31 ottobre 2019

L'anno scorso a Marienbad (A. Resnais, 1961)

L'anno scorso a Marienbad (L'année dernière à Marienbad)
di Alain Resnais – Francia/Italia 1961
con Delphine Seyrig, Giorgio Albertazzi, Sacha Pitoëff
***1/2

Rivisto in divx.

In un gigantesco e lussuoso albergo (il film è stato girato nei palazzi reali di Monaco di Baviera e dintorni, con immensi giardini annessi), uno sconosciuto (Albertazzi) afferma di aver già incontrato l'anno prima una donna (Seyrig) – "È stato a Friedrichsbad? O forse a Marienbad?" (tutte celebri località termali) – e cerca di convincerla a fuggire con lui, abbandonando il marito (Pitoëff). Lui ricorda ogni dettaglio del loro precedente incontro, lei invece no (o fa finta di aver dimenticato?). Scritto da Alain Robbe-Grillet (che si ispirò, pare, al romanzo "L'invenzione di Morel" di Adolfo Bioy Casares), il secondo lungometraggio – e secondo capolavoro – di Resnais dopo "Hiroshima mon amour" è un lento ed enigmatico tuffo in un mondo sospeso, misterioso e senza tempo: vediamo spesso i personaggi "congelati" come statue, o immersi in un flusso di dialoghi o di frammenti di conversazioni che si ripetono in continuazione, senza senso o senza contesto. Spersi fra i saloni, i corridoi e le gallerie di questo albergo sontuoso e barocco ma vetusto, ricolmo di specchi, stucchi, statue e marmi, i ricchi avventori sembrano anime smarrite in un limbo da cui è impossibile uscire, in balia del destino o della morte. I lenti movimenti di camera, le eleganti inquadrature, il montaggio sofisticato, la letterarietà dei dialoghi, l'incessante musica organistica completano un'esperienza che per lo spettatore può risultare, a seconda dei gusti, vacua e snervante oppure onirica e ipnotica. E le riflessioni sul tempo e sui ricordi acquistano una certa qualità ultraterrena, surreale o metafisica. Di fatto, non è chiaro quanto di quello che avviene sullo schermo (o che i personaggi ricordano) sia reale, oppure frutto di un sogno o dell'immaginazione. Leone d'Oro a Venezia, il film fu anche candidato all'Oscar per la miglior sceneggiatura. Affascinante, fra i tanti spunti, il giochino (con le carte o i fiammiferi) che Sacha Pitoëff propone agli altri ospiti dell'albergo: una variante del Nim in cui il giocatore che toglie l'ultimo elemento (partendo da file di 1, 3, 5 e 7) perde la partita: Pitoëff afferma di vincere sempre, inesorabile – anch'egli – come la morte. Personalmente adoro il gioco e lo faccio spesso ai miei amici!

2 commenti:

Marco C. ha detto...

Un capolavoro indimenticabile! Ricordo ancora oggi a distanza di anni un fotogramma: i protagonisti immobili come statue mentre la macchina su carrello si muove verso di loro. Un film immersivo come si direbbe oggi. Sono certo che sarebbe impossibile distribuire nelle sale oggi un film di questo tipo. Coppola ha ragione quando chiama spregevoli i film contemporanei di supereroi. Hanno letteralmente saturato ogni spazio di proiezione e soffocato i film d'autore. Si potrebbe fare un interessante paragone con le zanzare tigre o le cimici asiatiche che hanno soppiantato le specie nostrane rubando loro i nutrimenti. L'influenza della Hollywood 3.0 è così pervasiva che potrebbe anche aver modificato sostanzialmente il gusto del pubblico e la sua capacità di sopportazione di film sui generis.

Christian ha detto...

Un film immersivo? Decisamente sì, e magari oggi lo farebbero in 3D! :)

Hollywood e i suoi blockbuster sono sempre esistiti, sin dagli albori del cinema, non mi straccerei le vesti per i film di supereroi (anche perché ogni tanto anche questo genere può sfornare pellicole inaspettate, vedi "Joker"). E cercando, i film d'autore "difficili" si trovano lo stesso (due nomi su tutti, che so già che conosci: Lars Von Trier e Yorgos Lanthimos).