7 marzo 2019

La casa di Jack (Lars von Trier, 2018)

La casa di Jack (The house that Jack built)
di Lars von Trier – Danimarca/Sve/Fra/Ger 2018
con Matt Dillon, Bruno Ganz
***1/2

Visto al cinema Eliseo.

Jack (Matt Dillon), psicopatico con un'ossessione compulsiva per la pulizia, è un serial killer con velleità artistiche (scatta fotografie delle sue vittime, ne conserva i corpi come trofei di caccia, cerca di compiere omicidi sempre più significativi e complessi). Attraverso il racconto di cinque "incidenti", discute delle proprie imprese – effettuate nello stato di Washington nell'arco di dodici anni – con un misterioso interlocutore, di cui a lungo udiamo soltanto la voce: dapprima pensiamo che possa trattarsi di un confessore, o di uno psicanalista (un po' come nel precedente lavoro di Lars von Trier, "Nymphomaniac", anche se la dipendenza qui passa da eros a thanatos), ma infine scopriremo che si tratta del Virgilio della "Divina Commedia" (Bruno Ganz, in una delle sue ultime apparizioni sullo schermo). E infatti, nell'epilogo ("catabasi"), la pellicola – ricchissima di spunti e cui già non mancavano senso dell'ironia e grottesco, nonostante il tema violento e le tante immagini cruente, alcune delle quali eliminate nella versione doppiata che è uscita nelle sale – diventa ancora più kitsch e surreale, mostrandoci una vera e propria discesa agli inferi (con il protagonista avvolto in una cappa rossa decisamente dantesca) che si conclude sui titoli di coda (fotografati in negativo) con la canzone "Hit the road Jack" di Ray Charles. Come detto, siamo di fronte al film gemello di "Nymphomaniac", apparentemente nichilista e perverso come quello, o forse anche di più. Lì, la confessione psicanalitica della protagonista (a partire da ricordi ed episodi legati alla propria infanzia) girava attorno alle sue molteplici esperienze legate al sesso; qui, invece, queste riguardano l'arte dell'uccidere. "Arte", perché il protagonista si vede come un vero e proprio artista dell'omicidio, alla continua esplorazione di nuovi modi e nuove "correnti" con cui compiere le proprie imprese. Se da un episodio all'altro cambiano le vittime (anche se la maggior parte di quelle che ci vengono mostrate sono donne), le modalità, la personalità del killer, le motivazioni, il contesto e il livello di audacia, ci sono naturalmente anche fili conduttori nel modus operandi, come il furgone rosso che utilizza ogni volta, incurante di lasciare tracce o indizi: anzi, quasi come se il brivido di farsi scoprire facesse parte del gioco, vediamo che Jack si fa via via più imprudente, correndo rischi inutili e contando spesso sulla stupidità dei poliziotti, dei testimoni o delle sue stesse vittime. In fondo non gli importa molto di essere preso, così come è indifferente alla morale, alla società e a quasi tutto quello che riguarda il mondo esterno, intrappolato invece in una continua ricerca dentro sé stesso, le proprie pulsioni e i tormenti interiori (di cui cerca di analizzare i meccanismi: esemplare il cartone animato che mostra una camminata sotto una serie di lampioni, le cui ombre spiegano l'alternanza fra la soddisfazione del desiderio di uccidere e il suo ripresentarsi periodicamente).

Come in "Nymphomaniac", il dialogo fra chi racconta e chi ne riceve la confessione è accompagnato da innumerevoli divagazioni e aneddoti sugli argomenti più disparati, anche se spesso legati al tema della morte e del decadimento: la falciatura dell'erba, il marcire dell'uva, la natura violenta della tigre, la "luce nera". Non mancano inoltre citazioni di vario genere: frasi di canzoni o di poemi ("Vuoi che ti mostri la strada per il prossimo whisky bar?" proviene da Bertolt Brecht), video musicali (Jack con i cartelli nel vicolo fa il verso al Bob Dylan di "Subterranean Homesick Blues"), dipinti e opere d'arte ("La barca di Dante" di Delacroix, ricostruita con stile iperrealista), personaggi eccentrici (i filmati di Glenn Gould che suona il piano), e naturalmente film (con l'autocitazione, da parte di LVT, della propria intera filmografia, di cui compaiono in rapida successione alcuni spezzoni). E in particolare l'allegoria dantesca permea tutta la pellicola (il film inizia in una foresta, dove Jack compie il suo primo omicidio, che potrebbe essere proprio la "selva oscura" di Dante). Lo stesso titolo originale, "La casa che Jack costruì", è un verso di una canzone/filastrocca per bambini assai popolare nel mondo anglosassone (analoga alla nostra "Alla fiera dell'est"), che von Trier aveva già citato in uno dei suoi primi lavori ("L'elemento del crimine", di cui questo potrebbe essere in fondo un aggiornamento). Qui è giustificato dal fatto che il protagonista, ingegnere che si autodefinisce architetto, progetta di costruirsi una casa ma finisce sempre per buttarla giù e per ricominciarla da capo, alla continua ricerca del giusto "materiale". Certo, è facile pensare che il nome Jack sia anche ispirato a quello di uno dei serial killer più celebri della storia, Jack lo squartatore, che come il personaggio interpretato da Dillon scriveva lettere ai giornali firmate con uno pseudonimo (in questo caso "Mr. Sophistication", nome che viene da "L'assassinio di un allibratore cinese" di Cassavetes) e si accaniva sulle donne (a Jack the Ripper sono attribuiti cinque vittime accertate, proprio come i cinque "incidenti" raccontati nel film: e la scena in cui asporta il seno di una donna sembra un rimando evidente). Alcune sequenze sono forti e brutali, permeate da una violenza realistica e difficile da sostenere, se non si sapesse che quelle di LVT sono come al solito provocazioni e l'andare sopra le righe è un effetto voluto (c'è chi ha parlato di "pulp", evocando forse Tarantino: io, come mi capita spesso, ci vedo anche qualcosa di Greenaway, altro regista ossessionato dalla morte). Per questo motivo è sbagliato fermarsi alla superficie delle immagini, e bollare questo film (o tutto il cinema del regista danese) come perverso, misogino, inutilmente violento: attraverso i suoi personaggi lui scava dentro di sé e dentro di noi, analizzando le pulsioni degli esseri umani (di cui il sesso e la violenza, ma anche la dipendenza e il narcisismo, sono elementi fondamentali). E spesso, come quando parla della "bellezza del decadimento", porta alla luce cose che pochi dicono o vogliono sentirsi dire. La prima vittima è interpretata da Uma Thurman, il cast comprende anche Riley Keough e Jeremy Davies. Curiosità: inizialmente LVT aveva pensato di realizzare il film sotto forma di serie televisiva.

