4 settembre 2014

One on one (Kim Ki-duk, 2014)

One on one (Il-dae-il)
di Kim Ki-duk – Corea del Sud 2014
con Ma Dong-seok, Kim Young-min
**1/2

Visto al cinema Eliseo.

Un gruppo di uomini uccide una studentessa in un vicolo. Mesi dopo, un altro gruppo rintraccia e rapisce uno a uno i componenti del primo, torturandoli per costringerli a scrivere una confessione e interrogandoli sui motivi della loro azione. Costruito su una sceneggiatura ad incastro che mostra alternativamente squarci di vita di coloro che hanno ucciso la ragazzina (su misterioso ordine delle "alte sfere": man mano che la pellicola procede, si sale sempre più nella gerarchia di comando, e dai semplici esecutori che "obbedivano agli ordini" si arriva ai mandanti, generali dell'esercito e potenti uomini politici) sia del gruppo improvvisato che ha preso nelle proprie mani la vendetta per i motivi più disparati (lotta a priori contro il sistema, desiderio di giustizia, sogno di rivalsa, necessità di incanalare le proprie energie, semplice gioco), il nuovo film di Kim Ki-duk scava nel malessere e nelle contraddizioni della società sudcoreana (si lanciano strali alla politica, al sistema educativo, ai rapporti familiari, a quelli lavorativi) per mettere in scena un dramma corale dove i tantissimi personaggi si muovono come pedine su una scacchiera. Che si tratti di una complessa metafora è suggerito dal nome della liceale uccisa (Min-ju, ovvero "Democrazia"). E che la finzione regni sovrana ("ognuno recita una parte sul palcoscenico", afferma il leader del gruppo che si è autoincaricato di punire i colpevoli, o meglio di renderli consapevoli delle proprie azioni) è chiaro anche dai travestimenti che i "vendicatori" indossano durante le loro missioni, come se si trattasse di un gioco di ruolo: di volta in volta soldati, gangster, poliziotti, netturbini, agenti segreti, come se una divisa li mettesse al riparo delle atrocità che devono commettere o consentisse loro di fuggire dalla povertà, dall'infelicità o dai drammi della loro vita privata. Non a caso si definiscono "Ombre", e di fronte a questo termine non può non venire in mente il "Kagemusha" di Kurosawa: come in quel film, i personaggi sono alla ricerca della propria identità ("Chi sono io?", recita la frase in coreano che apre i titoli di coda) e con il procedere della storia dovranno fare i conti con la propria coscienza, venire a patti con le proprie azioni, accettare la propria natura violenta o, al contrario, aborrirla. Lo stesso vale per le loro "vittime", naturalmente: qualcuno comprenderà finalmente sé stesso, mentre altri cederanno alla pressione e altri ancora non si porranno nemmeno la domanda. Film politico come "The coast guard" o "Address unknown" (ma imparentato anche con "Real fiction"), è stato accusato da alcuni critici di essere schematico o confuso: ma non lesina colpi di scena o rivelazioni appena accennate (quella foto nel finale...); e lascia parecchio da riflettere, oltre che sulle ingiustizie e la rabbia repressa nella società, sulla natura stessa dell'uomo.

2 commenti:

Jean Jacques ha detto...

Confido che il buon Kim si sia ripreso.
Comunque... un film coreano che parla di vendetta... questa si che è nuova XD

Christian ha detto...

Non è ancora tornato ai suoi massimi livelli, ma comunque si è risollevato rispetto ai disastrosi film del 2006-2008. ^^

Questo forse passerà un po' inosservato, ma ha diversi spunti interessanti. Non è "estremo" nella rappresentazione della violenza o della vendetta (come per esempio i film di Park Chan-wook), ma in un certo senso è più filosofico e programmatico.