12 dicembre 2016

Storie (Michael Haneke, 2000)

Storie (Code inconnu)
di Michael Haneke – Francia/Germania/Romania 2000
con Juliette Binoche, Thierry Neuvic
**1/2

Rivisto in divx.

A Parigi, sulle facciate delle case, non ci sono citofoni: per aprire i portoni occorre digitare un codice numerico. E se non lo si conosce, è impossibile entrare in contatto. Il "codice sconosciuto" del titolo originale, dunque, allude al filo conduttore di questo film, il primo girato da Haneke fuori dall'Austria: la difficoltà nel comunicare, anche quando si vive sotto lo stesso tetto (che si tratti di coniugi, parenti o vicini di casa) o nella stessa città (e qui il riferimento va agli immigrati, di prima o di seconda generazione). Come nel precedente "71 frammenti di una cronologia del caso", la pellicola è composta da una serie di scene (quasi tutte in piano sequenza, e separate da un breve momento in cui lo schermo si fa nero) che seguono in parallelo le vicende di vari personaggi: l'attrice Anne (Juliette Binoche); il suo compagno Georges (Thierry Neuvic), fotografo di guerra; il giovane Jean (Alexandre Hamidi), fratello di Georges, che vuole fuggire di casa; il padre di questi (Josef Bierbichler), contadino taciturno; Amadou (Ona Lu Yenke), figlio di immigrati africani; Maria (Luminița Gheorghiu), migrante rumena; e tanti altri ancora. Stavolta, però, non c'è un punto di convergenza finale (anzi, c'è divergenza: molti di questi si incontrano nella prima scena per poi seguire strade differenti): il sottotitolo, "Racconto incompleto di diversi viaggi", preannuncia che in effetti mancherà un'esplicita risoluzione. I personaggi sembrano incapaci di comprendersi non soltanto perché parlano lingue diverse (nel film si odono il francese – doppiato in italiano – oltre all'arabo e al rumeno), ma anche perché, pur condividendo lo stesso linguaggio, non sono in grado di comprendere le ragioni o le esigenze degli altri, in una società dove mondi diversi possono coesistere senza mai entrare veramente in contatto. Eppure i possibili linguaggi con cui comunicare sarebbero molteplici, al di là di quello verbale: le immagini (le foto di guerra scattate da Georges), la recitazione o il doppiaggio (Anne), la religione (la madre di Amadou), i riti condivisi (il matrimonio festeggiato in Romania), le dinamiche di gruppo (come quelle fra compagni di classe), i gesti, le regole della convivenza civile, la ribellione, la solidarietà, o semplicemente l'empatia. Tutti sembrano destinati a fallire (persino i bambini sordomuti che aprono e chiudono la pellicola, impegnati nel gioco dei mimi con il linguaggio dei segni, non indovinano mai!). E se viene a mancare anche il rapporto fra innamorati (nella scena finale Georges rimane chiuso fuori di casa, perché non conosce il "codice" del portone che Anne ha cambiato), o quello fra padre e figlio, perché dovrebbe esserci solidarietà fra i popoli? Il film è stato girato nel 2000, all'alba del nuovo millennio: e rivisto oggi, in piena crisi dei migranti, si dimostra non solo preveggente, ma più realista che pessimista.

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