4 commenti:

Marisa ha detto...

Perfettamente d'accordo con la tua recensione.
Il motivo per cui amo questo regista, così controverso e persino detestato da altri, è l'estremo coraggio e lucidità con cui esplora il lato oscuro della psiche, senza fare sconti a nessuno e soprattutto a sé stesso. La gamma patologica che va dai più semplici ed innocui disturbi "ossessivi compulsivi" (in fondo che male fa agli altri essere ossessionati dalla pulizia e dall'ordine?) fino alla psicopatia più efferata con il pervertimento del senso morale che trae il suo soddisfacimento dalla distruttività e dal dolore inflitto agli altri (illuminante l'atteggiamento sadico già da bambino verso il tenero anatroccolo) viene dipanandosi come una catena ineluttabile. Ed è così perchè i meccanismi che presiedono alle dipendenze, qualunque esse siano, dall'eccesso per la pulizia o il suo cotrario, alle droghe, al sesso, al gioco fino ai delitti seriali, sono gli stessi. Sono molto contenta che LVT sia approdato a Dante, che è il vero maestro del viaggio dentro l'animo umano e che, lungi dall'essere solo un uomo del medioevo, da vero genio psicologico, ha posto come fondamento del male proprio la compulsione (I gironi dell'inferno che imprigionano l'uomo che non esce dalle sue reiterazioni!) e che fa dire ad Adamo, il primo che ha sperimentato il fascino del male, come la vera causa della sua caduta sia stata l'esagerazione, l'andare fuori misura "...non il gustar del legno/ fu per sé la cagion di tanto essilio,/ma solamente il trapassar del segno." La frustrazione poi è una delle molle più potenti che spinge verso una compensazione che non potendosi appagare con le proprie abilità (la casa mai perfetta!)sfocia nella vendetta sugli altri. Come non pensare ad Hitler, maltrattato da bambino ed umiliato dal padre e frustrato come artista, anche lui con l'ossessione dell'architettura?
Qui non può esserci redenzione perchè Jack non segue il consiglio di Virgilio, che , dopo tanto male, guida Dante fuori dall'inferno per permettergli la purificazione attraverso la montagna dalle sette balze del Purgatorio, vero terreno di lavoro psicologico. L'arroganza di pensare di farcela da solo, senza seguire il Maestro , lo perde definitivamente.
Scusa la lunga digressione, ma credo che questo film lo meriti!

Christian ha detto...

Con film come questi, così ricchi di stimoli, è normale dilungarsi nei commenti... :)
La cornice dantesca è in effetti significativa. E sì, Lars von Trier continua a confermare di essere un regista geniale, capace di scuotere lo spettatore, di farlo guardare dentro di sé e di comunicare qualcosa sempre e comunque (anche se spesso lo fa attraverso sberleffi e provocazioni). E sinceramente mi dispiace un po' per tutti coloro che non sanno (o non vogliono) apprezzarlo appieno, compresi tantissimi critici pieni di pregiudizi e con i paraocchi. Forse alcuni di loro sono rimasti scioccati da alcune sequenze (quella con i bambini, quella con la paperella) che però avevano proprio lo scopo di scioccare, e non in maniera gratuita...

Marco C. ha detto...

ATTENZIONE

Cito da Wikipedia:
"Versioni alternative
Nella distribuzione del film in diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti, sono stati operati dei tagli ad alcuni particolari delle scene più cruente, andando ad accorciare di circa 4 minuti la versione del film mostrata a Cannes, che von Trier ha definito «la director's cut» della pellicola.

Anche in Italia il film ha ricevuto tagli, ed è stata distribuita in due versioni, entrambe vietate ai minori di 18 anni: la versione doppiata con il taglio delle scene più cruente, mentre la versione sottotitolata non ha ricevuto alcun taglio".

Consiglio la visione della versione sottotitolata. Sia perché priva di tagli, sia per la resa magistrale di Dillon. Non ho molto da aggiungere al tuo ottimo commento. Il viaggio dantesco iniziato nella selva di Antichrist giunge fino alle soglie del Purgatorio per virare infine nel pessimismo cosmico di Melancholia con Jack che sprofonda nella Giudecca.

Christian ha detto...

Sì, come per "Nymphomaniac" (lì per le scene di sesso, qui per quelle di violenza) nelle sale in versione doppiata è uscita una versione con qualche taglio, che è quella che per ora ho visto io. Spero prima o poi di riuscire a vedere quella integrale... Comunque LVT è e resta un fottuto genio!