20 settembre 2014

The president (Mohsen Makhmalbaf, 2014)

The president (id.)
di Mohsen Makhmalbaf – Georgia 2014
con Misha Gomiashvili, Dachi Orvelashvili
**1/2

Visto al cinema Apollo, con Marisa, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).

In un paese del Caucaso non meglio precisato scoppia la rivoluzione: e il presidente-dittatore è costretto a fuggire, in compagnia di un nipotino di cinque anni, abbandonando il palazzo e la propria limousine per inoltrarsi clandestinamente nelle campagne. Camuffato da mendicante e da musicista di strada, braccato dai soldati un tempo a lui fedeli, dovrà muoversi fra contadini e lavoratori per raggiungere il confine senza farsi scoprire: cosa difficile, visto che il suo volto campeggiava sui manifesti di ogni strada e ogni casa. Girato in Georgia (Makhmalbaf ha lasciato l'Iran ormai da una decina d'anni), fra echi del "Re Lear", de "La vita e bella" di Benigni (il nonno convince il nipotino a recitare la parte del profugo, facendogli credere che sia tutto un gioco) e naturalmente di eventi reali anche recenti (come le rivolte della "primavera araba", narrate però dal punto di vista del dittatore), il film non intende analizzare in dettaglio e in profondità scenari politici o sociali troppo complessi (come dimostra il fatto che il setting sia immaginario, valido dunque per tutte le stagioni) ma è da leggere più semplicemente come una fiaba, o meglio una parabola sul crollo dei potenti e il contrappasso della storia, sempre pronta a punire l'orgoglio e la vanità. Nella scena iniziale, per esempio, il nonno e il nipotino "giocano" a spegnere per capriccio con un semplice ordine tutte le luci della città; in seguito, invece, faranno di tutto per nascondere ogni segno di privilegio o di potere che li possa tradire. Nel corso del loro viaggio, i due – rispettivamente con gli occhi della vecchiaia e quelli dell'infanzia – si troveranno ad assistere a tragedie e dolori di ogni tipo, attraversando un mondo di cui avevano rimosso o di cui semplicemente ignoravano l'esistenza. E se per il bambino innocente, come detto, tutto il viaggio non può che far parte di uno strano gioco, una finzione inizialmente interessante ma che presto assume connotazioni sgradevoli, per il presidente si tratterà in qualche modo di fare i conti con il proprio passato (vedi l'incontro con la prostituta) e forse di rendersi finalmente conto delle proprie colpe, toccando con mano il dolore e la sofferenza del suo popolo e guardando le cose da un'altra prospettiva (memorabile la sequenza in cui si trova ad aiutare un prigioniero politico, torturato in prigione, che si rivelerà come il responsabile dell'attentato in cui ha perso la vita suo figlio: resisterà alla tentazione di rivelare la propria identità e di vendicarsi, e assisterà con sincera commozione e dolore allo sfortunato ritorno a casa del prigioniero).

2 commenti:

Marisa ha detto...

Un film che ho apprezzato moltissimo proprio perchè non essendo la cronaca di nessun fatto reale assume un significato simbolico ed universale, molto più reale e profondo di qualsiasi "fatto concreto". La dolorosa presa di coscienza delle infamità perpretate dal potere, ben al di là delle reali intenzioni del "presidente" di turno è magistrale e si snoda attraverso situazioni diverse, ma che rivelano l'intrinseca violenza del sistema (indimenticabili l'episodio della violenza alla sposa nel giorno delle nozze e la scena della tragica delusione del ritorno del galeotto).
Bellissima la relazione nonno-nipotino, che passa dal condividere privilegi e capricci alla vera funzione di protezione e complicità.

Christian ha detto...

Il fatto di non contestualizzare l'ambientazione è sicuramente un pregio. L'unico mio appunto è che il film mi è parso un po' semplicistico nel tratteggiare il protagonista, che anche se messo di fronte alle proprie malefatte non sembra veramente pentirsi o provare sensi di colpa (nemmeno alla fine), ma cerca soltanto di mettere in salvo sé stesso e il bambino.