17 marzo 2016

La città dei bambini perduti (Jeunet, Caro, 1995)

La città perduta (La cité des enfants perdus)
di Jean-Pierre Jeunet, Marc Caro – Francia 1995
con Ron Perlman, Daniel Emilfork
**1/2

Rivisto in divx.

Al secondo film dopo "Delicatessen", la coppia Jeunet-Caro sforna un'insolita fiaba dai toni dark e surreali e dall'ambientazione steampunk, colma di spunti e di suggestioni, ma anche più attenta all'estetica e all'aspetto visivo che non all'equilibrio narrativo. L'incipit ci rivela che uno scienziato (Dominique Pinon), che vive su una piattaforma al largo della costa circondata da mine, ha creato – oltre a una moglie nana, a un esercito di cloni di sé stesso come figli, e a un cervello senziente che soffre di mal di testa – anche Krank (Emilfork), l'uomo più intelligente del mondo, che però invecchia prematuramente perché incapace di sognare. Per rimediare, Krank fa rapire (dalla banda dei "ciclopi") bambini piccoli dalla vicina città portuale, nella speranza di poter penetrare nei loro sogni con speciali macchinari, ma i suoi tentativi falliscono regolarmente perché i piccoli hanno troppa paura di lui per poter avere sogni tranquilli. Quando a essere rapito è il fratellino adottivo di One (Perlman), forzuto che si esibisce nella fiera della città, questi si getta alla sua ricerca con l'aiuto di Miette (Judith Vittet), giovane leader di una banda di ladruncoli. Fra situazioni avventurose e oniriche (come quando Miette deve entrare a sua volta nel sogno del bambino per salvarlo, in stile "Nightmare"), personaggi bizzarri e grotteschi (l'addestratore di pulci assassine, il palombaro smemorato, la "Piovra" – una coppia di gemelle siamesi – che sfrutta gli orfani costringendoli al furto come in "Oliver Twist"), ambientazioni fumettistiche o surreali (che a turno ricordano Terry Gilliam o anticipano Michel Gondry), pur nel suo sbilanciamento il film è suggestivo nei suoi aspetti più visionari e può vantare alcune sequenze memorabili (fra le più riuscite, il crescendo che parte da una lacrima di Miette in un momento di difficoltà e, attraverso una serie di assurde concatenazioni, porta alla salvezza dei nostri eroi). La scena in cui uno dei ciclopi collega il proprio visore a quello del compagno che sta strangolando ne ricorda una analoga di "Strange days", uscito lo stesso anno. Fondamentali i contributi dei costumi di Jean-Paul Gaultier, degli effetti speciali di Pitof, della fotografia di Darius Khondji e della musica di Angelo Badalamenti (la cui canzone nei titoli di coda, "Who will take my dreams away?", interpretata da Marianne Faithfull, sarà resa celebre quattro anni più tardi da "La ragazza sul ponte" di Patrice Leconte). Uscito in Italia come "La città perduta", nell'indifferenza di pubblico e critica, il film è stato poi rieditato in home video con un titolo più fedele all'originale.

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