27 febbraio 2014

Macbeth (Roman Polanski, 1971)

Macbeth (id.)
di Roman Polanski – GB/USA 1971
con Jon Finch, Francesca Annis
***

Rivisto in DVD.

Il guerriero scozzese Macbeth, al quale tre streghe hanno preannunciato l'ascesa al trono, si impegna per far avverare la profezia, rendendosi colpevole di efferati delitti. Ciò che più colpisce in questo adattamento della tragedia shakesperiana è la concretezza palpabile della messa in scena, del tutto priva di quella "artificialità" tipica del palcoscenico e anche di tante versioni cinematografiche di opere teatrali. Merito soprattutto dell'ambientazione quasi barbarica voluta da Polanski e delle sue location "povere" ma di grande qualità visiva: le highlands battute dal vento, le brughiere desolate, i castelli rocciosi, i cortili, la terra e la pietra, dove si snoda una una vicenda archetipica e ancestrale di ambizione, tradimento e di morte. E poi c'è la violenza: il sangue copioso sullo schermo, con teste mozzate, carneficine e un tono cruento, cupo e opprimente che molti critici hanno collegato direttamente allo stato d'animo del regista (si trattava del primo film girato dopo il massacro della moglie Sharon Tate da parte di Charles Manson: significativa, al riguardo, l'intensità emotiva della scena in cui gli sgherri di Macbeth trucidano la moglie e il figlio di Macduff). Polanski riesce anche ad evitare le "trappole" del confronto con le grandi versioni cinematografiche che l'avevano preceduto (quelle di Welles e di Kurosawa), realizzando un film che vive di vita propria. Pur non sacrificando la fedeltà al testo di partenza, l'adattamento (opera del regista stesso, in collaborazione con il critico teatrale Kenneth Tynan) utilizza le immagini per costruire qualcosa di nuovo e dare ulteriore e ambiguo significato ad alcuni personaggi minori: si pensi a Ross, sviluppato ben oltre il suo ruolo originario e trasformato in un machiavellico opportunista; o a Donalbain, il figlio minore di Re Duncan, che nel finale si reca presso l'antro delle streghe, come a suggerire che il ciclo della violenza non avrà mai fine. Tutto questo senza però aggiungere ulteriori battute a quelle previste da Shakespeare, le cui parole risuonano sullo schermo con alternanza fra il parlato e il pensato (i soliloqui sono rappresentati, in maniera assai naturalistica, con la voce fuori campo), sostenute dalle recitazioni intense e credibili di un cast di attori in gran parte britannici: oltre a Jon Finch nel ruolo di Macbeth e a Francesca Annis in quello di sua moglie, ci sono Martin Shaw (Banquo), Terence Bayler (Macduff), John Stride (Ross) e Nicholas Selby (Duncan). Degna di nota anche la colonna sonora, firmata dal gruppo progressive Third Ear Band. Il film fu prodotto da Hugh Hefner (sì, quello di "Playboy"!), dopo che tutte le major hollywoodiane avevano rifiutato di finanziarlo.

25 febbraio 2014

L'uomo nel mirino (Clint Eastwood, 1977)

L'uomo nel mirino (The Gauntlet)
di Clint Eastwood – USA 1977
con Clint Eastwood, Sondra Locke
**

Visto in TV.

Il poliziotto Ben Shockley (Eastwood) viene incaricato di scortare da Las Vegas a Phoenix una prostituta, "Gus" Mally (Locke), che dovrà testimoniare in un processo contro il capo della polizia Blakelock (William Prince), accusato di collusioni con la mafia. Ma questi farà di tutto per impedire che i due giungano a destinazione, scatenando contro di loro l'intero corpo di polizia dell'Arizona. Poliziesco on the road piuttosto convenzionale e prevedibile, con un soggetto stereotipato e implausibile al tempo stesso: si salva per la viscerale interpretazione di Clint, per una sottile ironia di fondo (gli scommettitori clandestini di Las Vegas che "quotano" il mancato arrivo della testimone al processo, dandola 100 a 1) e per il visionario finale in cui l'autobus corazzato con a bordo i due protagonisti viaggia per le strade deserte di Phoenix ed è preso di mira da centinaia di poliziotti che lo crivellano di colpi (pare che in tutta la pellicola siano stati sparati diecimila proiettili, allora un record degno di figurare persino nel Guinness dei Primati). Shockley, nonostante il coraggio e l'eroismo, è ritratto come un personaggio mediocre, alcolizzato (numerosi i product placement di una nota marca di whisky) e che non brilla per intelligenza (ci mette un bel po' a capire quello che è evidente a tutti gli altri, compresa la prostituta, ovvero che la "mela marcia" è il suo capo). La Locke, al secondo film con Eastwood dopo "Il texano dagli occhi di ghiaccio", era al tempo la compagna di Clint. La locandina originale, che mostra il protagonista in una posa eroica alla "Conan il barbaro", è opera di Frank Frazetta.

22 febbraio 2014

12 anni schiavo (Steve McQueen, 2013)

12 anni schiavo (12 Years a Slave)
di Steve McQueen – USA/GB 2013
con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender
**1/2

Visto al cinema Arcobaleno, con Sabrina.

