22 luglio 2014

2001: Odissea nello spazio (S. Kubrick, 1968)

2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey)
di Stanley Kubrick – USA/GB 1968
con Keir Dullea, Gary Lockwood
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Rivisto in Blu-ray, con Sabrina.

"L'alba dell'uomo": in una Terra ancora primitiva e inospitale, un gruppo di scimmie antropoidi sopravvive a fatica, fino a quando l'improvvisa comparsa di un misterioso monolito nero sconvolge la loro esistenza. Sotto il suo influsso, una delle scimmie scopre di poter usare un osso come arma per procurarsi il cibo o per sconfiggere i rivali. Con uno dei salti logici e temporali più celebri della storia del cinema (l'osso, scagliato in aria dalla scimmia, rotea nel cielo e si trasforma in un modulo orbitante attorno al pianeta), passiamo all'inizio del ventunesimo secolo, quando l'uomo ha costruito stazioni spaziali intorno alla Terra: un monolito del tutto identico al precedente (o forse lo stesso), di evidente origine extraterrestre, viene rinvenuto sulla Luna, sepolto da quattro milioni di anni.
"Diciotto mesi dopo - In missione verso Giove": per svelare il mistero del monolito, che emette un messaggio radio in direzione di Giove, un'astronave (la "Discovery") viene inviata verso quel pianeta. A bordo ci sono cinque uomini (di cui tre ibernati) e il supercomputer senziente HAL 9000, che però nel corso del viaggio impazzisce e tenta di sterminare l'equipaggio. Sopravvive soltanto David Bowman, che riesce a disattivare il computer.
"Giove e oltre l'infinito": dopo essere passato attraverso una strana dimensione, Bowman vive incredibili esperienze: in particolare vede sé stesso invecchiare, morire e rinascere come "Bambino delle Stelle", una sorta di feto spaziale, nuovo stadio dell'evoluzione.

Pietra miliare della storia del cinema e chiave di volta nella carriera di Kubrick (che con essa acquisisce definitivamente anche agli occhi della critica lo status di "autore" in tutto e per tutto: nonostante nella sua filmografia non fossero mancati i successi – "Spartacus", "Lolita", "Il dottor Stranamore" – il regista era infatti percepito quasi come una figura di secondo piano rispetto agli interpreti o ai soggettisti di quelle opere), "2001" rappresenta un'esperienza sensoriale senza precedenti nel campo della settima arte. È considerato da molti il film di fantascienza più importante di tutti i tempi (diciamo che si gioca il podio con "Metropolis" e "Guerre stellari": pellicole diversissime fra loro, ma che hanno avuto un'influenza profonda e duratura non solo sul genere della SF ma sul cinema in generale), e questo nonostante l'impostazione dichiaratamente filosofica e antinarrativa che lo rende un kolossal sperimentale, a tratti ai limiti della videoarte. "Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film", ha dichiarato il regista. "Io ho tentato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio". Puntando sulle suggestioni simboliche (e quasi mistiche), sulla qualità delle immagini, sulla musica e sugli effetti visivi (davvero stupefacenti per l'epoca: fra i responsabili figura Douglas Trumbull), Kubrick compie scelte volutamente criptiche che vanno a discapito di elementi del cinema tradizionale, come la recitazione (nessuno degli attori è passato alla storia per la sua interpretazione) o la struttura narrativa (che giusto nell'episodio di HAL 9000 "monta" a un certo livello di tensione). L'ultimo dei quattro "atti" in cui tradizionalmente si divide la pellicola, ovvero quello del viaggio psichedelico di Bowman, è emblematico: una sorta di "cancello stellare", al cui passaggio si dischiudono luoghi spazio-temporali mai visti e mai sperimentati prima dall'uomo, in una catena di immagini dove le normali dimensioni non hanno più senso (anche se diverse riprese sono evidentemente quelli di luoghi o paesaggi terrestri con filtri o viraggi di colore per renderli alieni o esotici). Prodotto da uno studio statunitense (la Metro Goldwyn Mayer), il film fu realizzato interamente in Inghilterra, dove Kubrick aveva girato anche i suoi due lavori precedenti.

