4 giugno 2014

Pelle di serpente (Sidney Lumet, 1960)

Pelle di serpente (The fugitive kind)
di Sidney Lumet – USA 1960
con Marlon Brando, Anna Magnani
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Visto in divx, con Marisa.

Val Xavier (Brando), vagabondo e musicista nei night club di New Orleans, detto "Pelle di serpente" per via della giacca che indossa, giunge in una cittadina rurale del profondo Sud con l'intenzione di rifarsi una vita. Trova un impiego nel negozio gestito da Lady Torrance (Anna Magnani), ma non riuscirà a salvare la donna dall'inferno del suo matrimonio infelice e da un ambiente ostile, razzista e violento. Ardita rilettura del mito di Orfeo ed Euridice, tratta dal dramma "Orpheus Descending" di Tennessee Williams (anche co-sceneggiatore), impreziosita dalla regia di Lumet, dalla fascinosa fotografia in bianco e nero di Boris Kaufman e dall'interpretazione di un Brando al culmine del carisma e della prestanza fisica, qui affiancato da un'intensa Magnani al suo terzo film hollywoodiano e alla seconda collaborazione con Williams dopo "La rosa tatuata" (entrambi i testi, pare, furono scritti dal drammaturgo pensando proprio all'attrice italiana come protagonista). L'origine teatrale della sceneggiatura è evidente dalla preponderanza dei dialoghi, dall'ambientazione circoscritta e dal tipico stile di Williams che, attraverso i drammi e le dinamiche dei suoi personaggi, denuncia il malessere sociale dell'America contemporanea. Diversi (ma non banali) i riferimenti al mito di Orfeo, a partire dalla chitarra da cui Xavier non gli separa mai (che gli è stata donata non da Apollo ma da un grande musicista jazz, il cui suono "incantava" non gli animali ma i procuratori!). Se Brando è un cantastorie affabulatore, affascinante e dai poteri magici, la Magnani è una novella Euridice, "simbolicamente morta" e prigioniera in un inferno fatto di solitudine, violenza e ingiustizia, che si aggrappa al nuovo venuto per ricominciare disperatamente a vivere. È un mondo – come spiega Brando – che si divide in chi compra e chi viene comprato: ma c'è anche un terzo tipo di uomini, quelli sempre in movimento (da qui il titolo originale del film) e che si lasciano trasportare dal vento come gli uccelli. Altra metafora animale è quella del serpente, la cui pelle passa nel finale da Brando a un altro personaggio (la ragazza trasgressiva e ninfomane interpretata da Joanne Woodward). Maureen Stapleton è la "veggente" Talbot, moglie dello sceriffo, mentre Victor Jory è Jabe Torrance, il marito di Lady. Da notare che anche per Brando si trattava del secondo incontro con Tennessee Williams (dopo "Un tram che si chiama desiderio").

2 commenti:

Marisa ha detto...

Un'autentica, piacevole sorpresa per me che sono una fan di Orfeo e che mi lascio facilmente sedurre da Marlon Brando :-)
Aggiungerei ancora alla tua bella recensione il riferimento all'immortalità che questa volta non passa dalla chitarra-liuto come in Orfeo Negro, ma dalla pelle di serpente, animale altamente simbolico di trasformazione e pertanto di immortalità.

Christian ha detto...

Il mito di Orfeo ha sempre ispirato l'arte, anche in epoca moderna (basti pensare che l'opera lirica è nata con la "Euridice" di Jacopo Peri e "L'Orfeo" di Monteverdi!), e il cinema, la forma d'arte per eccellenza del ventesimo secolo, non poteva certo esimersi dal lasciarsene influenzare! Peraltro non l'ha fatto con pedisseque rappresentazioni della vicenda (a quanto mi risulta, non esistono film "mitologici" di stampo classico su Orfeo), ma con rivisitazioni contemporanee che ne mostrano tutta l'attualità: oltre a questo e all'"Orfeo Negro" di Camus, da te citato, vanno ricordati i film di Jean Cocteau.