Nel 1841, il violinista di colore Solomon Northup, che vive libero con la sua famiglia nello stato di New York, viene rapito e venduto come schiavo in Louisiana, dove lavorerà nelle piantagioni di cotone per dodici anni prima di riottenere la libertà. Tratto da una storia vera (Northup scrisse nel 1853 un libro sulla sua odissea, dal quale John Ridley ha adattato la sceneggiatura), un monumentale affresco storico sul tragico fenomeno della schiavitù negli Stati Uniti prima della guerra di secessione (letto però in chiave personale e individualistica), con il quale il talentuoso regista britannico Steve McQueen debutta a Hollywood con grande successo. Ben nove, infatti, le candidature all'Oscar, con molte probabilità di portare a casa la statuetta per il miglior film: un po' troppo, forse, per un'opera terza che mi è parsa inferiore alle prime due e che, al netto della potenza del tema narrato, delle ottime interpretazioni e dell'elevato tasso tecnico della realizzazione, risulta in realtà priva di evoluzione, di sfumature e di una vera profondità. A parte il protagonista, con il quale lo spettatore è chiamato a identificarsi, gli altri personaggi e in generale il mondo attorno a lui sono infatti descritti in termini manichei o puramente utilitaristici: basti pensare al carpentiere abolizionista canadese interpretato da Brad Pitt, che assomiglia più a un espediente narrativo che a un vero personaggio. In generale, anche se i vari schiavisti che si passano la "proprietà" di Solomon nel corso degli anni sono differenti l'uno dall'altro (chi più buono, come Benedict Cumberbatch, e chi più cattivo, come l'eccezionale Michael Fassbender, già protagonista dei primi due lavori di McQueen e senza dubbio il migliore del cast), mancano autentici dilemmi morali; e la sceneggiatura non fa mai il salto di qualità. Ordinaria anche la colonna sonora di Hans Zimmer, impreziosita però da alcuni splendidi blues e spiritual cantati dai neri durante il lavoro nelle piantagioni. Il regista sfoggia comunque al meglio le proprie capacità tecniche, dando vita a sequenze di grande impatto: su tutte, la scena in cui Solomon è costretto a frustare la giovane schiava Patsey (Lupita Nyong'o), girata in un lungo e unico piano sequenza. Paul Giamatti è il mercante di schiavi, Paul Dano il lavorante razzista, Sarah Paulson la moglie di Fassbender.

20 febbraio 2014

What women want (Nancy Meyers, 2000)

What Women Want - Quello che le donne vogliono (What Women Want)
di Nancy Meyers – USA 2000
con Mel Gibson, Helen Hunt
**

Visto in TV.

A causa di un bizzarro incidente domestico, Nick Marshall (Gibson), creativo pubblicitario maschilista e dongiovanni, si scopre in grado di percepire nella propria testa i pensieri delle donne ("Se gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere, lei ora può parlare il venusiano", gli spiega una psicologa). E quello che all'inizio sembrava un incubo si rivela un dono piovuto dal cielo, perché gli consente di fare carriera ("rubando" le idee alla collega-rivale Darcy McGuire, più in sintonia con il target da conquistare), di sedurre ogni ragazza (cogliendo il momento giusto per farsi avanti) e in generale di rendersi popolare con le donne (fingendosi sensibile e attento alle loro esigenze e preoccupazioni). Ma anche di migliorare la propria indole, stringendo così un vero rapporto con la figlia teenager Alex (Ashley Johnson) e scoprendosi sinceramente innamorato di Darcy (Helen Hunt). Costruita su uno spunto semplice e simpatico, un'innocua commedia romantico-fantastica che recupera (e aggiorna agli anni duemila) il tema dello scontro fra i sessi che aveva fatto la fortuna dei classici sofisticati di Cukor e delle screwball comedy di Hawks. Geniale l'idea di ambientare la pellicola nel mondo delle agenzie pubblicitarie, i cui creativi, per avere successo, devono proprio cercare di entrare nella mente del loro pubblico. Peccato solo che il ritmo e il brio della prima parte finiscano lentamente con l'esaurirsi nella seconda, quando il film cessa di sfruttare lo spunto fantastico di partenza e sfocia nella più convenzionale commedia romantica di stampo hollywoodiano. Comunque buona (e autoironica) la prova di Gibson, che balla con un appendiabiti sulle note di Sinatra (tutta la colonna sonora è a base di classici anni '50) e si fa la ceretta depilatoria alle gambe nel tentativo di "calarsi nella psicologia femminile". Nel cast anche Marisa Tomei (la ragazza del caffè), Alan Alda (il capo dell'agenzia pubblicitaria) e Bette Midler (la psicologa). Nel 2011 è uscito un remake cinese con Andy Lau e Gong Li.

18 febbraio 2014

Scott Pilgrim vs. the world (E. Wright, 2010)

Scott Pilgrim vs. the World (id.)
di Edgar Wright – USA 2010
con Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead
***

Visto in DVD, con Sabrina.

