21 maggio 2014

Inizio di primavera (Yasujiro Ozu, 1956)

Inizio di primavera (Sōshun)
di Yasujiro Ozu – Giappone 1956
con Ryo Ikebe, Chikage Awajima, Keiko Kishi
**1/2

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli.

Sugiyama, giovane impiegato in una ditta di Tokyo, dà inizio a una relazione clandestina con la collega Kingyo ("Pesce rosso") che mette a repentaglio i rapporti con la moglie, resi già difficili dalle ristrettezze economiche e dalla recente perdita di un figlio. Quando gli viene prospettato un trasferimento in una città di provincia, sceglie di accettare: chissà che non sia l'occasione per ricominciare da capo. Il film più lungo di Ozu (con 144 minuti, supera di tre l'immediatamente successivo "Crepuscolo di Tokyo") è ambientato nel mondo dei salaryman, i colletti bianchi nipponici, a proposito dei quali il regista e lo sceneggiatore Kogo Noda non risparmiano riflessioni amare: di fronte a un impiego fisso e uno stipendio sicuro, che per quanto basso è sufficiente a spingere molti giovani ad aspirare a un lavoro d'ufficio, vengono messi in luce i disagi della vita da pendolare, le scarse possibilità di carriera, l'eterna subalternità ai superiori, le difficoltà di mantenere una famiglia, lo stanco adeguarsi a una grigia routine lavorativa, la rinuncia ai sogni di gioventù o persino a quelli dell'età avanzata. Eppure le alternative non mancherebbero: vedi l'amico che si è messo in proprio e ha aperto un locale, oppure gli ex commilitoni che invidiano Sugiyama per il suo impiego regolare, ai quali lui ribatte che è meglio la loro indipendenza e libertà (per non parlare delle loro competenze specifiche: i salaryman, invece, "non sanno far nulla!"). La vita del protagonista trova risonanza e si riflette continuamente in quella dei colleghi che lo circondano, come se fossero frammenti di un'unica esistenza e condividessero un unico destino: non a caso sono importanti le scene di gruppo, dove tutti hanno a cuore in qualche modo le sorti degli altri. Uno dei colleghi di Sugiyama sta per avere un bambino e non sa se potrà permetterselo ("I bambini vengono sempre prima degli aumenti"); altri smarriscono man mano le illusioni e l'entusiasmo degli inizi. Chi va in pensione scopre di non poter realizzare i sogni di una vita. E quando un amico muore per una brutta malattia, si commenta cinicamente: "È stato fortunato: noi continuiamo a vivere ma non siamo felici".

In questo contesto, risulta quasi pretestuosa la trama principale del film, quella dell'infedeltà coniugale di Sugiyama (con tanto di cliché come il rossetto sulla camicia), che altro non è che l'ultimo tassello di una crisi pre-esistente e con radici più profonde (nemmeno la morte del figlio ha saputo unire marito e moglie), assai più che nel similare "Il sapore del riso al té verde". E come sempre, la riconciliazione ha le sue basi nell'accettazione: di fronte agli ostacoli e ai problemi della vita, la cosa più importante sono i legami familiari, da non spezzare nonostante le difficoltà. Stilisticamente, da segnalare la sequenza della gita domenicale all'isola di Enoshima, in cui Ozu sfrutta – cosa davvero insolita per lui – un movimento di macchina che segue i personaggi mentre camminano lungo la costa. Altri due brevi carrellate mostrano invece il corridoio della ditta in cui Sugiyama lavora, avvicinandosi alla porta del suo ufficio. Ma la vera scena di "rottura" con il suo cinema precedente è quella del bacio fra Sugiyama e Kingyo, assai esplicito (per quanto interrotto da un "inserto", l'inquadratura su un ventilatore, con la stessa funzione narrativa del vaso di "Tarda primavera"). Fra il film precedente, "Viaggio a Tokyo" e questo, sono trascorsi in effetti tre anni (un intervallo così lungo non capitava dai tempi della guerra, e non si verificherà più: le pellicole successive usciranno al massimo a un anno di distanza l'una dall'altra) nei quali le generazioni più giovani avevano cominciato a mostrare insofferenza verso i valori e le abitudini dei propri genitori. Questo valeva anche in campo artistico, con l'affermarsi sulla scena di nuovi registi che mal tolleravano la classicità ingessata degli shomingeki. Di tutto questo c'è traccia nella pellicola di Ozu, che dunque ancora una volta dimostra come il suo sguardo meticoloso e attento sia sempre capace di osservare la società che lo circonda nei più piccoli dettagli e di mostrarne i cambiamenti e le dinamiche. Già negli anni '30 il regista aveva ritratto il mondo dei salaryman: ma quelle erano commedie, ora lo scenario è più realistico e drammatico, una vera critica sociale, per quanto serena e non "arrabbiata" come quelle che avrebbero portato sullo schermo, nei giro di pochi anni, i registi della cosiddetta "nouvelle vague" nipponica. A parte alcuni cameo, Ozu rinuncia curiosamente ai suoi attori-feticcio: dei tre protagonisti, solo Chikage Awajima aveva già lavorato con lui, e nessuno tornerà in seguito.

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