30 ottobre 2013

Kagemusha (Akira Kurosawa, 1980)

Kagemusha - L'ombra del guerriero (Kagemusha)
di Akira Kurosawa – Giappone 1980
con Tatsuya Nakadai, Tsutomu Yamazaki
****

Rivisto in DVD.

Nel Giappone feudale del sedicesimo secolo, il potente clan Takeda è in lotta con i rivali Oda e Tokugawa per il dominio su tutto il paese. Ma proprio quando la conquista della capitale Kyoto sembra ad un passo, Shingen, il signore del clan, viene gravemente ferito da un archibugio nemico. Morente, ordina ai suoi più fedeli generali di mantenere segreta la sua dipartita per tre anni, in modo da proteggere il feudo dagli attacchi dei signori della guerra avversari. Viene così sostituito da un sosia, un umile ladruncolo condannato a morte che vanta con lui un'incredibile somiglianza, al punto da riuscire ad ingannare non solo i nemici ma i suoi stessi uomini e persino i parenti più stretti. Diventare "l'ombra" di qualcun altro, però (il titolo del film significa letteralmente "Il guerriero ombra"), comporta la rinuncia a sé stessi: e quando il sosia verrà smascherato e costretto ad abbandonare il palazzo, si scoprirà talmente incapace di separare il proprio destino da quello del clan Takeda da non poter far altro che seguirne di nascosto l'esercito, inviato allo sbaraglio dal figlio di Shingen, fino alla distruzione completa sul campo di battaglia. Dopo "l'esilio russo" che aveva fruttato "Dersu Uzala", Kurosawa torna a lavorare in patria, stavolta con il sostegno economico degli americani (il film è parzialmente finanziato dalla 20th Century Fox, intervenuta quando la Toho aveva esaurito il budget e minacciava di non portare a termine la pellicola, e fra i produttori esecutivi figurano Francis Ford Coppola e George Lucas, da sempre estimatori del regista nipponico), e sforna un capolavoro drammatico ispirato a eventi reali dell'epoca Sengoku (la battaglia finale è quella di Nagashino, nella pianura di Shitaragahara) ma interessato più ad affrontare dilemmi psicologici sull'identità e l'annullamento di sé ("L'ombra di un uomo non lo lascia mai, non può camminare da sola"; "ma quando l'uomo scompare, la sua ombra dova va a finire?") che non a riproporre una pedante ricostruzione storica (tanto Takeda Shingen quanto i suoi rivali Oda Nobunaga e Tokugawa Ieyasu sono personaggi realmente esistiti e di notevole importanza nella storia giapponese; da rimarcare le sequenze in cui Nobunaga si fa benedire dai monaci cristiani e beve il vino rosso degli "stranieri"), nonostante le sontuose scene di battaglia e la cura nel proporre costumi, armature e ambientazioni (molte scene sono state girate al castello di Himeji, presso Kobe).