Bassista ventiduenne di Toronto che suona in una scalcinata band (i Sex Bob-omb), Scott Pilgrim abita con un coinquilino omosessuale e frequenta una liceale cinese. Ma quando incontra la misteriosa Ramona Flowers, letteralmente la ragazza dei suoi sogni, se ne innamora perdutamente: peccato però che, per conquistarla, dovrà prima sconfiggere – uno dopo l'altro, come in un videogioco a livelli – i suoi sette malvagi ex fidanzati. Dall'omonimo fumetto indie del canadese Bryan Lee O'Malley, un divertente film comico-adolescenziale pieno di trovate e riferimenti geek, debitore formalmente all'immaginario dei comics (le onomatopee visibili sullo schermo, il montaggio rapido e "a stacchi") e della musica rock (qui e lì, come nella sottotrama della "guerra fra bande", rievoca persino "Bill & Ted") ma soprattutto dei videogame, con alert e punteggi in sovrimpressione, effetti sonori, dinamiche dei combattimenti (all'insegna delle arti marziali o di super-poteri mistici) presi di petto dai vecchi giochi arcade e dalle successive evoluzioni dei fighting game per console (per non parlare di "Super Mario Bros."). Il tutto al servizio di personaggi simpatici (sì, persino i cattivi più sbruffoni!), di una storia tutto sommato lineare (al punto che l'intera sovrastruttura videoludica potrebbe essere una semplice metafora per dar forza al messaggio principale: "Se ami qualcuno, o qualcosa, devi combattere per averlo") e che procede in un crescendo irresistibile che tuttavia non tradisce lo spirito dei teen movie a sfondo romantico. Anche la regia assai creativa di Wright ("L'alba dei morti dementi", "Hot Fuzz") fa la sua parte, giocando con gli effetti speciali ma utilizzandoli sempre nel giusto contesto. Se si sta al gioco, si passa dal contagioso all'entusiasmante, anche perché i momenti surreal-demenziali (si pensi a come Scott sconfigge alcuni dei suoi rivali, su tutti l'attore di film d'azione o il cantante vegano) non distraggono dalla trama principale ma vi si integrano perfettamente, proprio come le gag di fine striscia in un fumetto a continuazione. Si tratta, in fin dei conti, di un ottimo esempio di come ibridare con efficacia in un film gli elementi delle subculture di massa. Bravi tutti i giovani attori (Michael Cera è Scott; Mary Elizabeth Winstead è Ramona, dai capelli cangianti; Kieran Culkin – fratello di Macaulay – è Wallace, il coinquilino gay; Ellen Wong è Knives Chau, la cinesina fidanzata con Scott), con qualche volto noto qua e là (Chris Evans, Brandon Routh, Jason Schwartzmann).

17 febbraio 2014

Fiamma d'amore (A. Hitchcock, 1931)

Fiamma d'amore (The skin game)
di Alfred Hitchcock – GB 1931
con Edmund Gwenn, Phyllis Konstam
**

Visto in divx.

Fra gli Hillcrest e gli Hornblower, due potenti famiglie del countryside inglese, c'è una forte rivalità, dovuta non soltanto alle differenze di classe (i primi appartengono al ceto nobile, i secondi alla nuova borghesia arricchita) ma anche e soprattutto ai diversi punti di vista sui temi sociali e ambientali. Gli Hillcrest sono tradizionalisti e conservatori, gli Hornblower progressisti e rampanti: se i primi puntano alla conservazione del territorio, i secondi auspicano l'urbanizzazione delle campagne. Il dissidio fra i genitori mette a repentaglio anche la simpatia fra i figli, che non riescono a superare le rispettive diffidenze. Lo scontro raggiunge il suo culmine quando il signor Hornblower manifesta l'intenzione di acquistare la tenuta confinante con quella dei rivali per ingrandire le proprie fabbriche. Non essendo riuscita a impedirglielo, la signora Hillcrest gioca la carta del ricatto, minacciando Hornblower di rivelare a tutti il passato poco limpido di sua nuora, una ragazza che in gioventù lavorava come "accompagnatrice" di uomini impegnati in cause di divorzio. La vicenda sfocerà in un inevitabile finale tragico. Poco amato dai critici della nouvelle vague (Rohmer e Chabrol lo definirono "Il più brutto film che Hitchcock abbia mai firmato") e dal regista stesso (che non amava parlarne, anche perché non era stato lui a scegliere il soggetto), il film – tratto da un'opera teatrale di John Galsworthy, l'autore della "Saga dei Forsyte" – in realtà non è poi così terribile: certo, non brilla particolarmente né per la recitazione né per la regia (sir Alfred non si preoccupa di ravvivare più di tanto le lunghe sequenze dense di dialoghi, tranne che con qualche intenso primo piano: fra le poche scene degne di nota c'è quella dell'asta, mostrata per lo più in soggettiva dal punto di vista del banditore), ma i contenuti sono decisamente interessanti, anche in prospettiva storico-sociale, e la molta carne al fuoco (oltre all'ambiguità che impedisce di definire chiaramente chi sia il buono e chi il cattivo) tiene desta l'attenzione fino alla fine.

16 febbraio 2014

Omicidio! (Alfred Hitchcock, 1930)

Omicidio! (Murder!)
di Alfred Hitchcock – GB 1930
con Herbert Marshall, Norah Baring
**

Visto in divx.