Sceneggiato insieme allo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke (che si ispirò ad alcuni suoi racconti e che quasi contemporaneamente pubblicò l'omonimo romanzo), il film affronta temi ad ampio spettro come quelli dell'evoluzione umana, del rapporto con possibili entità extraterrestri, del viaggio attraverso il tempo e lo spazio, della percezione relativistica di essi, oltre che lo sviluppo della tecnologia, dell'intelligenza artificiale e dell'esplorazione dello spazio. Ma il contesto non è certo quello avventuroso o da space opera che permeava la fantascienza vista fino ad allora al cinema o in televisione ("Star Trek", "Il pianeta proibito", i tanti B-movie): per la prima volta forse dopo l'epoca delle sperimentazioni a tutto campo del cinema muto, la fantascienza assurge al rango di cinema di serie A, inaugurando una breve e fortunata stagione che si sarebbe conclusa dopo una decina d'anni con l'avvento di Lucas e Spielberg e la nascita del blockbuster fantascientifico di intrattenimento rivolto a un pubblico adolescenziale. Molte le caratteristiche che concorrono a renderlo un film unico e memorabile. La pellicola si apre con una lunga introduzione con lo schermo nero, riempito solo dalle sonorità inquietanti della musica di Ligeti: una sorta di "ouverture" come quella che Kubrick aveva utilizzato in "Spartacus" (e che si usava talvolta all'epoca in pochissimi lungometraggi particolarmente lunghi o epici: altri casi celebri sono quelli di "Lawrence d'Arabia" e "Il dottor Zivago"). Allo stesso modo, a metà film c'è una "intermissione", e al termine un prolungato schermo nero finale (tutte sequenze che vengono abitualmente tagliate quando il film passa in televisione, e dunque visionabili soltanto al cinema o in home video). A tratti lo stile del regista sembra sovrastare il contenuto: dal punto di vista visivo, è evidente la ricerca di geometrie nella composizione delle immagini, nella messa in scena degli ambienti e nella collocazione dei personaggi all'interno di essi (basti pensare alla hostess che si muove nello shuttle, o a Bowman che si esercita correndo nel modulo circolare dell'astronave, o ancora a tutte le sequenze che mostrano l'occhio circolare e inquietante di HAL 9000; e naturalmente allo stesso monolito nero, forma geometrica perfetta, le cui dimensioni sarebbero proporzionali a 1:4:9, ossia i quadrati dei primi tre numeri interi).

Le scenografie sono realistiche e particolarmente curate. Gli shuttle, la stazione orbitale, l'interno del "Discovery" (l'astronave che viaggia verso Giove) sono bianchi, asettici, finalizzati non soltanto a trasmettere l'idea di un immaginario futuro ma anche a mettere in risalto le figure degli uomini al loro interno. A questi scenari "futuribili" fa da impressionante contrasto il senso di "passato" (sarebbe forse meglio dire che ci troviamo "fuori dal tempo") comunicato dalla camera da letto settecentesca in cui si ritrova Bowman nel finale, arredata con mobili d'antan ma anche con una pavimentazione all'avanguardia, e comunque impregnata da una luce soffusa di chiara origine artificiale. La sequenza è inquietante quasi soltanto per le scelte di art direction (lo scenografo Anthony Masters fu nominato agli Oscar, così come Kubrick per la regia e, insieme a Clarke, per la sceneggiatura: l'unica statuetta vinta fu però quella per gli effetti speciali visivi). D'altronde, che il regista intendesse il film come una "esperienza primariamente non verbale" è evidente da tutte le sue scelte: le immagini e le musiche contano assai più dei dialoghi, che sia nell'incipit (con le scimmie) sia nel finale (il viaggio di Bowman) sono del tutto assenti. Tuttavia non mancano momenti (le scene con HAL su tutte) dove "le parole sono importanti" (cit. morettiana). Ma lo stesso HAL non ha bisogno di udire le parole degli astronauti per comprenderne le intenzioni: il computer ha infatti l'incredibile capacità di leggere le loro labbra! Dicevamo della colonna sonora, che svolge un ruolo davvero essenziale nell'economia della pellicola: inizialmente Kubrick aveva incaricato i compositori Alex North (con cui aveva lavorato in "Spartacus" e "Stranamore") e Frank Cordell di realizzare musica originale per il film, di impronta pare mahleriana. Ma alla fine scelse invece di ricorrere ad alcuni brani di musica classica: oltre al citato Ligeti ("Atmospheres"), è diventato ormai iconico l'utilizzo dell'incipit di "Così parlò Zarathustra" di Richard Strauss (ormai indelebilmente associato a questo film, e pluri-ricorrente in innumerevoli parodie e citazioni) e del valzer "Sul bel Danubio blu" di Johann Strauss figlio, abbinato a uno strepitoso "balletto" nello spazio fra lo shuttle e la stazione orbitale. Infine, la soundtrack è completata dall'Adagio dal "Gayane" di Aram Khachaturian (nelle sequenze che mostrano la routine di Bowman e Poole a bordo della missione verso Giove): un brano molto emozionale, ripreso fra l'altro molti anni dopo da Jerry Goldsmith in "Aliens".

