31 marzo 2013

The Rocky Horror Picture Show (Jim Sharman, 1975)

The Rocky Horror Picture Show (id.)
di Jim Sharman – GB/USA 1975
con Tim Curry, Susan Sarandon
****

Rivisto in DVD, con Paola e Sabrina.

Una coppia di fidanzatini "perbene" e repressi, Brad e Janet, si ritrova con l'auto in panne sotto la pioggia mentre sta attraversando un bosco, e chiede ospitalità nel castello dove è in corso una bizzarra convention "transilvana". Il padrone di casa, Frank N. Furter, scienziato extraterrestre bisessuale che sta per dar vita nel proprio laboratorio a una "creatura" (un uomo biondo e muscoloso, chiamato Rocky), li trascinerà in un vortice di sesso e di piaceri sfrenati. Tratto dal musical "The Rocky Horror Show" di Richard O'Brien, è il cult movie più cult di tutta la storia del cinema, al punto che ancora oggi, a quasi quarant'anni dalla sua uscita (quando fu inizialmente ignorato), viene regolarmente proiettato in alcuni cinema selezionati di tutto il mondo con la partecipazione "attiva" degli spettatori (che si vestono come gli attori, rispondono alle loro battute e ricostruiscono dal vivo le scene del film). La trama, che in superficie omaggia tante classiche pellicole di horror e fantascienza degli anni trenta e degli anni cinquanta (a partire dal "Frankenstein" di James Whale), è in realtà solo una scusa per mettere in scena un inno alla liberazione sessuale e alla trasgressione vissuta in chiave salvifica, all'insegna della scoperta di sé e dell'autodeterminazione. Figlia della rivoluzione sessuale di quegli anni, la filosofia del film è riassumibile in una delle strofe più celebri, quella che recita "Don't dream it, be it!" (Non sognatelo, siatelo!"). Nel cast spiccano Tim Curry nei panni di Frank N. Furter, parodistico dottor Frankenstein in guêpière e tacchi a spillo, e una giovanissima Susan Sarandon in quelli di Janet Weiss, mentre il suo fidanzato Brad Majors è Barry Bostwick. Richard O'Brien, autore della sceneggiatura e delle musiche, è il maggiordomo gobbo Riff Raff, Patricia Quinn è sua sorella, la domestica Magenta (entrambi, come Frank, alieni transilvani). Completano il gruppo Nell Campbell (indicata come Little Nell nei credits) nei panni della "groupie" Columbia, seguace di Frank; Peter Hinwood in quelli di Rocky; il rocker Meat Loaf, che interpreta il biker Eddie; Jonathan Adams, nel ruolo di Everett Scott, professore di scienze di Brad e Janet, rivale di Frank e zio di Eddie; e infine Charles Gray, che è il misterioso "criminologo" che narra agli spettatori l'intera storia. Da notare che nella versione teatrale Meat Loaf interpretava sia Eddie che il dottor Scott. Bellissima la colonna sonora, ricca di canzoni memorabili come "Science Fiction/Double Feature" (sorta di ouverture che cita nel testo decine e decine di film e b-movie di horror e fantascienza, da "Ultimatum alla Terra" a "L'uomo invisibile", da "King Kong" a "Pianeta proibito") o "Time Warp" (lo scatenato ballo a base di "spinte pelviche", con tanto di schemi e illustrazioni su come danzarlo adeguatamente). "Science Fiction" è cantata da O'Brien, ma le labbra rosse che si vedono sullo schermo (raffigurate anche sull'iconica locandina del film) sono di Patricia Quinn. E in effetti a teatro la canzone è di solito eseguita proprio dall'attrice che recita nel ruolo di Magenta, vestita però da usherette. Gag, citazioni e riferimenti metacinematografici si sprecano (sono citate, per esempio, quasi tutte le case di produzione hollywoodiane dell'epoca, con particolare risalto all'ormai defunta RKO, produttrice del "King Kong" con Fay Wray). Nel 1981 Sharman e O'Brien hanno realizzato uno pseudo-sequel, "Shock Treatment", tutto ambientato in uno studio televisivo.

29 marzo 2013

Gli amanti passeggeri (P. Almodóvar, 2013)

Gli amanti passeggeri (Los amantes pasajeros)
di Pedro Almodóvar – Spagna 2013
con Javier Cámara, Cecilia Roth
**1/2

Visto al cinema Colosseo, con Sabrina.

