24 settembre 2013

Ana arabia (Amos Gitaï, 2013)

Ana arabia (id.)
di Amos Gitaï – Israele 2013
con Yuval Scharf, Yussuf Abu Warda
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Visto al cinema Apollo, in originale con sottotitoli
(rassegna di Venezia).

Una giovane giornalista si reca in una zona periferica di Jaffa, dove è da poco morta una donna con un'interessante storia alle spalle: sopravvissuta ad Auschwitz e all'Olocausto, si è poi convertita all'Islam per sposare un arabo. Aggirandosi nei cortili della casa dove abitava, la giornalista incontra il marito, la figlia, la nuora, parenti, vicini e amici della defunta, che le parlano di lei e di mille altre cose... Girato in un unico piano sequenza (come "Arca russa", ma con meno maestria tecnica) e in tempo reale, è un film che scava nella vita di una comunità di arabi ed ebrei che convivono pacificamente in una "terra di confine", quasi invisibile al resto del mondo: un insieme di case, di baracche e di orti alla periferia della città, come rivela l'ultima inquadratura in cui finalmente la macchina da presa, all'imbrunire e sulle note della prima sinfonia di Mahler, si innalza per mostrarci una visuale a 360 gradi dell'ambiente circostante. Come capita spesso con il cinema di Gitaï, mi è parso un lavoro che nasce più da uno sfoggio di stile che dal sincero desiderio di raccontare qualcosa. Le conversazioni e i dialoghi si susseguono senza sosta, attraversando i più diversi argomenti (la vita, il lavoro, l'amore), mentre la giornalista annota diligentemente sul suo taccuino gli spunti più interessanti; ma alla pellicola manca un centro nevralgico e sembra più tenuta insieme dall'aspetto tecnico (il piano sequenza, appunto) che non dai personaggi o dalle esigenze narrative. E alla fine, ci si annoia pure un bel po'.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Assolutamente da vedere!

Christian ha detto...

Mah... io ho avuto la sensazione che giri su se stesso per non dire in fondo nulla di interessante, e che sia tenuto insieme solo dall'esigenza (o dal desiderio) del regista di fare un film in un solo piano sequenza... A questo punto, meglio "Arca russa", che qualche brivido lo dava (la scena del ballo, l'inquadratura finale...).