12 gennaio 2016

Dogtooth (Yorgos Lanthimos, 2009)

Dogtooth (Kynodontas)
di Yorgos Lanthimos – Grecia 2009
con Christos Stergioglou, Angeliki Papoulia
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Visto in divx, in originale con sottotitoli.

Il mito della caverna di Platone, adattato e trasfigurato in un disturbante dramma familiare. Per "proteggerli" dal mondo esterno, due genitori tengono i figli (un maschio e due femmine) rinchiusi in totale isolamento nella loro casa fuori città, una grande villa in aperta campagna con giardino e piscina, circondata da un alto steccato. Solo al padre è consentito di uscire per recarsi al lavoro in auto, mentre ai ragazzi – ormai praticamente adulti, ma ancora trattati come bambini – è stato insegnato che l'ambiente di fuori è pericoloso e popolato da creature violente e letali (come i "gatti"). Il condizionamento (che prevede la totale assenza di informazioni e di stimoli provenienti dall'esterno) è garantito dalla neutralizzazione delle parole più scomode (che assumono nuovi e diversi significati) e dalla distorsione di concetti fondamentali sulla vita, la società e i rapporti umani. Per "auto-migliorarsi" all'interno di questo particolare microcosmo, o anche solo per passare il tempo, i ragazzi si impegnano in strani test e competizioni, i cui punteggi garantiscono blandi premi o punizioni. E per venire incontro a particolari esigenze (come gli istinti sessuali del ragazzo), il padre conduce occasionalmente in casa Christina, una donna impiegata come come addetta alla sicurezza nella fabbrica dove lavora; ma quando questa si dimostrerà inaffidabile (in particolare portando in casa delle videocassette attraverso le quali la figlia maggiore entrerà in contatto con realtà che non conosceva e che contraddicono apparentemente ciò che gli è sempre stato insegnato: nello specifico, si tratta dei film "Rocky IV", "Lo squalo" e "Flashdance"), si dovrà fare a meno anche di lei. I ragazzi non hanno nemmeno un nome, anche se la suddetta figlia maggiore (quella che cova il maggior spirito di ribellione) se ne sceglie uno di nascosto: "Bruce". Fra i tanti elementi interessanti di una pellicola dai toni paradossali e surreali, c'è la mutata percezione del sesso da parte dei ragazzi: imitando Christina, che aveva chiesto alla maggiore di essere "leccata" in cambio di un dono, per le figlie diventa una consuetudine farlo come merce di scambio (anche non in zone erogene: l'atto non ha alcuna implicazione di natura sessuale). Quando Christina uscirà di scena, a fare le sue veci sarà una delle sorelle del ragazzo: e poco importa se si tratterà di incesto (tutto ciò che viene da fuori è pericoloso, mentre quello che è all'interno della casa no).

La tattica di mistificazione e di deformazione della realtà, come detto, implica di tenere i figli nella completa ignoranza delle cose della vita: per spiegare il prossimo arrivo di un cane da guardia, i genitori dicono loro che la madre lo partorirà (e nel frattempo, per tener lontano i "pericolosi" gatti, ad abbaiare ci pensano i membri stessi della famiglia: una scena significativa, se abbinata a quella del discorso dell'istruttore del canile); gli aerei che sorvolano la casa vengono descritti come minuscoli, e spesso cadono (a questo scopo, basta ogni tanto lasciare un aereo giocattolo nel giardino); un disco con la canzone "Fly me to the moon" viene spacciato per un messaggio del nonno, che li invita ad amare la casa e i genitori e a non abbandonarli mai; e naturalmente – e questo spiega il titolo del film – c'è la regola secondo cui un ragazzo diventa adulto, e dunque può uscire di casa, soltanto quando perde uno dei canini; ma l'unico mezzo sicuro per avventurarsi all'esterno è l'automobile, e per prendere la patente bisogna aspettare che il canino ricresca: un modo come un altro per lasciare i figli nell'attesa di qualcosa che non avverrà mai (il condizionamento è talmente forte che la figlia maggiore, persino nella sua ribellione, continuerà a seguire queste regole). Il film ha fatto scalpore nel circuito dei festival internazionali per il suo mettere in scena – attraverso un desiderio malsano (anche se forse amorevole e in buona fede) di proteggere i propri figli dal male del mondo esterno – una metafora sociale e/o politica (il governo che si prende cura dei propri cittadini mentendo o nascondendo loro la verità; oppure, se vogliamo, i rischi dell'isolazionismo e dell'autarchia, con la perdita totale del senso delle cose). In fondo i genitori costruiscono un ordine artificiale, attraverso la propaganda, la disinformazione e il condizionamento sociale, e non pochi sono gli elementi che ricordano le distopie come "1984" (l'alterazione del linguaggio) o "Matrix" (la modifica della percezione del mondo, dei suoi simboli e delle relazioni). Proprio come fanno i genitori con i figli, anche il regista centellina, manipola o nasconde le informazioni ai propri spettatori, lasciandoli all'oscuro di alcuni sviluppi (per esempio nel finale, ma anche nell'antefatto: si pensi al "fratello maggiore" che secondo i ragazzi vive al di fuori dello steccato; probabilmente un altro figlio che, prima di loro, è fuggito di casa). La regia è asciutta e senza fronzoli, quasi fredda nel mostrare sullo schermo tante e tali "perversioni" (siamo dalle parti di Haneke, del citato Ferreri, forse di Buñuel). Lo spunto su cui si basa il soggetto, per quanto originale possa sembrare, è stato usato più volte al cinema (da "Il castello della purezza" di Ripstein, ispirato fra l'altro a una storia vera, a "The village" di M. Night Shyamalan) e in letteratura, per non parlare – visto che proviene dalla Grecia – del mito della caverna, appunto. Ultima curiosità: il poster del film mostra due canini stilizzati, ma la forma è quella di una parabola, ad avvisare sin da subito che si tratta di una metafora (in greco, come in italiano, la parola "parabola" ha il duplice significato di curva geometrica e racconto allegorico).

2 commenti:

Marisa ha detto...

Bella recensione di un film molto disturbante.
Il riferimento al mito della caverna è molto pertinente, anche se vedere il divino Platone reso così è ancora più "perturbante", per usare un termine freudiano...
E noi che crediamo di essere liberi e di "conoscere" la realtà in cui viviamo!

Christian ha detto...

Per conoscere la realtà, a volte, è indispensabile affidarci a chi ci ha preceduto nel mondo e a chi ci deve insegnare (in questo caso i genitori). Ma se anche loro ci ingannano, è difficile capire le cose da soli.

C'è un film messicano con una trama molto simile (e che ho citato), "Il castello della purezza" del 1972, ma in quello manca tutto l'aspetto simbolico e metaforico che rende questo film greco più "universale".