Kagemusha (Akira Kurosawa, 1980)
Kagemusha - L'ombra del guerriero (Kagemusha)
di Akira Kurosawa – Giappone 1980
con Tatsuya Nakadai, Tsutomu Yamazaki
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Rivisto in DVD.
Nel Giappone feudale del sedicesimo secolo, il potente clan Takeda è in lotta con i rivali Oda e Tokugawa per il dominio su tutto il paese. Ma proprio quando la conquista della capitale Kyoto sembra ad un passo, Shingen, il signore del clan, viene gravemente ferito da un archibugio nemico. Morente, ordina ai suoi più fedeli generali di mantenere segreta la sua dipartita per tre anni, in modo da proteggere il feudo dagli attacchi dei signori della guerra avversari. Viene così sostituito da un sosia, un umile ladruncolo condannato a morte che vanta con lui un'incredibile somiglianza, al punto da riuscire ad ingannare non solo i nemici ma i suoi stessi uomini e persino i parenti più stretti. Diventare "l'ombra" di qualcun altro, però (il titolo del film significa letteralmente "Il guerriero ombra"), comporta la rinuncia a sé stessi: e quando il sosia verrà smascherato e costretto ad abbandonare il palazzo, si scoprirà talmente incapace di separare il proprio destino da quello del clan Takeda da non poter far altro che seguirne di nascosto l'esercito, inviato allo sbaraglio dal figlio di Shingen, fino alla distruzione completa sul campo di battaglia. Dopo "l'esilio russo" che aveva fruttato "Dersu Uzala", Kurosawa torna a lavorare in patria, stavolta con il sostegno economico degli americani (il film è parzialmente finanziato dalla 20th Century Fox, intervenuta quando la Toho aveva esaurito il budget e minacciava di non portare a termine la pellicola, e fra i produttori esecutivi figurano Francis Ford Coppola e George Lucas, da sempre estimatori del regista nipponico), e sforna un capolavoro drammatico ispirato a eventi reali dell'epoca Sengoku (la battaglia finale è quella di Nagashino, nella pianura di Shitaragahara) ma interessato più ad affrontare dilemmi psicologici sull'identità e l'annullamento di sé ("L'ombra di un uomo non lo lascia mai, non può camminare da sola"; "ma quando l'uomo scompare, la sua ombra dova va a finire?") che non a riproporre una pedante ricostruzione storica (tanto Takeda Shingen quanto i suoi rivali Oda Nobunaga e Tokugawa Ieyasu sono personaggi realmente esistiti e di notevole importanza nella storia giapponese; da rimarcare le sequenze in cui Nobunaga si fa benedire dai monaci cristiani e beve il vino rosso degli "stranieri"), nonostante le sontuose scene di battaglia e la cura nel proporre costumi, armature e ambientazioni (molte scene sono state girate al castello di Himeji, presso Kobe).
Impressionante visivamente (l'uso del colore "espressionistico" – com'era già stato per "Dodes'ka-den" e come sarà per tutte le pellicole successive, "Ran" e "Sogni" in primis – spicca nel rosso acceso del cielo contro cui si stagliano le silhouette degli uomini; nelle tinte degli stendardi dell'esercito di Shingen, le cui divisioni richiamano le forze della natura come il vento, il fuoco o la foresta, mentre il daimyo rappresenta la montagna "incrollabile"; nel colore del sangue, quasi fasullo nella sua teatralità; nella sequenza del sogno in cui il sosia vede il cadavere di Shingen – con tanto di armatura – fuoriuscire dal vaso in cui era stato nascosto per marciare contro di lui; e in generale in tutte quelle sequenze audacemente visionarie – cito anche l'apparizione dell'arcobaleno al fianco delle armate Takeda in marcia – dove le pennellate di colore sembrano fuoriuscire dalla tavolozza di un artista), il film presenta una ricca collezione di personaggi, fra figure elevate e shakespeariane (Shingen stesso, i dignitari, il figlio Katsuyori che si fa accecare dall'ambizione) e altre più umilmente "kurosawiane" (meno presenti, a dire il vero, che negli altri film: ma ricordiamo almeno le tre spie inviate dai rivali ad accertarsi che Shingen sia davvero morto; e naturalmente il sosia, uomo senza nome e senza identità che si affeziona sinceramente al nipotino di Shingen e finisce col farsi scoprire non dagli uomini ma da un cavallo). Il ritmo della pellicola è lento, quasi austero (la prima sequenza, per esempio, consiste interamente in una camera fissa su tre uomini seduti – e quasi indistinguibili l'uno dall'altro! – che parlano fra loro: è anche l'unica sequenza in cui Tatsuya Nakadai compare in entrambi i ruoli, quello del daimyo e quello della sua "ombra"). A proposito di Nakadai: la sua recitazione non fa rimpiangere il miglior Toshiro Mifune, alternando momenti di grande dignità a improvvisi scatti da fool, ma è da segnalare che la prima scelta di Kurosawa per il ruolo del protagonista era stato il comico Shintaro Katsu, meglio noto per aver interpretato la saga cinematografica di Zatoichi negli anni sessanta. Ma Katsu abbandonò il set già nel primo giorno di riprese, costringendo l'Imperatore a ricorrere a Nakadai, che aveva già lavorato con lui in tre film ("Yojimbo", "Sanjuro" e "Anatomia di un rapimento") e tornerà in "Ran". Fra le sequenze che più rimangono impresse, oltre a quella già citata del vaso, vorrei ricordare la battaglia notturna cui il sosia assiste dalla collina (si fa per dire, visto che dall'oscurità giungono soltanto grida ed echi di morte), e naturalmente il finale, apocalittico e nichilista, accompagnato dal tema solenne della colonna sonora composta da Shinichiro Ikebe. La pellicola, alla quale ha collaborato anche Ishiro "Godzilla" Honda (che dal 1980 ha partecipato come aiuto regista a tutti gli ultimi film di Kurosawa), vinse la Palma d'Oro al Festival di Cannes.