Impressionante visivamente (l'uso del colore "espressionistico" – com'era già stato per "Dodes'ka-den" e come sarà per tutte le pellicole successive, "Ran" e "Sogni" in primis – spicca nel rosso acceso del cielo contro cui si stagliano le silhouette degli uomini; nelle tinte degli stendardi dell'esercito di Shingen, le cui divisioni richiamano le forze della natura come il vento, il fuoco o la foresta, mentre il daimyo rappresenta la montagna "incrollabile"; nel colore del sangue, quasi fasullo nella sua teatralità; nella sequenza del sogno in cui il sosia vede il cadavere di Shingen – con tanto di armatura – fuoriuscire dal vaso in cui era stato nascosto per marciare contro di lui; e in generale in tutte quelle sequenze audacemente visionarie – cito anche l'apparizione dell'arcobaleno al fianco delle armate Takeda in marcia – dove le pennellate di colore sembrano fuoriuscire dalla tavolozza di un artista), il film presenta una ricca collezione di personaggi, fra figure elevate e shakespeariane (Shingen stesso, i dignitari, il figlio Katsuyori che si fa accecare dall'ambizione) e altre più umilmente "kurosawiane" (meno presenti, a dire il vero, che negli altri film: ma ricordiamo almeno le tre spie inviate dai rivali ad accertarsi che Shingen sia davvero morto; e naturalmente il sosia, uomo senza nome e senza identità che si affeziona sinceramente al nipotino di Shingen e finisce col farsi scoprire non dagli uomini ma da un cavallo). Il ritmo della pellicola è lento, quasi austero (la prima sequenza, per esempio, consiste interamente in una camera fissa su tre uomini seduti – e quasi indistinguibili l'uno dall'altro! – che parlano fra loro: è anche l'unica sequenza in cui Tatsuya Nakadai compare in entrambi i ruoli, quello del daimyo e quello della sua "ombra"). A proposito di Nakadai: la sua recitazione non fa rimpiangere il miglior Toshiro Mifune, alternando momenti di grande dignità a improvvisi scatti da fool, ma è da segnalare che la prima scelta di Kurosawa per il ruolo del protagonista era stato il comico Shintaro Katsu, meglio noto per aver interpretato la saga cinematografica di Zatoichi negli anni sessanta. Ma Katsu abbandonò il set già nel primo giorno di riprese, costringendo l'Imperatore a ricorrere a Nakadai, che aveva già lavorato con lui in tre film ("Yojimbo", "Sanjuro" e "Anatomia di un rapimento") e tornerà in "Ran". Fra le sequenze che più rimangono impresse, oltre a quella già citata del vaso, vorrei ricordare la battaglia notturna cui il sosia assiste dalla collina (si fa per dire, visto che dall'oscurità giungono soltanto grida ed echi di morte), e naturalmente il finale, apocalittico e nichilista, accompagnato dal tema solenne della colonna sonora composta da Shinichiro Ikebe. La pellicola, alla quale ha collaborato anche Ishiro "Godzilla" Honda (che dal 1980 ha partecipato come aiuto regista a tutti gli ultimi film di Kurosawa), vinse la Palma d'Oro al Festival di Cannes.

10 commenti:

Giuliano ha detto...

impressionante è proprio la parola giusta, lo avevo visto al cinema appena uscito e ne ero uscito senza parole, ammirato e ripromettendomi di vedere tutto quello che aveva e che avrebbe fatto Kurosawa (idem per Ran, per Dersu Uzala...). Al cinema, per esempio, la sequenza in cui il "cecchino" prepara il fucile per poi colpire di notte aveva un'evidenza che sul dvd non ho più ritrovato - questo era il Cinema...
Per la battaglia finale, ricordo le polemiche sui cavalli morenti: Kurosawa spiegò che in realtà erano stati leggermente anestetizzati e poi filmati mentre si stavano risvegliando. Un trucco quasi alla Melies, la grande magia del cinema.
Erano tempi in cui si andava al cinema e poi si aspettava il prossimo Kurosawa, il prossimo Kubrick, il prossimo Fellini, o Bergman, Bertolucci, Spielberg, Coppola, Tarkovskij, Huston... uno di loro c'era sempre.
Non so se hai letto la notizia, ma i videogames hanno superato il cinema come fatturato. I videogames, schermo piccolo e da soli, contro il cinema, schermo enorme e per tante persone: la metafora perfetta di cosa è successo in tutti gli altri ambiti della nostra vita.

Giuliano ha detto...

come avrai visto, ho mischiato un po' i ricordi: alcuni risalgono agli anni precedenti. Di Kurosawa conoscevo quasi soltanto Rashomon, allora (visto in tv e mai dimenticato, come Il settimo sigillo e La strada e Moby Dick)

Christian ha detto...

