17 giugno 2014

Il regno d'inverno (Nuri Bilge Ceylan, 2014)

Il regno d'inverno - Winter sleep (Kış uykusu)
di Nuri Bilge Ceylan – Turchia 2014
con Haluk Bilginer, Melisa Sözen
***1/2

Visto al cinema Anteo, con Sabrina e Marisa, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).

Il benestante Aydin, ex attore di teatro, gestisce un suggestivo albergo scavato nella pietra fra le colline della Cappadocia ed ereditato dai genitori, dove vive con la giovane e bella moglie Nihal e con la sorella Necla. Intellettuale dall'indole bonaria, ma misantropo in fondo all'anima, è apparentemente benvoluto da tutti: progetta da diverso tempo di redigere un saggio sulla storia del teatro turco, e nel frattempo cura una rubrica su un giornale locale ("Voci della steppa") nella quale si ritiene in diritto di pontificare con un certo snobismo sulla vita dei poveri abitanti della valle sottostante (compresi gli inquilini di diverse case di sua proprietà) in ragione della sua cultura e del suo maggior senso estetico. Mentre iniziano a cadere le prime nevi dell'inverno e gli ultimi turisti lasciano l'albergo, le tensioni con la moglie (che pur di trovare una propria ragione di vita si dedica alla beneficenza), con la sorella (a modo suo filosofa e idealista) e con gli abitanti della valle raggiungono un punto di non ritorno. Lungo (oltre tre ore e un quarto) ma rigoroso e avvincente nel suo studio dei personaggi (la caratterizzazione psicologica emerge lentamente attraverso lunghi dialoghi e continui confronti), il nuovo film di Nuri Bilge Ceylan è finalmente valso al talentuoso regista turco la Palma d'Oro al Festival di Cannes, dopo che con i lavori precedenti aveva già ricevuto due Grand Prix ("Uzak" e "C'era una volta in Anatolia") e un premio alla miglior regia ("Le tre scimmie"). I magnifici paesaggi della Cappadocia, i dialoghi densi ma anche fluidi che mettono a confronto le differenti personalità (la sceneggiatura "cechoviana" è il vero punto di forza della pellicola), lo scavare lentamente nelle psicologie per portare alla luce i rispettivi punti di vista e i difetti presenti in ciascuno di essi (non c'è divisione fra buoni e cattivi, o fra giusto e sbagliato: abbiamo a che fare con personaggi "veri", con tutte le loro ambiguità e sfaccettature, e in cui non è difficile identificarsi) donano un sapore esistenzialista a una vicenda peraltro non priva di metafore (il cavallo selvaggio che Aydin fa catturare per il beneficio dei turisti, e al quale poi sceglie di restituire la libertà; il titolo stesso della pellicola, dove l'inverno è quello dell'anima del protagonista). I personaggi sono mossi da presunzione, rassegnazione, ostinazione e orgoglio (su tutte spicca la scena dell'inquilino moroso che sceglie di bruciare il denaro ricevuto da Nihal come elemosina) e i piccoli episodi della vita di tutti i giorni riflettono, fra le pieghe e le sfumature, la complessità delle loro anime. Alla fine, la riflessione o il pentimento potranno condurre al perdono e alla catarsi (e Aydin potrà cominciare il suo libro). Ottima anche la confezione, come Ceylan ci aveva abituati nei precedenti lavori: da elogiare in particolare l'avvolgente fotografia di Gökhan Tiryaki e la colonna sonora minimalista, che si appoggia sul malinconico secondo movimento della sonata in la maggiore di Schubert.

3 commenti:

Marisa ha detto...

Bellissimo e coinvolgente.
L'approfondimento psicologico dei personaggi, iniziato quasi sempre casualmente e leggermente, procede poi inesorabilmente e a tratti sembra una reciproca scarnificazione, per approdare finalmente ad una dolorosa, ma feconda possibilità di presa di coscienza e possibile cambiamento.
Bellissima la vicenda del cavallo selvaggio catturato (Cappadocia significa "terra dei cavalli")e poi rimesso in libertà, simbolo vivo dell'imbrigliamento e dei dolorosi conflitti dell'animo umano e del bisogno di riconquista della libertà originaria...

Christian ha detto...

A me ha ricordato "Uzak", il primo film che ho visto di Ceylan, ed è corretto dire che piacerà a chi ama il cinema di Antonioni e di Tsai Ming-liang, anche se qui la psicologia dei personaggi emerge più dai dialoghi e dal confronto che dai silenzi e dall'introspezione. Comunque un'altra ottima prova del regista turco dopo il capolavoro "C'era una volta in Anatolia".

Marisa ha detto...

In alcuni tratti (vedi anche l'icona presente nello studio) mi ha ricordato Tarkovskji, specialmente "Sacrificio", in cui un vecchio attore molto colto si ritira su un isola (la Cappadocia è un piccolo mondo a sè) e fa i conti sia col suo passato che con la realtà esterna che incombe...
Anche le problematiche religiose ("È possibile resistere al male?") sono molto simili.