24 aprile 2017

L'altro volto della speranza (Aki Kaurismäki, 2017)

L'altro volto della speranza (Toivon tuolla puolen)
di Aki Kaurismäki – Finlandia 2017
con Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen
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Visto al cinema Eliseo.

Da sempre intento a ritrarre il mondo degli umili e degli emarginati, già nel precedente "Miracolo a Le Havre" Kaurismäki aveva affrontato il tema, così d'attualità, dell'immigrazione e dei rifugiati che giungono in Europa per fuggire dalle guerre del Medio Oriente. Qui (in quello che dovrebbe essere, secondo il suo intento, il capitolo centrale di una "trilogia sui porti") ne fa il centro della pellicola, o almeno uno dei centri, visto che uno dei due protagonisti è Khaled Ali (Haji), profugo siriano che, per una serie di circostanze, si ritrova in Finlandia, separato dall'amata sorella di cui ha perso le tracce. Il suo tentativo di chiedere asilo alle autorità finlandesi viene frustrato, e Khaled si dà alla clandestinità: viene accolto e protetto da Waldemar Wikström (Kuosmanen), anziano proprietario di un ristorante, e dai suoi dipendenti, che lo aiuteranno anche a rintracciare la sorella. D'altronde, che il mondo venga portato avanti grazie alla solidarietà fra i singoli esseri umani, spesso proprio quelli degli strati sociali più bassi, è un tema costante delle pellicole del regista finlandese (qui evidente anche nell'amicizia fra il siriano Khaled e l'iraniano Mazdak; ma c'è anche l'operatrice del centro di accoglienza che lo aiuta a fuggire, il camionista che gli riporta la sorella, e altri esempi ancora). Lo stesso Wikström è un personaggio assolutamente kaurismäkiano, sin dalla scena che lo introduce, nel quale dà silenziosamente addio alla moglie alcolizzata e va via di casa. Impiegato come commesso viaggiatore ma deciso a cambaire vita, grazie a una cospicua vincita al gioco (una partita a poker sembra l'ideale per personaggi dalle facce sempre imperturbabili come quelli di Kaurismäki: ma per una volta, nel momento in cui svela la mano vincente, sul volto di Wikström si nota l'accenno di un sorriso!), ottiene il denaro necessario per acquistare il ristorante (come già in "Nuvole in viaggio", la ristorazione si rivela una risorsa vincente), ereditandone anche i tre bizzarri dipendenti (magistralmente interpretati da Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen e Nuppu Koivu). E se gli affari non vanno bene, si può sempre provare a trasformarlo in un sushi bar (in una sequenza esilarante, che oltre a far ridere fa anche riflettere: nel servire ai malcapitati turisti giapponesi delle aringhe salate con una dose abbondante di wasabi, i personaggi fanno quello che fa il film stesso: far incontrare insieme elementi che provengono da mondi diversi e che hanno poco in comune l'uno con l'altro). Per il resto, siamo dalle parti del "solito" Kaurismäki: personaggi senza casa, lunghi e rarefatti silenzi, momenti di sottile umorismo, una nostalgica malinconia (abiti e automobili guardano al passato, i prezzi del ristorante sono ancora in marchi, nonostante ormai sia in vigore l'euro), la retorica ai minimi livelli anche quando si parla dei drammi sociali di questi giorni, un grande uso degli spazi e del colore, e tanta musica diegetica (quasi tutte le canzoni che si sentono durante il film sono "eseguite" da artisti di strada o nei locali), fino a un finale (almeno in parte) riappacificatorio. E naturalmente non poteva mancare un cagnolino, in questo caso la simpatica Koistinen (lo stesso nome del protagonista de "Le luci della sera"). Breve cameo per Kati Outinen (la negoziante che progetta di emigrare in Messico). Il doppiaggio italiano, a differenza che in passato, mi è sembrato voler infondere a forza qualche emozione nelle voci dei personaggi, un effetto straniante se accoppiato all'impassibilità dei loro volti.

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