Dunque, "2001" è tutto forma e niente contenuti? Per nulla. I temi, come già detto, sono tanti e pure "di spessore": l'evoluzione umana (compresa la deriva sull'intelligenza artificiale), l'esplorazione dello spazio, il contatto con un'altra civiltà. E ancora: la nascita della violenza e della guerra, ma pure il suo superamento attraverso la cooperazione internazionale (mitica la scena dei russi sulla stazione orbitante, ancor più significativa se si pensa che nel 1968 si era in piena Guerra Fredda: ma già nel precedente "Stranamore" Kubrick aveva dimostrato di auspicare, a modo suo, un dialogo fra le due superpotenze). C'è chi dice che il film non abbia un vero protagonista. Anche in questo caso, è errato: i protagonisti sono essenzialmente tre, ovvero Bowman (l'eroe finale, paladino di tutta l'umanità e novello Ulisse alla scoperta dell'inesplorato: nel titolo la parola "Odissea" non è certo casuale), HAL 9000 (la figura che rimane più impressa nella mente dello spettatore) e naturalmente il monolito nero (icona, collante e catalizzatore dell'intera pellicola). Ci sono poi tre figure minori ma fondamentali per l'economia della trama: la scimmia Guarda-la-Luna che scopre la "tecnologia", il dottor Heywood R. Floyd (interpretato da William Sylvester) e Frank Poole, il secondo membro dell'equipaggio del "Discovery". Molta curiosità ha destato il fatto che il nome di HAL, il computer senziente che scopre di essere fallibile e per questo motivo impazzisce, sembra derivare dalle lettere che precedono di una, nell'ordine alfabetico, quelle di IBM (sigla che a quei tempi era quasi sinonimo di computer). In realtà, come spiegò lo stesso Clarke, si tratta solo di una coincidenza: la sigla HAL starebbe per "Heuristically ALgoritmic". In ogni caso, il suo sensore visivo (l'occhio rosso che scruta minaccioso ogni cosa) e la toccante scena della sua disattivazione (man mano che vengono estratti i moduli di memoria e di logica, il computer decade a un livello infantile, fino a spegnersi mentre intona la canzoncina "Giro Girotondo"; nella versione originale, il brano era "Daisy Bell") lo rendono indimenticabile. La voce italiana di HAL è di Gianfranco Bellini (in inglese era di Douglas Rain).

Nel 1968 l'anno 2001, in fondo non troppo distante, sembrava tuttavia ancora molto lontano: una sensazione accentuata dal fatto che si trattava dell'alba di un nuovo millennio. Ora che l'abbiamo superato da un po', può essere divertente andare a vedere se la tecnologia presente nella pellicola risulta ancora credibile, e in generale se le sue previsioni si sono avverate. Indubbiamente sono più le cose azzeccate che quelle errate, almeno per la media dei film di fantascienza. Per dirne una, già l'anno seguente l'uomo arrivò sulla Luna (e le scene girate nello spazio appaiono quanto mai realistiche: non c'è traccia di suoni o di esplosioni nel vuoto come invece le saghe action-avventurose da "Flash Gordon" in poi ci hanno abituato, e tanto i movimenti a gravità zero quanto quelli all'interno delle astronavi, dove la gravità è invece prodotta dalla rotazione dei moduli, sono del tutto attendibili). Certo, non abbiamo ancora voli di linea (targati Pan Am!) fra la Terra e la Stazione Spaziale Internazionale, ma di contro gli schermi piatti sono ormai diffusi ovunque, effettuamo abitualmente videotelefonate (anche se non dallo spazio: a proposito, la bambina che interpreta la figlia del dottor Floyd è Vivian Kubrick, figlia dello stesso Stanley) e in generale il design di molte tecnologie sembra davvero essersi rifatto a quello del film. Che la realtà possa essersi ispirata alla fantasia è testimoniato anche dalle teorie di complotto secondo cui Kubrick sarebbe stato il regista, per conto della NASA, delle presunte false immagini dell'allunaggio dell'Apollo 11. Anche la sequenza in cui Bowman rientra nell'astroname rimanendo per un breve istante immerso nel vuoto dello spazio, unico momento che parrebbe un'esagerazione cinematografica, è in realtà stato considerato verosimile da parte degli esperti. Tuttavia la previsione su cui molti nel 1968 avrebbero scommesso come attendibile, che invece non si è avverata, è quella della nascita di supercomputer senzienti. Lo sviluppo di un'intelligenza artificiale era un obiettivo che molti ritenevano ormai prossimo, ma che è rimasto sempre ben lontano dall'essere raggiunto, forse anche per un'errata intepretazione del termine "intelligenza". Da notare che l'argomento affascinava molto Kubrick, tanto da fargli mettere in cantiere un altro film intitolato appunto "A.I." ("Artificial Intelligence"), che non riuscì a girare prima della morte e il cui progetto passò poi nelle mani di Steven Spielberg.

