Medea (Pier Paolo Pasolini, 1969)
Medea
di Pier Paolo Pasolini – Italia/Fra/Ger 1969
con Maria Callas, Giuseppe Gentile
***1/2
Visto in divx alla Fogona, con Marisa.
Dopo l'"Edipo Re" di due anni prima, Pasolini firma un altro adattamento cinematografico di una tragedia greca, scegliendo questa volta la "Medea" di Euripide, di cui realizza una versione impressionante sotto tutti i punti di vista. E in particolare sotto l'aspetto visivo: i colori, i costumi e le scenografie sovrastano a tratti le parole, soprattutto in una prima parte (quella che narra l'antefatto della tragedia, ovvero la nascita di Giasone, la sua ricerca del Vello d'Oro, l'arrivo nella Colchide dove lui e gli Argonauti vengono aiutati da Medea, e il ritorno a Corinto) fatta di silenzi, sguardi, canti e riti ancestrali. Fra questi spicca il sacrificio umano per donare fertilità ai campi, una sorta di abbattimento del capro espiatorio, veicolato da una religione pagana cui Medea appartiene in tutto e per tutto: non a caso, a sua volta, sacrifica il fratello e ne smembra il corpo pur di facilitare la fuga degli Argonauti, in una scena che dunque introduce da subito la parte più sanguinaria del personaggio, anche se in questo caso non è mossa da odio o rancore ma dall'amore. Il tutto esplicita nella maniera più efficace (e visiva) possibile il tema generale della natura violenta dell'uomo, addomesticata e incanalata attraverso i riti e la religione, ma pronta a riaffiorare in ogni momento se spinta da passioni come l'ira, la gelosia e la vendetta. Se la parte ambientata nella Colchide è stata girata da Pasolini in Cappadocia (i paesaggi mozzafiato, i campi e le pietre rendono meravigliosamente l'idea di un mondo lontano), per portare sullo schermo Corinto il regista ha scelto nientemente che la piazza dei Miracoli di Pisa, le cui architetture rinascimentali ben simboleggiano un regno più moderno e civilizzato. Non a caso Medea, donna appartentente a un mondo più "arcaico" e antico, vi si scopre spaesata. E di fronte al tradimento di Giasone, che la lascia con l'intenzione di sposare la giovane figlia del re Creonte, progetta una tremenda vendetta. Questa, curiosamente, viene (almeno in parte) mostrata sullo schermo due volte: Pasolini lascia infatti che Medea prima la immagini, come in una visione (in questo caso la veste che regala a Glauce prende fuoco), e poi la attui davvero (con una veste che la rende folle), ripetendo diverse sequenze pari pari. Allo stesso modo, nella Colchide, la donna aveva avuto una visione dell'arrivo di Giasone. In effetti – e questo spiega il carattere onirico e allucinatorio di diverse sequenze – il film inizialmente avrebbe dovuto intitolarsi "Visioni della Medea".
Se Giasone è interpretato dall'atleta Giuseppe Gentile (medaglia di bronzo nel salto triplo alle Olimpiadi del 1968), per il ruolo di protagonista Pasolini scelse la cantante lirica Maria Callas (alla prima e unica esperienza come attrice cinematografica), sua grande amica, che non solo era greca per nascita, ma l'anno prima era stata lasciata da Aristotele Onassis: non aveva figli da uccidere né poteri magici, ma – chissà! – se avesse potuto, magari avrebbe incenerito volentieri Jacqueline Kennedy! In quanto nipote di Elio, Medea trae i suoi poteri magici dal Sole, e questo viene esplicitato in una scena. Una certa enfasi, però, viene data anche alla Luna, corpo celeste "femminile" per eccellenza, e se vogliamo collegato alla Callas attraverso la "Norma" di Bellini ("Casta diva..."). La luna, in generale, risveglia l'arcaico potere dentro la donna: anche dentro l'uomo, però, c'è un sapere antico, che nel film è rappresentato dal centauro Chirone, mentore di Giasone, che lo accompagna durante tutte le fasi della crescita all'inizio della pellicola (educandolo sul ruolo della natura e degli dei) e che poi ricompare in due distinte forme (centauro e umano), spiegandogli come i miti siano qualcosa che fa parte di lui, degli archetipi che accompagnano l'uomo anche in età adulta e civilizzata. La voce di Chirone (l'attore è il francese Laurent Terzieff) è di Enrico Maria Salerno. Furono doppiati anche Medea (Rita Savagnone) e Giasone (Pino Colizzi), che peraltro condividono ben pochi dialoghi in un film fatto di silenzi: il loro innamoramento, ma anche la separazione, è narrato per immagini, e l'unico momento in cui i due si confrontano a parole è nel finale, quando ormai la tragedia è compiuta. Il resto del cast comprende Massimo Girotti (Creonte), Margareth Clementi (Glauce) e Annamaria Chio (la nutrice). Qualche accenno merita anche la suggestiva colonna sonora, che come in "Edipo Re" Pasolini ha riempito di sonorità lontane ed arcaiche, compresa una preghiera giapponese. Nel complesso, un film ricco di forza e di significati che vanno al di là dei semplici eventi narrati, "universale" come lo erano le tragedie greche e come è il miglior cinema che sa superare i propri confini, opera non solo di un grande regista ma in generale frutto di una stagione in cui il cinema italiano (ed europeo) sapeva lanciare uno sguardo verso l'esterno, con un'attenzione ad altri mondi e altre culture e un approccio quasi etnografico (si pensi ai colori, ai costumi, ai canti) che fonde alla perfezione la profondità dei contenuti con la potenza delle immagini.