Un'attrice di teatro, Diana Baring (Norah Baring), è accusata di aver ucciso una collega che faceva parte della stessa compagnia itinerante. Le prove contro di lei sono schiaccianti: ma al processo, nella giuria chiamata ad emettere il verdetto, c'è anche Sir John Menier (Herbert Marshall), a sua volta attore affermato e di grande profilo, che crede all'innocenza della ragazza e comincia una personale indagine per scoprire il vero colpevole. Tratto dal romanzo "Enter Sir John" di Clemence Dane e Helen Simpson, il terzo film sonoro di Hitchcock è una delle poche opere nella prima parte della sua filmografia a presentare le caratteristiche che diventerrano in seguito il suo marchio di fabbrica: il mistero, la suspense e il tema dell'innocente accusato ingiustamente. Vero e proprio whodunit costruito sulla ricerca dell'identità dell'assassino, il film soffre però per una certa mancanza di sottigliezza a livello di sceneggiatura, tanto nella caratterizzazione dei personaggi quanto nel modo di dipanare l'intreccio, che viene risolto in maniera improvvisa e non del tutto convincente. Dinamica invece la regia, che esibisce numerose idee soprattutto a livello di montaggio, ed è debitrice (in particolare nelle scene in esterni) alle atmosfere dell'espressionismo tedesco. La lunga sequenza con i dodici membri della giuria che dibattono sull'omicidio, riuniti in camera di consiglio, prefigura in più aspetti "La parola ai giurati" di Sidney Lumet. Interessante anche la scena dell'interrogatorio agli attori della compagnia, mentre entrano ed escono di scena, dietro le quinte della commedia che stanno recitando. Il motivo dell'intreccio fra l'arte teatrale e la vita ricorre in continuazione, con Sir John convinto che la vita debba fornire spunti all'arte e che quest'ultima debba essere usata per analizzare i fatti della vita. Da sottolineare la natura "ambigua" di Handel Fane (Esme Percy), l'attore che recita vestito da donna: nel doppiaggio italiano viene definito "un diverso", lasciando intendere una sua omosessualità, mentre la versione originale (a causa della censura) celava questo aspetto usando il termine "half-caste", suggerendo cioè che il suo grande segreto fosse quello di essere un mezzosangue. Il bravo Marshall ("Mancia competente") tornerà a lavorare con Hitchcock ne "Il prigioniero di Amsterdam". Nel cast anche Edward Chapman e Phyllis Konstam nei panni dei buffi coniugi Markham, rispettivamente direttore di scena e attrice nella stessa compagnia della vittima e della sospettata, che aiutano Sir John nelle sue indagini. Contemporaneamente alla versione inglese, Hitch ne girò anche una con attori tedeschi (protagonista Alfred Abel), intitolata "Mary" e uscita l'anno seguente.

14 febbraio 2014

La morte cavalca a Rio Bravo (S. Peckinpah, 1961)

La morte cavalca a Rio Bravo (The Deadly Companions)
di Sam Peckinpah – USA 1961
con Brian Keith, Maureen O'Hara
**1/2

Visto in TV.

Da cinque anni un ex sergente nordista (Brian Keith) è alla ricerca del disertore sudista (Chill Wills) che durante la guerra civile l'aveva quasi scotennato. Proprio quando lo ha trovato, fingendo di volersi unire a lui e al suo compagno Billy (Steve Cochran) per rapinare una banca, deve mettere da parte i suoi propositi di vendetta perché nel corso di una sparatoria ha involontariamente ucciso un bambino: roso dai sensi di colpa, si offre di accompagnare la madre (Maureen O'Hara), che intende seppellirlo a fianco del padre, scortandola attraverso il pericoloso territorio Apache. La pellicola d'esordio di Sam Peckinpah è un western vecchio stile sui temi della vendetta e del perdono, a basso budget e privo della violenza improvvisa e stilizzata che caratterizzerà le opere successive, ma comunque dotato di alcuni pregi: su tutti, la caratterizzazione psicologica dei protagonisti, con Keith nel ruolo dell'antieroe senza nome che non si toglie mai il cappello (per non mostrare la cicatrice dello scotennamento) e che deve destreggiarsi fra l'odio e i sensi di colpa, e un'ottima Maureen O'Hara nei panni di una donna forte ed orgogliosa, vittima delle circostanze ma desiderosa di una vita migliore. Ma anche i due personaggi minori, l'infido dongiovanni Billy e soprattutto il sudista Turkey, che sogna di diventare il governatore di una piccola repubblica indipendente, lasciano qualcosa allo spettatore. L'esordio alla regia cinematografica del grande Sam (fino ad allora soltanto sceneggiatore) fu dovuto al suggerimento di Keith, che aveva lavorato con lui nella serie televisiva "The Westerner". La pellicola venne pesantemente manipolata al montaggio dal produttore Charles B. Fitzsimons, fratello della O'Hara (la lotta per ottenere il director's cut rimarrà purtroppo una costante di tutta la carriera del regista), ma a tratti i temi (se non la mano) di Peckinpah riescono a emergere.

12 febbraio 2014

Minority report (S. Spielberg, 2002)

Minority Report (id.)
di Steven Spielberg – USA 2002
con Tom Cruise, Colin Farrell
***

Rivisto in TV, con Sabrina.

