30 giugno 2014

Decalogo (Krzysztof Kieślowski, 1989)

Decalogo (Dekalog)
di Krzysztof Kieślowski – Polonia 1989
serie tv in dieci episodi
***1/2

Visto in DVD.

Girata per la televisione polacca, una serie di brevi film (poco meno di un'ora ciascuno) ispirati ai dieci comandamenti della religione cattolica. "Caso" cinematografico che fece scoprire il talento di Kieślowski anche al di fuori della Polonia (ai tempi ancora dietro la cortina di ferro, ma anche il paese più "credente" dell'Europa dell'Est, quello che aveva dato i natali all'allora papa Giovanni Paolo II), non ha tuttavia un'impostazione confessionale: lo sguardo di Kieślowski è filosofico più che religioso, indaga nell'animo umano per portarne allo scoperto i dubbi, i dilemmi e le ambiguità, e stimola profonde riflessioni sulla morale e l'etica, sulla legge, sul caos e l'ordine e soprattutto sulle contraddizioni della natura umana. Spesso i dieci comandamenti sono semplici spunti per raccontare una vicenda che può avere differenti intepretazioni o diversi punti di vista: a volte affrontando i temi in maniera diretta (come nel caso di "Non uccidere"), a volte in modo più vago o non lineare, o con un certo senso del paradosso. Sceneggiati da Kieślowski insieme al fido Krzysztof Piesiewicz, i vari episodi possono essere considerati come minifilm indipendenti l'uno dall'altro (e dunque visionabili, volendo, in qualsiasi ordine): ciascuno ha i propri interpreti e un proprio direttore della fotografia (l'unico che si ripete è Piotr Sobociński, che ha curato i capitoli 3 e 9). Tutti però condividono la medesima ambientazione e prendono l'avvio in un complesso residenziale di Varsavia, un tipico "casermone" dell'epoca sovietica, gigantesco, grigio e formato da tanti appartamenti tutti uguali: è qui che vivono praticamente tutti i personaggi dei vari episodi, molti dei quali si conoscono, si incontrano fra loro o semplicemente hanno sentito in giro le storie l'uno dell'altro. I rimandi interni, pur sottili (in alcuni casi si tratta di semplici strizzatine d'occhio per gli spettatori che hanno seguito l'intera serie), d'altronde non mancano: e non parliamo solo di personaggi minori che ricorrono in più di un capitolo; a volte un particolare episodio getta nuova luce su un altro (nell'ottavo, "Non dire falsa testimonianza", si discute per esempio della storia del secondo, "Non nominare il nome di Dio invano", e i personaggi ne danno una loro interpretazione). Detto ciò, non è necessario – come hanno fatto invece molti critici – sforzarsi di trovare temi ricorrenti nei vari episodi, visto che ogni film può essere visto, valutato e apprezzato come un'opera a sé stante: l'unico filo conduttore è quello suggerito dal titolo stesso, ossia i dieci comandamenti, e dal tema presente in tutti i lavori del regista polacco: il rapporto fra l'uomo e il destino. In effetti, non è nemmeno necessario presumere l'esistenza di un Dio per dare significato alle diverse storie. Kieślowski non vuole catechizzare né impartire lezioni morali (anche perché non sempre è immediatamente chiaro a quale dei personaggi dell'episodio – spesso i protagonisti sono due – è diretto il comandamento di turno, o se si tratta di una punizione, di un avvertimento o di un insegnamento): il suo approccio è quello di un osservatore, proprio come la figura interpretata da Artur Barciś che compare – in situazioni sempre diverse – in ciascuno degli episodi (il barbone nel primo, l'infermiere nel secondo, l'autista di tram nel terzo, ecc.) e che fa da testimone muto alle vicende. Le musiche sono di Zbigniew Preisner, che nel nono film ("Non desiderare la donna d'altri") dà vita all'immaginario compositore settecentesco Van den Budenmayer che ritornerà a più riprese nelle successive opere di Kieślowski (in particolare ne "La doppia vita di Veronica", in "Film blu" e in "Film rosso"). Il regista polacco realizzerà anche delle "versioni estese" di due episodi (il quinto e il sesto) che saranno distribuiti come film a sé stanti nelle sale cinematografiche ("Breve film sull'uccidere", tratto da "Non uccidere", e "Non desiderare la donna d'altri", che – nonostante il titolo italiano che certifica una volta di più l'incompetenza o la malafede dei nostri distributori – si rifà all'episodio "Non commettere atti impuri").

