6 giugno 2015

Eisenstein in Messico (P. Greenaway, 2015)

Eisenstein in Messico (Eisenstein in Guanajuato)
di Peter Greenaway – Olanda/Messico/Bel/Fin 2015
con Elmer Bäck, Luis Alberti
**1/2

Visto al cinema Apollo, in originale con sottotitoli.

Nel 1931 il regista sovietico Sergei Eisenstein, già celebre internazionalmente per film come "Ottobre" e "La corazzata Potëmkin", si recò in Messico – per la precisione nella città di Guanajuato – con l'intento di girare un film che non avrebbe mai visto la luce (almeno nella forma da lui pensata). Nel corso di un anno, infatti, furono impressi centinaia di migliaia di metri di pellicola: ma i dissapori con i finanziatori americani, e le pressioni di Stalin affiché il regista tornasse in Russia, gli impedirono di completare il lavoro: parte del materiale fu montato senza di lui, in diverse versioni e in più occasioni. La pellicola di Greenaway, pur ricostruendo il contesto storico e artistico di quel viaggio (e romanzando parecchi dettagli), non mostra però Eisenstein al lavoro: ne indaga l'esperienza emotiva, traumatica e bizzarra, di uno straniero curioso e desideroso di sperimentare, alla scoperta di una cultura in grado di cambiarlo profondamente (ironicamente, parafrasando il sottotitoli di "Ottobre", si dice che il film potrebbe essere intitolato "I dieci giorni che sconvolsero Eisenstein"). Attraverso la sua affascinante guida Palomino Cañedo (Alberti), infatti, il regista ha modo di riflettere sull'arte, sull'amore, sulla vita e su sé stesso. "Non sono sicuro che i cineasti verranno ricordati", confessa preoccupato durante una visita al locale cimitero, in cerca di un soggetto per il suo film. E proprio Cañedo lo conduce ad approfondire i due temi fondamentali, la morte e il sesso, necessari "per provare che siamo vivi". Come un Virgilio che lo guida nell'oltretomba, l'amico dapprima lo "inizia" al culto dei morti messicano, e poi ai rapporti omosessuali (che, con la loro connaturata violenza e sopraffazione, fungono da perfetta metafora a quelle rivoluzioni politiche che negli anni precedenti avevano trasformato i rispettivi paesi). Senza rinunciare al suo stile ricchissimo ed eclettico (con alternanza di bianco/nero e colore, split screen, piani sequenza con camera digitale, inserimenti di fotografie, dipinti, spezzoni di documentari, e naturalmente sequenze dei film dello stesso Eisenstein), a volte provocatorio e discutibile ma mai banale, Greenaway si affida alla fisicità degli attori protagonisti (che non esitano a mostrarsi nudi) – in particolare da un Elmer Bäck dal fisico goffo e dai capelli sparati, ma comunque estremamente espressivo – e soprattutto alla gestione degli spazi, architettonici ed interni. Luogo centrale della pellicola è infatti la camera d'albergo di Eisenstein, quasi un palco teatrale, circondata da un ampio colonnato e caratterizzata da un pavimento a vetri che la macchina da presa esplora in ogni modo (persino vorticando incessantemente in tondo, nella scena in cui il regista riceve la visita di Mary Sinclair). Ma non vanno dimenticati l'atrio e le scale, sferzate dalla pioggia, dell'albergo (che in realtà è lo splendido Teatro Juárez della città: in alcune sequenze se ne ammirano anche gli interni, con un'orchestra intenta a suonare la danza dei cavalieri dal "Romeo e Giulietta" di Prokofiev mentre vengono proiettati i film di Eisenstein). Il resto è un'infinità di spunti, dettagli, riferimenti visivi, culturali, artistici, cinematografici o filosofici, da approfondire se si vuole oppure da lasciar decantare e perderli nell'insieme. Puro Greenaway, insomma, e forse più "accessibile" del solito.

4 commenti:

Cumbrugliume ha detto...

Greenaway mi ha sempre affascinato, anche se a dire il vero nessuno dei suoi tanti film mi è mai piaciuto particolarmente... ma il suo sguardo pittorico mi convincerà a recuperarmi pure questo :)

Christian ha detto...

C'è dentro tanta roba... come suo solito. ^^

(P.S. Ieri, a Milano, Greenaway stesso era presente in sala!)

Marisa ha detto...

Ho avuto la fortuna di assistetre alla proiezione all'Apollo con la presentazione di Greenaway e mi sono divertita a sentire come da un uomo dall'apparenza di un anziano signore un pò corpulento e bonariamente pacificato uscissero delle arguzie "birichine" tipo di come ha scoperto un attore praticamente sconosciuto come Elmer Back (da una serie televisiva svedese) e lo ha convinto immediatamente a dargli tutto il corpo, la voce e l'uccello...
Ha ribadito poi il bisogno per lui di rimanere entro una cinematografia che si riferisca costantemente al panorama culturale precedente (da qui l'abbondanza di citazioni e riferimenti non casuali) e la sua incondizionata ammirazione per Eisenstein come maggior cineasta in assoluto.

Christian ha detto...

Non sapevo di questa ammirazione di Greenaway per Eisenstein, o almeno non me n'ero mai accorto dalla visione degli altri suoi film. Forse perché i riferimenti di Greenaway sono di solito pittorici, più che cinematografici.