In un futuro non troppo lontano (2054), la nascita di tre individui dotati di poteri di preveggenza (i "precog") ha reso possibile la creazione di un'unità speciale di polizia, la pre-crimine, che arresta i potenziali criminali prima ancora che questi compino i loro delitti. Le basi etiche di un tale meccanismo sono discutibili, ma poiché la pre-crimine ha di fatto azzerato il tasso di omicidi nell'area di Washington, si sta valutando se estenderne la giurisdizione a tutti gli Stati Uniti. L'agente John Anderton (Cruise), capitano e fervente sostenitore della pre-crimine, si scopre un giorno accusato a sua volta: i precog annunciano infatti che entro poche ore ucciderà a sangue freddo un uomo di cui al momento non conosce nemmeno l'esistenza. Braccato dai suoi stessi compagni, si dà alla fuga nel tentativo di dimostrare la propria innocenza... Tratto da un breve racconto di Philip K. Dick, un thriller d'azione con cui Spielberg dimostra di trovarsi ancora perfettamente a suo agio con la fantascienza, sfornando una delle sue migliori pellicole del decennio, che funziona perfettamente tanto dal punto di vista del giallo quanto da quello "filosofico" (i temi sono quelli della predeterminazione e della libera scelta: conoscendo già il proprio futuro, sarà possibile cambiarlo?). E questo nonostante qualche leggera sbavatura nella sceneggiatura (l'ondivaga caratterizzazione dell'osservatore del dipartimento di giustizia, interpretato da Colin Farrell) o alcuni buchi narrativi (come si può pensare di estendere la pre-crimine a tutto il paese, visto che esistono soltanto tre precog?). Ben equilibrata fra scene d'azione e momenti di introspezione, la pellicola abbina il tentativo di costruire un futuro credibile anche dal lato tecnologico e scenografico (da ricordare, a questo proposito, i computer "trasparenti" che vengono manovrati con i movimenti delle mani in 3D; ma anche il design delle automobili, o la diffusione capillare delle scansioni ottiche che consentono anche pubblicità personalizzate per i passanti o per chi entra nei negozi) con l'ottima gestione delle sequenze di pura tensione (il protagonista che si fa operare agli occhi per nascondere la propria identità, l'irruzione dei piccoli ragni robotici alla sua ricerca). Il titolo del film, che significa "Rapporto di minoranza", fa riferimento ai casi in cui uno dei tre precog prevede un delitto in maniera diversa dagli altri due, lasciando intendere che possano esistere delle ramificazioni alternative nel futuro. Anche se Spielberg non rinuncia alla sua ossessione per i valori famigliari, facendo del trauma del protagonista (che ha perso un figlio in tenera età) il cardine della caratterizzazione del personaggio (ma c'è da dire che tale sottotrama è anche fondamentale in chiave narrativa), quest'ultima è comunque arricchita da elementi tutto sommato inconsueti per un blockbuster hollywoodiano, come la tossicodipendenza, per quanto sui generis. L'impronta spielberghiana è evidente anche nel lieto fine, a spettro forse un po' troppo ampio, che "annacqua" in parte il messaggio distopico di Dick: non che il film, peraltro, puntasse le sue carte sull'approfondimento del contesto sociale, che rimane solo uno sfondo su cui imbastire un robusto thriller che non tradisce le premesse di base. Il cast comprende anche Samantha Morton (Agatha, una dei tre precog), il veterano Max von Sydow (il mentore del protagonista), Kathryn Morris (la moglie) e, in ruoli minori, Peter Stormare (il medico) e Tim Blake Nelson (il guardiano della prigione). La colonna sonora di John Williams si rifà a quelle di Bernard Herrmann, focalizzandosi più sull'aspetto noir che su quello fantascientifico, ed è rimpolpata da molti brani di musica classica (in particolare la sinfonia "Incompiuta" di Schubert, che si ode mentre Anderton opera al computer).

11 febbraio 2014

Twin dragons (Ringo Lam, Tsui Hark, 1992)

The twin dragons (Shang long hui)
di Ringo Lam e Tsui Hark – Hong Kong 1992
con Jackie Chan, Maggie Cheung
**1/2

Rivisto in TV.