A bordo di un aereo di linea diretto dalla Spagna in Messico, ma costretto a girare in tondo su Toledo in attesa di trovare una pista libera per un atterraggio di emergenza a causa di un carrello in avaria, i piloti e gli assistenti di bordo (tutti gay) cercano di distrarre come possono i passeggeri della prima classe (quelli della seconda sono stati invece addormentati con un sonnifero). La trama principale e le storie personali si intrecciano fra loro in maniera più o meno comica, dando vita ad una farsa ad alta quota che a tratti sembra quasi una versione spagnola e d'autore di pellicole come i vari "aerei più pazzi del mondo" di Jim Abrahams e dei fratelli Zucker. Almodóvar in persona, in alcune interviste, ha voluto definirla come "una commedia molto, molto leggera", peraltro nella stessa vena bizzarra e surreale di altre opere da lui dirette, come "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" (se lì c'era il gazpacho drogato, qui c'è l'Agua de Valencia allungata con la mescalina). Fra eccessi a base di sesso, droga, rock'n'roll (imperdibile l'esibizione canora, con tanto di balletto, dei tre steward sulle note di "I'm so excited" delle Pointer Sisters), amoralità senza pudori, dialoghi scoppiettanti, vicende improbabili e personaggi macchiettistici, il divertimento non manca di certo, anche se alla resa dei conti si rivela un po' fine a sé stesso (nonostante ci sia chi ha parlato di "metafora" della situazione socio-politica della Spagna odierna, con la classe economica sedata mentre i piloti girano a vuoto e in classe business ne combinano di tutti i colori). Mancano invece le sorprese: le varie storie dei singoli passeggeri sono abbastanza prevedibili e si concludono tutte immancabilmente con il lieto fine (il banchiere in fuga che si riconcilia con la figlia, l'escort sadomaso che si innamora del killer assoldato per ucciderla, la sensitiva vergine a causa dei suoi poteri che trova infine l'amore). Nel ricco cast, che comprende tanti habitué del regista come Javier Cámara, Cecilia Roth, Lola Dueñas, Paz Vega, Blanca Suárez e Carmen Machi, da segnalare la comparsata iniziale dei due attori hollywoodiani che proprio da Almodóvar furono lanciati (Antonio Banderas, doppiato in maniera impagabile, e Penélope Cruz). Interessante il titolo, in cui è possibile scambiare fra loro sostantivo e aggettivo.

22 marzo 2013

Sette anni

Giunto al suo settimo compleanno, questo blog ha ospitato negli ultimi dodici mesi le recensioni di 162 film (l'anno scorso erano stati 179), per un totale che sale a 1738. I film rivisti sono stati 44, le prime visioni 118. Le pellicole viste al cinema sono state 49 (di cui 25 nelle rassegne di Cannes e Venezia), quelle a casa 106, più 7 film visti in aereo. Quest'anno i registi più rappresentati sono stati Alfred Hitchcock e Takeshi Kitano, ciascuno con sei pellicole; seguono Akira Kurosawa con 4, Jean Cocteau e Kim Ki-duk con 3.

Nessuna novità particolare da segnalare al layout, ma ne ho approfittato per fare un po' di "pulizia" nel blogroll, spostando – sia pure a malincuore – i link di blog che non sembrano più attivi (ovvero in cui non sono stati pubblicati nuovi post da almeno un anno) in una nuova sezione, chiamata appunto "Blog non più attivi?". Il punto interrogativo sottende la mia speranza che i loro proprietari tornino prima o poi a postare, e i link li mantengo perché i loro archivi possono essere comunque interessanti da consultare.

P.S. A proposito di numeri, date un'occhiata a questo post che ho pubblicato sul mio altro blog, "Il club di Groucho".

20 marzo 2013

Viva la libertà (Roberto Andò, 2013)

Viva la libertà
di Roberto Andò – Italia 2013
con Toni Servillo, Valerio Mastandrea
**1/2

Visto al cinema Arlecchino, con Sabrina.