In realtà il film non si svolge nel 2001, o almeno non interamente: a parte ovviamente l'incipit con le scimmie ("L'alba dell'uomo", appunto) e la sequenza finale con Bowman (dove il tempo non pare aver più significato), fra le due sezioni centrali (quella del dottor Floyd e quella del viaggio del "Discovery") ci sono diciotto mesi di differenza: almeno una delle due, dunque, è ambientata nel 2000 o nel 2002. L'indicazione cronologica nel titolo va dunque interpretata in senso simbolico, come indicazione di un futuro prossimo ("oltre la frontiera del nuovo millennio"). Fra le tante eredità lasciate dalla pellicola c'è purtroppo la "moda", diffusasi negli anni seguenti soprattutto in Italia (e anche nei casi in cui nel titolo originale non ce n'era traccia), di premettere un anno futuribile nei titoli di film di fantascienza, forse per far capire immediatamente allo spettatore a quale genere appartenesse la pellicola che stava per vedere: alcuni esempi fra i tanti sono "1997: Fuga da New York" (che in originale era semplicemente "Escape from New York"), "2022: I sopravvissuti" (in originale "Soylent Green"), "1999 - Conquista della Terra" ("Conquest of the Planet of the Apes"), "2013 - La fortezza" ("The fortress"), per non parlare di "2002: la seconda odissea" ("Silent Running") che il titolo addirittura spacciava come sequel del film di Kubrick. Un autentico seguito, in effetti, fu però realizzato dopo qualche anno: si tratta di "2010 - L'anno del contatto" di Peter Hyams, tratto dal primo dei tre romanzi che Clarke scrisse come seguiti ufficiali. Kubrick però non ci ebbe nulla a che fare (il regista addirittura aveva distrutto set, modellini e costumi nel timore che qualcun altro avesse voluto riutilizzarli). Pochi film hanno comunque avuto un'eredità consistente come "2001: Odissea nello spazio", non solo nel cinema ma in tanti altri campi. Jack Kirby ne disegnò un adattamento a fumetti passato alla storia (pubblicato anche in Italia in un'impressionante edizione di formato gigante). Di certo, in campo cinematografico, il film ha rappresentato uno spartiacque (non fu più possibile realizzare pellicole di fantascienza nello stile dei B-movie da drive in come in precedenza) e pose le basi per una rappresentazione realistica della tecnologia che sarebbe rimasta per almeno un decennio. A modo loro, e pur andando in direzioni diverse, gli sono debitori Spielberg ("Incontri ravvicinati del terzo tipo"), Scott ("Alien"), Zemeckis ("Contact") e Nolan ("Interstellar"), per non parlare di autori non anglosassoni come Tarkovskij (il cui "Solaris" fu pubblicizzato come "la risposta sovietica a 2001").

5 commenti:

James Ford ha detto...

Immenso.
Non ci sono altre definizioni.

Jean Jacques ha detto...

Quando mi chiedono quale sia per me il film più bello mai fatto, sono sempre indeciso fra "Oldboy" [quello di Park Chan-Wook, non quello di Spike Lee] e questo.

jeff ha detto...

Applausi per la completezza :) Hai un indubbio talento a riguardo.

"La risposta sovietica a 2001": ah! se Tarkovskij avesse avuto i mezzi di Kubrick per Solaris! ;) Giusto per la rappresentazione del pianeta, intendo.

cecilia ha detto...

Che bellissima recensione! Sono assolutamente d'accordo con te sul fatto che sia un capolavoro assoluto.

Christian ha detto...

A distanza di tanti anni è ancora un film "unico", nel suo genere e non solo!