In questa classica commedia degli equivoci, Jackie Chan interpreta il doppio ruolo di due gemelli separati alla nascita. Uno, John Ma, cresciuto ed educato negli Stati Uniti, è diventato un celebre direttore d'orchestra; l'altro, Boomer, vissuto nei bassifondi di Hong Kong, è ora un pilota clandestino ed esperto in arti marziali. Quando John torna ad Hong Kong per esibirsi in un concerto, i due entrano a contatto, dando il via a un'inevitabile serie di scambi di persona. A un certo punto Boomer si ritroverà a dirigere sul palco mentre John dovrà affrontare i gangster che hanno un conto in sospeso con il fratello... Costruita su uno spunto vecchio come il cinema (da "Non c'è due senza quattro" a "Inseparabili"), una pellicola forse carente dal punto di vista dei combattimenti (visto che manca un avversario vero e proprio) ma ravvivata sul piano comico-romantico da un Jackie in gran forma e dalle due interpreti femminili, la splendida Maggie Cheung (al suo quinto film con Jackie, dopo i tre "Police Story" e il secondo "Project A") e la conturbante Nina Li Chi (che nel mondo reale è la moglie di Jet Li), ciascuna delle quali si innamorerà del Jackie "sbagliato", credendo che si tratti dell'altro. L'umorismo è a tratti quello demenziale delle commedie hongkonghesi degli anni ottanta, ma non mancano trovate interessanti, come quando i movimenti o le sensazioni di uno dei gemelli influenzano l'altro, anche a distanza. Ringo Lam ha diretto per lo più le scene d'azione (in particolare il lungo combattimento finale nella fabbrica dove si testano le automobili, con il continuo passaggio fra le due camere caratterizzate dal caldo e dal freddo), mentre Tsui Hark si è occupato di quelle a sfondo comico-romantico (ovvero tutta la sezione centrale della pellicola). Kirk Wong è il gangster che provoca lo scambio dei bambini, Teddy Robin è l'amico di Boomer. Moltissimi i cameo di attori e registi hongkonghesi: si va da John Woo (il prete) a Lau Kar-Leung (il medico), da Wong Jing (il curatore "alternativo") ad Eric Tsang (l'uomo che parla al telefono), da Sylvia Chang e James Wong (i genitori dei gemelli) a Mabel Cheung (la madre adottiva di Boomer), fino agli stessi registi Ringo Lam e Tsui Hark (due dei meccanici che giocano a carte).

10 febbraio 2014

100 gradi sotto zero (R.D. Braunstein, 2013)

100 gradi sotto zero (100 Degrees Below Zero)
di R.D. Braunstein – USA 2013
con Jeff Fahey, Sara Malakul Lane
*

Visto in TV.

Una serie di eruzioni vulcaniche minaccia di coprire di polvere i cieli dell'Europa, dando il via a un lungo periodo glaciale. Una coppia di ragazzi americani cerca di fuggire da una Parigi fredda e innevata, prima che sia troppo tardi. Più che un B-movie, uno Z-movie: sfornato dalla famigerata casa di produzione The Asylum, specializzata in film horror e catastrofici a basso costo, si tratta di una pellicola realizzata senza mezzi (e fin qui, pazienza) ma anche senza idee, e che spreca letteralmente il tempo del malcapitato spettatore. Non si contano scene o momenti privi di senso, errori di continuità, situazioni ripetute o irragionevoli, mancanza di tensione o di climax... Tutto è a livelli imbarazzanti: la recitazione (come siano stati coinvolti due attori di "nome" come Jeff Fahey e John Rhys-Davies è un mistero), la sceneggiatura, le caratterizzazioni, gli effetti speciali (si fa per dire), la regia (ci sono video amatoriali su YouTube curati meglio). Da salvare – per ragioni puramente "estetiche" – solo la protagonista (la modella Sara Malakul Lane) che per tutto il film, incurante del freddo, indossa una magliettina senza maniche. Le scene a Parigi sono state girate in realtà a Budapest (di cui sono visibili alcuni celebri palazzi).

9 febbraio 2014

La coniglietta di casa (Fred Wolf, 2008)

La coniglietta di casa (The House Bunny)
di Fred Wolf – USA 2008
con Anna Faris, Emma Stone
*1/2

Visto in TV, con Sabrina.

Cacciata dalla lussuosa Playboy Mansion per le macchinazioni di una "collega" gelosa, la coniglietta Shelley trova rifugio in un college universitario, dove si stabilisce nella casa di una delle "sorellanze", per la precisione quella frequentata dalle ragazze meno popolari del campus. Ne ribalterà le sorti, insegnando loro come attirare i ragazzi, come organizzare feste strabordanti e, di conseguenza, come ottenere le nuove iscrizioni necessarie per evitare lo scioglimento della casa. Dagli autori de "La rivincita delle bionde", un'altra pellicola glamour-demenziale che gioca con gli stereotipi della bionda bella e stupida, e che è a lungo indecisa se rivolgersi a un pubblico maschile (nella prima parte del film) o femminile (nel finale). A salvare lo show è la scoppiettante Anna Faris, che si conferma ancora una volta un'attrice comica di prim'ordine. Il resto è pura routine, nonostante qua e là non manchi il divertimento: ma siamo ben lontani dai livelli di un "Animal House" al femminile. Hugh Hefner, il guru di "Playboy", recita nella parte di sé stesso.

7 febbraio 2014

Il dubbio (John Patrick Shanley, 2008)

Il dubbio (Doubt)
di John Patrick Shanley – USA 2008
con Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman
***

Visto in TV, con Sabrina.