L'ingessato politico Enrico Oliveri (Servillo), segretario della principale coalizione di sinistra ("il maggior partito di opposizione"), in crisi nei sondaggi e nella leadership, abbandona Roma e si rifugia in incognito a Parigi, ospite di una vecchia fiamma (Valeria Bruni Tedeschi). Visto il momento delicato ed essendo il politico irreperibile, il suo assistente Andrea (Mastandrea) decide di sostituirlo con un sosia, ovvero il fratello gemello Giovanni (sempre Servillo), scrittore e filosofo reduce da una casa di cura psichiatrica. Il comportamento e le dichiarazioni eccentriche di Giovanni (senza compromessi o peli sulla lingua) galvanizzano la gente e fanno riguadagnare consensi a lui e al partito, mentre nel frattempo a Parigi anche Enrico riesce a ritrovare sé stesso, le passioni che lo muovevano in gioventù (su tutte il cinema, arte basata sulla finzione non meno della politica) e persino l'amore. Tratto da un romanzo ("Il trono vuoto") dello stesso regista, un film dai toni vagamente surreali e tutto incentrato su un tema, quello del "doppio", già abbondantemente sfruttato sul grande schermo e in letteratura (a partire, ovviamente, da "Lo strano caso del Dottor Jekyll e di Mister Hyde" di Stevenson), cui si innesta quello del "fool" shakesperiano. È evidente che i due fratelli Enrico e Giovanni (che sin da giovani si scambiavano identità e fidanzate, come i gemelli di "Inseparabili" di Cronenberg) rappresentano le due metà opposte di uno stesso individuo: se viene a mancare la parte istintiva, i sentimenti, la "follia", si diventa un arido politico (di sinistra!); se viene a mancare la razionalità e il controllo, si diventa pazzi. Lo scambio di ruoli, invece, fa bene ad entrambi e li aiuta prima a riconoscere e poi a riconquistare la parte di sé perduta. Quando Enrico è pronto a tornare, infatti, Giovanni si fa da parte e "sparisce" letteralmente nel nulla (su una spiaggia, come in "Sotto la sabbia" di Ozon): in un certo senso viene "riassorbito" dal fratello (che nella scena finale ne manifesta alcuni comportamenti). Nonostante la grande prova "doppia" di Servillo (da notare che i due fratelli non compaiono mai insieme nella stessa scena), al film manca però qualcosa per sollevare le proprie tesi e i propri simboli oltre la soglia della banalità. Soprattutto la seconda parte porta avanti la vicenda con il pilota automatico, senza riservare sorprese o sviluppi degni di nota. Ai personaggi di contorno (a cominciare da quello interpretato da Mastandrea) manca il culmine dell'evoluzione, mentre la riflessione politica, nel migliore dei casi, pecca di ingenuità e di ottimismo. Le dichiarazioni di Giovanni non sono in realtà nulla di trascendentale o di rivoluzionario: sono "soltanto" sincere, chiare e dirette. Davvero semplicità e passione sarebbero sufficienti, in una paese come l'Italia, a guadagnare il favore degli elettori (cosa di cui spesso la sinistra si è illusa?). E davvero basta ballare il tango con la cancelliera tedesca, giocare a nascondino con il Presidente della Repubblica o citare una poesia di Brecht davanti agli elettori per raggiungere il 66% nei sondaggi? Curioso notare come diversi personaggi facciano riferimenti a protagonisti reali della scena pubblica e politica: il "viscido" rivale De Bellis, definito "elefante della politica", è ovviamente D'Alema (con tanto di baffetti); il dirigente che afferma "bisogna dare alla gente quel che vuole" (cui Andrea replica "La gente ama anche la merda, ma non vuol dire che gliela dobbiamo dare") è forse modellato su Renzi; l'anziano ideologo del Pci è probabilmente Ingrao; mentre lo stesso Oliveri, più che Bersani, ricorda Veltroni (con tanto di amore giovanile per il cinema; da sottolineare anche la battuta sull'arredamento della sede elettorale, che richiama il suo famoso loft). La colonna sonora saccheggia a più riprese l'ouverture de "La forza del destino" di Verdi (ma le citazioni verdiane, nell'anno del bicentenario, non finiscono qui: per dirne una, lo pseudonimo con cui il filosofo Giovanni pubblica i suoi libri è Ernani). Michela Cescon è la moglie di Enrico, Anna Bonaiuto è la collega di partito, la bella Judith Davis è la ragazza francese con cui Enrico ha un flirt.

19 marzo 2013

In compagnia dei lupi (Neil Jordan, 1984)

In compagnia dei lupi (The Company of Wolves)
di Neil Jordan – GB 1984
con Sarah Patterson, Angela Lansbury
***

Rivisto in DVD, con Giovanni e Paola.

