8 ottobre 2018

Ordet - La parola (Carl Theodor Dreyer, 1955)

Ordet - La parola (Ordet)
di Carl Theodor Dreyer – Danimarca 1955
con Henrik Malberg, Preben Lerdorff Rye
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Rivisto in divx, con Marisa, Giovanni, Giuliana e altri.

Uno dei crucci dell'anziano fattore Morten (Henrik Malberg), patriarca della famiglia Borgen, è la follia del figlio Johannes (Preben Lerdorff Rye), che si crede Gesù Cristo e vaga per la casa e la campagna in vestaglia, predicando nel deserto. Non è l'unico, però: ci sono anche il figlio maggiore Mikkel (Hemil Hass Christensen), che ha perso la fede, e il minore Anders, che si è innamorato di Anna, figlia del sarto del villaggio con cui i Borgen sono in disputa da anni per questioni teologiche. Quando la tragedia colpisce la famiglia con la morte per parto di Inger (Brigitte Federspiel), moglie di Mikkel e cuore pulsante della serenità domestica, sarà proprio un miracolo compiuto dal “folle” Johannes a trasformare il dolore in gioia. Capolavoro del cinema della spiritualità, tratto da un dramma teatrale del 1932 del pastore luterano Kaj Munk, il penultimo film di Dreyer (una delle sue pellicole di maggior successo critico, vincitrice fra l'altro del Leone d'Oro a Venezia) è un'intensa e commovente riflessione sul mistero dell'irrazionale e del trascendente, sul potere della fede, della volontà e – come da titolo – della parola. Il riferimento principale, come suggerito anche dal nome del figlio pazzo (Johannes), è l'incipit del Vangelo di Giovanni (“In principio era la parola...”: una parola vivente e che dona, o restituisce, la vita). Da notare che quello di Johannes non è solo un delirio mistico, tanto che compie il miracolo quando ormai è già rinsavito: anche se esso avviene tramite lui, la fede che lo catalizza è quella “pura” e semplice di una bambina, la nipotina Maren, l'unica che vede al di là dell'ordinario, della ragione e delle apparenze. A lei si contrappongono non solo gli altri membri della famiglia, ma anche le figure delle autorità “ufficiali”, come il pastore del villaggio (cinico e burocratico, anche nel discorso al funerale, colmo di luoghi comuni) e il dottore (un medico scrupoloso ma scientista), che non si accorgono della straordinarietà che li circonda. Che la sceneggiatura derivi da un testo teatrale (fra l'altro già portato sullo schermo nel 1943 dallo svedese Gustaf Molander, con Victor Sjöström come protagonista) è evidente nella composizione delle scene (quasi tutte in interni) e dei dialoghi, anche se Dreyer arricchisce la pellicola con la sua regia essenziale e rigorosa, con lunghi e lenti piani sequenza, con la fotografia austera in bianco e nero, con alcuni scorci esterni (i campi di grano, il canneto, il vento che muove i panni bianchi stesi ad asciugare, simbolo dello spirito) di un mondo fuori dal tempo (se non fosse per i telefoni e l'automobile del dottore, potremmo essere nel settecento o nell'ottocento). E non manca un accenno di satira sociale e religiosa (la faida teologica fra i due patriarchi, che appartengono a correnti protestanti diverse fra loro, raccontata quasi con toni da commedia).

2 commenti:

Marisa ha detto...

Sì, è proprio un film fuori dal tempo perchè appartiene a tutti i tempi dello spirito, il tempo della visione interiore e del mistero che ci circonda e ci pervade e che solo l'innocenza dei bambini forse è ancora in grado di percepire. Solo ritornando come "fanciulli" si riapre il cuore all'infinito...
Bellissime le immagini dove il Vento-Spirito anima e vivifica il tutto.

Christian ha detto...

Un capolavoro assoluto, difficile da paragonare a qualsiasi altro...