Nell'America post-kennedyana degli anni sessanta, in una scuola cattolica del Bronx, l'anziana e rigida suora Aloysius (Meryl Streep) si convince che il sacerdote, l'espansivo padre Flynn (Seymour Hoffman), riservi morbose "attenzioni speciali" a uno dei giovani alunni (che, tra l'altro, è l'unico bambino di colore ammesso a scuola) e inizia a fargli una guerra spietata per convincerlo ad abbandonare la comunità. I suoi sospetti sono fondati, affinati da anni di esperienza e di lotta contro gerarchie (maschili) che si proteggono a vicenda per insabbiare i casi di pedofilia, oppure si tratta di pregiudizi verso un prete che – a differenza di lei – cerca di stare più vicino ai ragazzi, dando loro amicizia e sostegno, nel tentativo di comprenderli a fondo anziché intimidirli o spaventarli? Dubbio contro certezza, metodi progressisti contro conservatorismo, educazione moderna e permissiva contro regole e disciplina; il tutto condito da metafore fino troppo evidenti (quelle che padre Flynn esplicita nei suoi sermoni) contro la mancanza di fede, la maldicenza e l'ipocrisia: nonostante un soggetto a forte rischio di melodramma, la calibrata sceneggiatura (dello stesso Shanley, che ha adattato un proprio dramma teatrale) ha il merito di non varcare mai la soglia del sensazionalistico ma di mantenersi sempre su un tono intimo e sufficientemente ambiguo, estendendo tale ambiguità a tutti i personaggi (non c'è spazio per le caratterizzazioni manichee viste in altri film simili, tipo "Philomena"), seminando il dubbio anche nella mente dello spettatore (chiamato a giudicare più sulla base di simpatie e affinità di pensiero che non su prove effettive: la "verità" rimane elusiva) e affrontando questioni morali e al tempo stesso assai "concrete", intelligentemente calate in un contesto storico-sociale ben preciso (siamo, fra l'altro, negli anni del Concilio Vaticano II). E lungo la strada, coadiuvata dalla straordinaria recitazione degli interpreti, sforna almeno due o tre scene memorabili, come il serrato colloquio a tre fra Flynn, Aloysius e la giovane suora James (Amy Adams); il drammatico dialogo fra sorella Aloysius e la madre del bambino (Viola Davis); e il confronto finale fra la suora e il prete. Proprio il comparto attoriale, alla resa dei conti, si rivela il vero punto di forza della pellicola: tutti e quattro gli attori, protagonisti di prove intense e ricche di sfumature, sono stati candidati all'Oscar (la Davis per una sola scena!), con la Streep forse una spanna sopra gli altri.

6 febbraio 2014

La pericolosa partita (Pichel, Schoedsack, 1932)

La pericolosa partita (The most dangerous game)
di Irving Pichel, Ernest B. Schoedsack – USA 1932
con Joel McCrea, Leslie Banks
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Visto in TV, in originale con sottotitoli.

Il conte Zaroff, esule dalla Russia ed appassionato cacciatore di ogni specie di animale vivente, si è ritirato a vivere su un'isola privata nei Caraibi, dove sfoga la sua passione dando la caccia alla "preda più pericolosa" di tutte: l'uomo. Sfrutta infatti i numerosi naufragi che avvengono nelle acque circostanti, piene di scogli insormontabili, per procurarsi le "vittime" designate. Tratto da un racconto breve di Richard Connell che tornerà più volte a ispirare il cinema (basti ricordare la pellicola d'esordio di John Woo a Hollywood, "Senza tregua", con Jean-Claude Van Damme), un classico del genere pulp, prodotto da Schoedsack e Merian C. Cooper, i registi di "King Kong". E con il film sullo scimmione ha parecchio in comune, a partire dagli attori di contorno (Fay Wray, Robert Armstrong), gran parte della troupe e persino numerosi set (quelli della "giungla", che venivano impiegati solo di notte perché di giorno erano usati appunto per le riprese di "King Kong"). Il tema della caccia all'uomo per sport è onnipresente sin dalle prime scene del film, quando al protagonista Joel McCrea, provetto cacciatore newyorkese a bordo dello yacht che lo condurrà suo malgrado sull'isola, viene chiesto come si sentirebbe se si trovasse al posto delle tigri che solitamente affronta nelle sue battute, e lui risponde: "Non mi capiterà mai. Il mondo si divide in cacciatori e prede, e io sono un cacciatore". Viscerale e forse ingenuo, il film ha comunque un suo fascino divertente e sinistro, oltre a rappresentare archetipicamente il tema narrativo del conflitto. E il personaggio del cattivo, il conte Zaroff (interpretato alla perfezione da un Leslie Banks che nella versione originale sfoggia un magnifico falso accento russo), si staglia memorabile come uno dei malvagi più interessanti nella storia dei B-movie.

4 febbraio 2014

Il giardino dei Finzi-Contini (V. De Sica, 1970)

Il giardino dei Finzi-Contini
di Vittorio De Sica – Italia 1970
con Lino Capolicchio, Dominique Sanda
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Visto in divx, con Eleonora, Marta, Esther, Beatrice, Francesca e Fausto.