1, "Non avrai altro Dio all'infuori di me"
Un professore universitario rigetta l'idea di divinità ma a suo modo ha anche lui una fede: quella nella logica matematica, impersonata dal personal computer cui si affida per ogni decisione, convinto che tutta la vita possa essere descritta in termini meccanicistici. Quando si azzarderà a calcolare lo spessore del ghiaccio prima di lasciar andare il figlioletto a pattinare sul lago, il destino lo punirà. Davanti al suo straziante dolore per la morte del bambino, anche una Madonna piangerà lacrime di cera. Oltre a presentare il setting di tutta la serie, è anche uno degli episodi più espliciti e diretti nel mettere in scena il proprio comandamento.

2, "Non nominare il nome di Dio invano"
Una donna incinta si rivolge al primario della clinica dove il marito è ricoverato per sapere se l'uomo, colpito da una grave malattia, sopravviverà. Dal responso dipenderà la sua scelta se portare a termine o meno la gravidanza, frutto di una relazione clandestina con un amante. Ma il medico, solitario e scostante, non è in grado di darle una risposta, o forse le mente per non prendersi la responsabilità di decidere del suo destino. Ambiguo ed enigmatico: Dio è il medico cui la donna si rivolge? O l'intervento divino è decisivo per la guarigione del marito quando tutto faceva sembrare che la sua malattia fosse progressiva? Più tardi, nell'ottavo capitolo, si azzarderà una possibile interpretazione: il medico, che è credente, non può rispondere perché equivarrebbe ad emettere una sentenza, ovvero a sostituirsi a Dio.

3, "Ricordati di santificare le feste"
La sera della vigilia di Natale, una donna chiede all'ex amante (che non vedeva da tre anni) di aiutarla a rintracciare il marito, misteriosamente scomparso. Dopo aver girato insieme tutta la notte per le strade di una Varsavia fredda e ostile, tra ospedali e stazioni, la donna gli rivela che si è trattato di una disperata menzogna per non trascorrere la notte da sola: se lui non fosse rimasto con lei fino al mattino, si sarebbe uccisa. Alla cupezza dell'ambientazione fa da contrasto una certa ironia nel modo di interpretare il terzo comandamento (l'uomo non trascorre la festività con la propria famiglia ma con l'amante: eppure, così facendo, salva la vita a quest'ultima).

4, "Onora il padre e la madre"
Una ragazza trova una lettera che la madre le aveva scritto poco prima di morire, subito dopo la sua nascita, in cui le rivela che l’uomo che l’ha cresciuta potrebbe non essere il suo vero padre. La rivelazione giunge quasi come un sollievo, visto che è sempre stata attratta da lui (sentimento peraltro reciproco): ma sarà vera? Uno degli episodi più ambigui e scabrosi, ma anche fra i più lucidi e compatti per sceneggiatura e messa in scena, considerato da alcuni critici come il migliore dei dieci film. Verità e menzogne, desideri e paure si alternano fino alla fine, aiutati dal fatto che la protagonista sia una studentessa di arte drammatica, e dunque abituata a “recitare”.

5, "Non uccidere"
Un ragazzo inquieto, forse in cerca di autodistruzione, vaga per la città in attesa dell'occasione giusta per compiere un atto violento: alla fine decide di uccidere brutalmente e a sangue freddo, senza apparente motivo, un tassista. Al processo verrà inutilmente difeso da un giovane avvocato che ha appena superato l'esame da procuratore e che si prodiga in una sentita arringa contro la pena di morte, da lui ritenuta ingiusta e inutile come deterrente. I due si rincontreranno in prigione, al momento dell'esecuzione, alla quale l'avvocato dovrà assistere poche ore dopo aver avuto un figlio. Un episodio dai toni cupi e scuri, come testimonia la fotografia ricca di filtri e di viraggi in color seppia, quasi si trattasse di una vecchia fotografia (come quella della sorellina morta, che il giovane assassino porta a restaurare).

6, "Non commettere atti impuri"
Tomek, giovane impiegato alle poste che vive da solo con la madre, spia di nascosto una conturbante e disinibita vicina di casa, il cui appartamento è situato proprio di fronte alla sua finestra. Non solo: le fa telefonate mute, si fa assumere per consegnare il latte nel suo palazzo e, pur di vederla più spesso, le spedisce falsi avvisi di vaglia postali per spingerla a recarsi allo sportello. Quando viene a conoscenza di tutto, la donna si prenderà gioco di lui, umiliandolo. Ma di fronte al tentato suicidio del ragazzo, e rendendosi conto della sua sensibilità, cambierà atteggiamento. Forse l'episodio che parla maggiormente di sentimenti: e per nulla scabroso, nonostante il tema trattato.

