10 luglio 2019

La Cina è vicina (M. Bellocchio, 1967)

La Cina è vicina
di Marco Bellocchio – Italia 1967
con Glauco Mauri, Elda Tattoli
**1/2

Visto in divx.

Pur di famiglia ricca e aristocratica, il professor Vittorio Gordini (Glauco Mauri) accetta di candidarsi come assessore per il partito socialista alle imminente elezioni amministrative del comune in cui risiede (mai nominato, ma il film è stato girato a Imola), fra le perplessità della sorella Elena (Elda Tattoli), che anziché alla politica preferisce dedicarsi agli affari di famiglia e ai suoi numerosi amanti, e l'aperta ostilità del fratello minore Camillo (Pierluigi Aprà), membro di una cellula clandestina maoista. Ma dietro le quinte della campagna elettorale, ribollono vicende sentimentali e interessi privati: Vittorio, non corrisposto, è invaghito di Giovanna (Daniela Surina), sua segretaria e di fatto domestica di casa, che invece ama il ragionier Carlo (Paolo Graziosi), il militante socialista al quale proprio Vittorio ha sottratto la candidatura e che, attratto dalla sua ricchezza, metterà incinta Elena nella speranza di farsi sposare. Al suo secondo film dopo "I pugni in tasca", Bellocchio (con la "collaborazione artistica" di Elda Tattoli) torna a raccontare l'intimità di una famiglia (stavolta nella provincia romagnola, anziché piacentina), mettendo sotto la lente d'ingrandimento soprattutto le numerose contraddizioni della politica, della società e della morale italiana. Le ideologie si svuotano e perdono significato (gli slogan dei giovani "cinesi" sembrano scioglilingua fini a sé stessi, le loro azioni sono poco più che goliardate), quando non votate ad ambizioni o interessi del tutto personali (il sesso, la ricchezza); destra e sinistra si confondono, il socialismo è solo una scusa per il proprio trasformismo mentre il comunismo più spinto convive con gli ambienti conservatori e clericali (Camillo fa il chierichetto e lavora per la curia; Carlo ricorre a un amico prete per impedire a Elena di abortire; Vittorio chiede alle religiosissime zie zitelle di appoggiare la propria candidatura). E mentre tutti sembrano interpretare un ruolo (soprattutto l'ipocrita e pragmatico Carlo), quelli che nella loro ingenuità sono davvero sinceri (come è in fondo Vittorio) rimangono vittime delle circostanze: alla fine si deve raggiungere un compromesso per sopravvivere (o tirare a campare). Forse meno dirompente o memorabile del lungometraggio d'esordio, il film – che vinse il premio speciale della giuria a Venezia e il cui titolo (lo slogan che Camillo e i suoi amici scrivono sui muri della sede dei socialisti) è preso in prestito da un libro del giornalista Marco Emanuelli – ha comunque molti momenti interessanti, non privi di una certa ironia: il coro dei bambini stonati per il prelato sordo, il tragicomico comizio in piazza che finisce in rissa, gli "attentati" con la bomba o con cani e gatti. A differenza del cinema politico italiano di quegli anni, non c'è attenzione per le battaglie sociali, i movimenti operai o studenteschi e, appunto, le idee maoiste nel merito, ma solo per le contraddizioni interne a un nucleo familiare (peraltro sui generis: nessun genitore ma tre fratelli, con il maggiore a fare quasi da padre per il minore). La fotografia è di Tonino Delli Colli. Fra i gli amici di Camillo si riconosce Alessandro Haber. Nella colonna sonora (di Ennio Morricone) si sentono anche le canzoni "29 settembre" di Lucio Battisti e "Poesia" di Don Backy.

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