Nella Ferrara del 1938, l'inasprirsi delle leggi razziali sotto il fascismo non sembra toccare più di tanto la serenità della ricca famiglia ebrea dei Finzi-Contini, che nella loro villa circondata da un immenso giardino – da cui escono raramente – continuano a ricevere le visite di amici e conoscenti. Fra questi c'è il giovane Giorgio (Lino Capolicchio), ebreo della media borghesia cittadina, innamorato della raffinata ed enigmatica Micol (Dominique Sanda), che però non ricambia il suo affetto. I turbamenti amorosi di Giorgio andranno di pari passo con il deterioramento del clima sociale e politico, fino a quando anche la gabbia dorata dei Finzi-Contini non sarà più in grado di proteggere la famiglia dalla deportazione. Tratto dall'omonimo romanzo di Giorgio Bassani (che non volle essere coinvolto nell'adattamento), il film racconta in modo originale e intimista il dramma degli ebrei italiani appartententi alle classi sociali più elevate, dapprima illusi che nel proprio paese non si potessero raggiungere i livelli di persecuzione della Germania nazista (esemplare la scena in cui Giorgio, in visita al fratello che si è trasferito a vivere in Francia, viene improvvisamente a conoscenza dei campi di concentramento tedeschi), e poi costretti a un brusco risveglio quando era ormai troppo tardi. All'inizio, infatti, i disagi sembrano essere di poco conto (espulsi dal circolo del tennis, gli amici di Micol ed Alberto si ritrovano nella loro villa a giocare fra loro), poi si fanno via via più opprimenti (il padre di Giorgio perde il lavoro, il ragazzo non può più studiare in biblioteca o addirittura laurearsi, cosa che invece la ricca e privilegiata Micol riesce comunque a fare), e infine si sfocia nella guerra e nel disastro completo. La Sanda era apparsa quello stesso anno anche ne "Il conformista" di Bertolucci, un altro film che raccontava la vita sotto il fascismo. Nel cast anche Helmut Berger (Alberto, il fratello di Micol), Fabio Testi (Giampiero, l'amico milanese) e Romolo Valli (il padre di Giorgio), mentre un giovane Alessandro D'Alatri interpreta Giorgio da bambino in alcuni flashback. Il ritmo lento e la recitazione impostata (che lo differenziano a livello formale dai capolavori del periodo neorealista di De Sica, avvicinandolo invece ai vari Antonioni, Visconti e Bertolucci di quegli anni) non rendono il film necessariamente datato, bensì contribuiscono a creare quell'atmosfera un po' sospesa e irreale che ben descrive le illusioni e la passività dei personaggi in un contesto sociale che a sua volta doveva certamente sembrare irreale a chi ci viveva (spingendo Micol e la sua famiglia a un isolamento sempre più stretto). E l'esperienza del regista gli consente di evitare ogni trappola "intellettuale", fondendo invece mirabilmente le due anime della narrazione (i drammi amorosi e "privati" di Giorgio con quelli a più ampio spettro dovuti al fascismo). La pellicola valse al settantenne De Sica il suo quarto Oscar per il miglior film straniero (un record che condivide con Federico Fellini), nonché l'Orso d'Oro a Berlino.

3 febbraio 2014

Wolverine: L'immortale (J. Mangold, 2013)

Wolverine: L'immortale (The Wolverine)
di James Mangold – USA 2013
con Hugh Jackman, Tao Okamoto
*1/2

Visto in divx.

Dopo la morte di Jean Grey (avvenuta in "X-Men: Conflitto finale"), che ritorna continuamente nei suoi sogni, Logan/Wolverine si è ritirato a vivere come un selvaggio fra le montagne canadesi. Viene convinto a tornare in azione dalla giovane Yukio, che lo conduce con sé fino in Giappone per dire addio a Yashida, vecchia conoscenza di Logan sin dai tempi della seconda guerra mondiale (gli salvò la vita durante il bombardamento di Nagasaki) e malato terminale. Yashida, divenuto un potente industriale, si offre di donare a Wolverine l'unica cosa che potrebbe renderlo uguale a tutti gli altri esseri umani: la capacità di invecchiare e di morire. Il secondo film "a solo" del mutante con gli artigli dopo quello delle sue origini si rifà al celebre ciclo di storie "giapponesi" di Chris Claremont (e Frank Miller), portando sulla scena personaggi come Mariko e Shingen Yashida, e nemici come Viper e il Silver Samurai. L'ambientazione nipponica dona alla pellicola un mood particolare e diverso da quelle precedenti, ma non può risollevare più di tanto una trama che si sviluppa senza alcun guizzo, costruita sull'unica idea di mettere il protagonista in difficoltà perché temporaneamente privato dei suoi poteri di guarigione (e nel finale perde anche i suoi artigli di adamantio). Ben sviluppata invece la love story di Logan con Mariko (impagabile la scena in cui i due, in fuga dalla yakuza, sono costretti a rifugiarsi in un "love hotel") e interessanti alcune sequenze d'azione, come il duello sul tetto del treno-proiettile. Buono anche il cast di contorno, in particolare sul versante femminile, che vede la bella Tao Okamoto nei panni di Mariko, Rila Fukushima in quelli di Yukio (per entrambe si tratta praticamente del debutto sullo schermo) e Svetlana Khodchenkova in quelli della perfida Viper, mentre Famke Janssen riprende il suo ruolo di Jean Grey nei sogni di Logan. Hiroyuki Sanada ("The twilight samurai") è Shingen, il malvagio padre di Mariko. Nella scena durante i titoli di coda, il professor Xavier e Magneto mettono in guardia Wolverine dal possibile arrivo delle Sentinelle (un teaser per l'imminente "X-Men: Giorni di un futuro passato").