27 settembre 2017

Angels wear white (Vivian Qu, 2017)

Angels wear white (Jia nian hua)
di Vivian Qu – Cina 2017
con Wen Qi, Zhou Meijun
**1/2

Visto al cinema Colosseo, con Sabrina, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).

La giovanissima Mia (Wen Qi) lavora in un albergo in una piccola città costiera. Siamo fuori stagione: ma una notte, mentre sostituisce una collega alla reception, giunge in hotel un uomo con due bambine di dodici anni in sua custodia. L'uomo si approfitterà di loro, e l'unica testimone che potrebbe incastrarlo è proprio Mia, che lo vede entrare nella stanza delle bambine grazie alle videocamere di sorveglianza. Ma nel timore di essere licenziata e cacciata via (non ha documenti ed è un'immigrata clandestina), non dice nulla alla polizia... Al secondo film, Vivian Qu intende riflettere sulla donna oggetto (esemplare la gigantesca statua di Marilyn, nella celebre posa di "Quando la moglie è in vacanza", che si erge sulla spiaggia della località balneare) e vittima di una società maschilista, impotente di fronte ai soprusi e alle prepotenze di chi, con la forza o il denaro, è in grado di fare quel che vuole. Le vittime, infatti, non sono soltanto le due bambine – una delle quali, la taciturna Wen (Zhou Meijun), è protagonista della pellicola al pari di Mia: anche se le due non condividono quasi mai la stessa scena, sono legate da oggetti (la parrucca bionda) e da luoghi (la spiaggia, il parco giochi, la statua di Marilyn), oltre che dal tema dell'infanzia negata – ma le donne in generale: si pensi anche alla collega di Mia, la receptionist ufficiale dell'albergo (Peng Jing), sedotta, picchiata e abbandonata dal suo ragazzo delinquente; o all'avvocatessa (Shi Ke) che si prende a cuore il caso di abuso, il cui successo nel portare alla luce la verità viene vanificato dalla corruzione imperante dei potenti. Il film, seppure un po' schematico (anche nella sua simbologia: vedi gli abiti bianchi che dovrebbero rappresentare la purezza, da quelli delle bambine – gli "angeli" del titolo – a quelli delle spose, ma che spesso significano tutt'altro, come nel caso di Marilyn appunto o del vestito che la stessa Mia indossa per prostituirsi nella scena finale, prima per fortuna di una fuga catartica), ha il pregio di esternare con sincerità il suo dolore e il suo pessimismo, fra dilemmi morali (Mia vorrebbe ricattare il responsabile dello stupro delle due bambine) e la mancanza di facili soluzioni.

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