7, "Non rubare"
"Si può rubare quello che è già nostro?". A porsi la domanda è Maika, che rapisce quella che tutti credono essere la sua sorellina minore, Anka, con l'intenzione di fuggire all'estero portandola con sé. In realtà la bambina è sua figlia, nata quando lei aveva solo 16 anni, di cui la nonna si è "impossessata" come se fosse sua, inizialmente per mettere a tacere lo scandalo (Maika era solo una studentessa, e il padre della bimba era il suo insegnante) ma anche perché la donna, dopo la nascita della primogenita, non poteva avere altri figli. Anche per questo Maika odia la madre, capace di mostrare verso Anka tutto quell'affetto e quella tenerezza che per lei non ha mai avuto. Un episodio melodrammatico e particolarmente ambiguo, come sempre originale nell'interpretare il comandamento che gli dà il nome.

8, "Non dire falsa testimonianza"
Zofia, anziana insegnante di filosofia ed etica all'università, si ritrova faccia a faccia con Elzbieta, che nel 1943 – quando era solo una bambina di sei anni – aveva rifiutato di proteggere dai nazisti. Elzbieta avrebbe dovuto infatti essere accolta da una famiglia purché fosse battezzata; ma Zofia e suo marito, che avrebbero dovuto fare da padrini al finto battesimo, avevano rifiutato all'ultimo momento l'aiuto promesso per non mentire di fronte al Dio in cui credevano, "quel Dio che chiede di essere misericordiosi ma che non permette di dare falsa testimonianza". Ma fu davvero quella l'unica ragione? Non è consentito mentire per una giusta causa? A distanza di quarant'anni il mistero viene svelato, ed Elzbieta scopre che quello che Zofia e il marito invece fecero fu proprio mentire per una giusta causa...

9, "Non desiderare la donna d'altri"
Roman, chirurgo cardiologo, si scopre all'improvviso impotente e suggerisce alla bella moglie Hanka, con cui è sposato da dieci anni (senza figli), di trovarsi un amante. Non sa però che la donna ne ha già uno, un giovane studente di fisica: e quando lo scopre, in preda alla gelosia o alla disperazione, tenta il suicidio... Questa volta il comandamento non sembra rivolto a uno dei due protagonisti ma al comprimario, lo studente che introducendosi nella vita della coppia rischia di provocare il disastro. Episodio particolarmente sofferto, attento ai piccoli dettagli e alle sfumature. Da ricordare la giovane cantante che Roman deve operare al cuore per consentirle di proseguire la sua carriera, ma che preferirebbe farne a meno (le basta vivere, non cantare: simbolo di chi si accontenta, in contrapposizione a chi vuole quello che non ha).

10, "Non desiderare la roba d'altri"
Due fratelli ereditano la collezione di francobolli del padre, che avevano sempre disprezzato ("Com'è possibile che un uomo possa avere tanta voglia di possedere qualcosa?"). Ma quando ne scoprono il valore, lentamente cominciano a diventare come lui, al punto che il maggiore venderà addirittura un rene pur di mettere le mani su un pezzo particolarmente raro. E quando un ladro ruberà l'intera collezione, sospetteranno l'uno dell'altro. Apologo sull'avidità e sul collezionismo, con due personaggi diversi fra loro (il fratello maggiore è un lavoratore inquadrato, il minore è un cantante rock anticonformista) che si scoprono uguali a quel padre che li aveva abbandonati e viveva segregato nel proprio appartamento per timore dei furti. Nulla diventa per loro più importante dei francobolli ("Ho la sensazione che i miei problemi non esistano più", confessa uno dei fratelli), e solo la loro perdita, dopo il primo senso di smarrimento, farà comprendere ai protagonisti la loro stupidità.

2 commenti:

Ismaele ha detto...

li avevo visto in parte al cinema, bellissimi!

Marisa ha detto...

Sono stati per me una rivelazione, mi hanno profondamente coinvolta e colpita per l'originalità dei punti di vista e l'umanità con cui ogni tema, anche scabroso, è trattato, con il limpido sgardo del testimone, mai giudicante o moralista.