servizi e i prodotti di cosmetica si rivolgono solo agli anziani, mentre la maggiore età è stata spostata ai 24 anni). Qui veniamo a conoscenza di alcuni eventi della vita del nostro protagonista, come il tradimento della moglie e il fallimento professionale e familiare, ma ne ignoriamo i dettagli. La seconda parte, la meno riuscita delle tre, si svolge trent'anni prima, nel nostro presente, ed esplicita molto di quello che la precedente aveva suggerito, mostrandoci Zhang, giovane poliziotto, subire il tradimento della moglie, l'ostracizzazione dei colleghi (per essere stato l'unico onesto in mezzo a tanti corrotti) e la tentazione di una fuga con una giovane taccheggiatrice europea (Louise Grinberg), la stessa che ritroverà nel futuro (clonata?) come prostituta in un bordello. L'ultima parte, la più breve, è forse anche la migliore: racconta l'incontro, in una stazione di polizia dove sono entrambi tratti in arresto, di uno Zhang diciassettenne con la propria madre Wang (Ding Ning), che l'aveva abbandonato da piccolo, e suggerisce che proprio il trauma del rapporto interrotto con la madre (alla cui morte è costretto ad assistere) l'abbia indirizzato sulla sua strada. Mancano però gli strascichi morali e quel senso di ineluttabilità che il film di Lee Chang-dong, superiore in tutto, si portava con sé (per non parlare di altri film basati sulla stessa idea, come "CinquePerDue" di Ozon e "Irreversible" di Noé). Il protagonista, nei vari segmenti, è interpretato da Jack Kao (adulto), Lee Hong-chi (giovane) e Hsieh Chang-ying (adolescente). Il regista, anche sceneggiatore, è di origine malese. Degna di nota la fotografia (per lo più notturna) del francese Jean Louis Vialard.

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