2 giugno 2018

Florentina Hubaldo, CTE (Lav Diaz, 2012)

Florentina Hubaldo, CTE
di Lav Diaz – Filippine 2012
con Hazel Orencio, John Elbert Ferrer
**1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli.

Florentina Hubaldo, che vive nella campagna filippina con il nonno e il padre (il film si svolge nella regione rurale di Bicol), è maltrattata da ques'ultimo, che la fa prostituire, la picchia e la incatena al letto. La sua storia è narrata in parallelo a quella di due giovani, Manoling e Juan, ritornati da poco in campagna, che scavano a lungo nei terreni di proprietà del primo alla ricerca di un fantomatico tesoro. Le due vicende sono collegate, ma scopriremo in che modo (e che sono temporalmente sfasate) soltanto dopo quattro delle sei ore del film: Hector, il fratello maggiore di Manoling, è colui che tempo prima ha accolto nella propria casa Florentina, quando la ragazza è finalmente riuscita a fuggire, e che ora si prende cura della figlia che lei portava in grembo, Loleng, gravemente malata ai polmoni. Curatissimo nella confezione (dall'immagine, con la luminosa fotografia in bianco e nero, al sonoro, con forte attenzione ai rumori ambientali), quello di Diaz è un cinema fatto di tempi dilatati e lentissimi, di long take di svariati minuti (anche oltre la decina) con la camera ferma, di dialoghi rarefatti e di silenzi (non mancano sequenze completamente mute, legate ai sogni o ai ricordi). Allo spettatore è richiesta non solo molta pazienza (anche se, grazie all'approccio naturalista, la lentezza non è snervante bensì quasi rilassante) ma anche la disponibilità ad immergersi completamente nel mondo ritratto, entrandone a far parte in tutti i sensi (al punto che, nelle scene in cui Florentina chiede aiuto, estendendo le braccia fuori dallo schermo, sembra quasi che si rivolga proprio al pubblico). L'esperienza è senza dubbio ripagante, anche se il film – per quanto potente – mi è parso meno ricco di temi rispetto alle altre pellicole del regista filippino che ho visto finora, non giustificando appieno la lunghissima durata (in alcune sequenze si attendono minuti prima che i personaggi compaiano sullo schermo). In mezzo a tanta crudezza non mancano però squarci esistenzialisti (Hector che si interroga sulla natura della violenza e della cattiveria dell'uomo, chiedendosi perché esistano la sofferenza e il dolore e quale sia il significato della vita di Florentina e di sua figlia), surreali (tutta la sottotrama del geco, animale sfuggente cui Juan dà la caccia anziché continuare a cercare il tesoro) o onirici (le figure dei "Giganti", mascheroni di cartapesta usati nelle sagre popolari che la protagonista, dopo aver visto da piccola, continua a incontrare nei propri sogni). La sigla CTE nel titolo sta per encefalopatia traumatica cronica, la malattia degenerativa di cui soffre Florentina (che infatti afferma di avere sempre dolore alla testa) per i ripetuti colpi ricevuti dal padre, e che le cancella progressivamente la memoria: al punto che, nel tentativo di non dimenticare il proprio nome e la propria storia, periodicamente recita a beneficio dello spettatore quel discorso che infine farà a Hector, proprio nell'ultima scena del film, una volta riuscita a scappare.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Sinceramente mi è sembrato "elefantiaco" e una sua riduzione lo migliorerebbe e forse esalterebbe meglio quelle caratteristiche artistiche che hai evidenziato, senza ripetività esagerate.

Christian ha detto...

Sono d'accordo: a differenza di altri film di Diaz, in questo caso la durata pare davvero eccessiva, anche se la lentezza favorisce comunque l'immersione dello spettatore nella storia e nel rapporto dei personaggi con la natura.