Ciao Giuliano! Credo che "Kagemusha" sia stato per me davvero il primo film di Kurosawa, o almeno è il primo di cui ho il ricordo della visione. Lo vidi al cinema (avevo dieci anni) e mi impressionò soprattutto la sequenza del sogno in cui il cadavere esce dal vaso... Naturalmente già da allora collocai Kurosawa nell'olimpo dei miei registi preferiti, e delle opere successive non ne ho persa nessuna sul grande schermo! ^^

Quanto alle tue considerazioni: inevitabilmente i tempi cambiano... Gli stessi film vengono oggi "consumati" molto di più a casa, da soli o con pochi amici (come i videogiochi), che non al cinema. Comunque anche oggi abbiamo grandi autori e grandi film (quest'anno sono usciti due "quasi" capolavori di Sorrentino e di Cuarón), ma in effetti sembrano un po' sfigurare al cospetto dei grandi che hai citato.

Giuliano ha detto...

è un discorso molto complesso, e anche molto importante: un quartetto d'archi non può essere amplificato, queste sequenze di Kurosawa (o Novecento di Bertolucci, o Odissea nello Spazio... l'elenco è infinito) sono state pensate per la proiezione su grande schermo. E il Don Giovanni di Mozart nasce per un palcoscenico piuttosto piccolo, già la Scala è dispersiva...
Non è che ci sia sempre un progresso, qualcosa si perde sempre. In questo senso, passare a qualcosa che guardi nel palmo della mano è sicuramente un rimpicciolimento.
Però, appunto, è un discorso molto complesso.

marco c. ha detto...

@Christian: è stato il primo Kurosawa anche per me. Ricordo lo vidi un sabato pomeriggio su Telemontecarlo.

Tatsuya Nakadai immenso. Rimarrà indelebile nella mia mente la scena in cui uno dei valletti dice al sosia:"datti meno arie, sosia!". Poi Tatsuya Nakadai assume una espressione contrita e stempera la spocchia con una naturalezza straordinaria. Un grandissimo interprete.

@Giuliano: ho apprezzato questo tuo ricordo. Condivido la tua impressione che i rapporti umani si stiano sfaldando. L'umanità si è "ristretta". Riguardo al mondo del cinema, oramai nelle multisale un film del genere sarebbe inconcepibile per via dei turni delle proiezioni. Sarebbe antieconomico. La multisala come il Macdonald. E non è una immagine trita, ma quello è realmente.

Marisa ha detto...

Io sono rimasta impressionata dalla finezza del lavoro sulla trasformazione del "sosia", dal suo lento, ma irreversibile processo di "nobilitazione". In questo caso avviene il contrario di quello che accade nel capolavoro di Stevenson sul dottor Jekyll e Mister Hyde , dove l'ombra che viene rivelata è la parte negativa e peggiore della personalità. Nel volgare ladruncolo l'ombra è positiva e lui recupera la propria metà più nobile: una potenzialità che non sapeva di avere. Infatti il concetto di "ombra" in senso psicologico include tutto quello che la formazione del nostro Io ha escluso sia in negativo che in positivo, e non è detto che siano sempre le peggiori qualità quelle che vengono rimosse...

Christian ha detto...

Marco: Nakadai è grandissimo (così come dimostrerà anche in "Ran"). Eppure non posso fare a meno di pensare come Mifune avrebbe recitato la stessa parte... ^^

Marisa: Fai una considerazione giusta e interessante. Credo che proprio questo sia il vero tema centrale del film. Il sosia è un personaggio tragico ma positivo, che raggiunge la "nobiltà" partendo dal basso e meravigliando in questo persino gli stessi dignitari che lo hanno utilizzato per i loro scopi (e che, in diversi momenti, manifestano il loro stupore per come vada assomigliando sempre di più, anche caratterialmente, al loro signore).

Giuliano ha detto...

ho rubato il commento di Marisa
:-)
copio e incollo nei miei appunti, Marisa è sempre la migliore

James Ford ha detto...

Una bomba, pazzesco sotto tutti i punti di vista.
Per me viene superato solo da Ran.

Christian ha detto...

Sì, forse "Ran" va persino oltre. Ma con Kurosawa è difficile dire quale sia il film migliore (ci sono anche "Rashomon", "I sette samurai", "Dodes'ka-den"...).