29 agosto 2017

Lettera da una sconosciuta (Max Ophüls, 1948)

Lettera da una sconosciuta (Letter from an unknown woman)
di Max Ophüls – USA 1948
con Joan Fontaine, Louis Jourdan
***1/2

Rivisto in divx alla Fogona, con Sabrina e Marisa.

Vienna, inizio novecento. Alla vigilia di una sfida a duello che non intende onorare, l'ex pianista prodigio Stefan Brand – che nel corso degli anni ha sperperato il suo talento per condurre una vita dissoluta e svagata – riceve una lunga lettera, scritta da quella che per lui è una totale sconosciuta. Leggendola, scoprirà che Lisa Berndle lo ha amato intensamente e profondamente, da vicino o da lontano, praticamente per tutta la sua vita, sin da quando era una ragazzina, seguendone ogni sviluppo ma incrociando apertamente la sua strada soltanto in brevi e fugaci momenti: e dall'unica notte occasionale passata insieme, che lui a malapena ricorda, ha avuto anche un figlio che ha cresciuto da sola. La sua triste vicenda, conclusasi con la morte per tifo, colpirà Stefan a tal punto che l'uomo sceglierà di non sottrarsi più al duello che l'aspetta, e dunque alle sue responsabilità. Da un romanzo di Stefan Zweig, un racconto pervaso da un romanticismo struggente, con atmosfere tipiche di inizio secolo e personaggi che vivono e soffrono per amore, più o meno inconsapevolmente. L'intera storia è raccontata in flashback, attraverso la lettera di Lisa. E naturalmente l'interpretazione che se ne deve fare è simbolica: Lisa rappresenta l'anima di Stefan, il suo rapporto con l'arte e la musica, quella parte di sé stesso che l'uomo inconsapevolmente finisce col perdere di vista, col dimenticare o non riconoscere più. L'ambientazione nell'Austria di inizio secolo, un microcosmo culturale fiorente ma che correva verso la catastrofe (e che proprio Zweig ha vissuto e così ben descritto nei suoi libri, come l'autobiografia “Il mondo di ieri”), si sposa alla perfezione con il tono melò della storia. Superba la confezione, con un bianco e nero avvolgente che, oltre ad ammantare di un'aura particolare gli scenari mitteleuropei, lascia sempre i personaggi e le loro anime in primo piano. Un piccolo gioiellino, fra i capolavori di quello che – ricordiamolo sempre – era il regista preferito di Kubrick.

1 commento:

Marisa ha detto...

Sì, se non si capta il significato più profondo e simbolico, si rischia di banalizzarlo e relegarlo tra i film solo romantici o peggio decadenti. Cogliendo la profonda nostalgia per qualcosa che era vitale da giovani e che è sempre una forma d'amore (per l'arte, la vita, la bellezza, l'innocenza...)e che poi si può completatamente smarrire fino a diventare terra "sconosciuta", si sente che il film riguarda tutti noi col continuo pericolo di diventare cinici e falliti...