Una ragazzina che abita in una casa nel bosco sogna di vivere in un villaggio medievale di contadini e di trovarsi alle prese con un branco di lupi mannari. La sua storia è inframmezzata dalle favole che le racconta la nonna, anche queste in tema. Tratto da alcuni racconti di Angela Carter (contenuti nell'antologia "La camera di sangue"), che ha contribuito all'adattamento cinematografico (ispirandosi anche a una versione radiofonica precedente), il film è una rivisitazione in chiave gotica e quasi horror della fiaba di Cappuccetto Rosso nella versione di Charles Perrault (anche se non mancano, qua e là, accenni ad altre celebri favole, da Biancaneve a la Bella Addormentata nel Bosco, ad Alice). Inevitabili, e anzi preponderanti, le suggestioni psicanalitiche e le allusioni al tema dello sviluppo della sessualità: la pellicola fa riferimento a più riprese al passaggio all'età adulta, con i lupi mannari che insidiano e in fondo attraggono la bambina che si addentra da sola nel bosco, pur messa in guardia dai genitori e dalla nonna sul "male" che alberga negli stranieri, ovvero negli uomini adulti. Simboli ed elementi come il colore rosso, il sangue sulla neve o i corpi che si trasformano, d'altronde, parlano chiaro. Ambigua e fascinosa l'atmosfera onirica (come detto, tutta la vicenda è in realtà sognata dalla protagonista), con la trasfigurazione dell'infanzia (i giocattoli abbandonati nel bosco, gli animali) e lo sviluppo delle prime pulsioni adulte (il rossetto, lo specchio), ammantate da una sorta di realismo magico che a tratti ricorda certe pellicole dell'est europeo (Švankmajer, Jireš: il film è particolarmente debitore a "Le fantasie di una tredicenne" di quest'ultimo). Non eccelsi gli effetti speciali (siamo nell'era pre-digitale): le trasformazioni degli uomini in lupi, per esempio, risultano inferiori a quella vista tre anni prima ne "Un lupo mannaro americano a Londra". Nel cast, anche Terence Stamp e Stephen Rea (habitué, quest'ultimo, del regista).

18 marzo 2013

Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (Jon Avnet, 1991)

Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (Fried Green Tomatoes)
di Jon Avnet – USA 1991
con Kathy Bates, Mary Stuart Masterson
**1/2

Visto in TV, con Sabrina.

In una casa di riposo per anziani, dove si è recata per fare visita alla scontrosa zia del marito, la casalinga Evelyn (Kathy Bates) fa conoscenza con la gioviale Ninny (Jessica Tandy), che le racconta – a più riprese – la storia dell'amicizia fra Idgie (Mary Stuart Masterson) e Ruth (Mary-Louise Parker), due donne che avevano vissuto negli anni trenta del Novecento in un paesino dell'Alabama ormai abbandonato, Whistle Stop, dove gestivano un caffé-ristorante. Tratto da un romanzo di Fannie Flagg (co-sceneggiatrice insieme al regista e a Carol Sobieski), una doppia storia di amicizia al femminile all'insegna dell'anticonformismo, dell'indipendenza e dell'emancipazione, con la narrazione che si alterna fra il racconto di Ninny e le scene ambientate nel presente (in cui la timida e infelice Evelyn impara ad acquistare fiducia in sé stessa), anche se non sempre il meccanismo del flashback risulta efficace. Pur scontando una confezione patinata e un po' ruffiana, la pellicola cattura l'attenzione dello spettatore e si lascia vedere con piacere. La parte più interessante è sicuramente quella ambientata nel passato, grazie soprattutto al personaggio di Idgie, "maschiaccio" ribelle, indipendente e dal carattere forte, che seguiamo attraverso vicende di ogni genere (la morte del fratello cui era legatissima; le scorribande di gioventù, fra treni e case da gioco; l'affetto per Ruth, che giunge a "salvare" da un matrimonio infelice; la gestione del caffé, che diventa il punto di riferimento per tutto il villaggio grazie a ricette culinarie come quella che dà il titolo alla pellicola; la ribellione alla prepotenza maschile e al razzismo dilagante verso i neri). Attorno a loro, vita, nascite, morti, e un gruppo di personaggi coloriti e caratteristici del profondo sud di inizio secolo (il vagabondo, lo sceriffo, il reverendo, i domestici neri, i razzisti del Ku Klux Klan...). Da notare che l'adattamento cinematografico ha scelto di mettere in ombra alcuni degli elementi più scabrosi del romanzo da cui è stato tratto (il cui titolo completo è "Fried Green Tomatoes at the Whistle Stop Cafe"), riducendo ai minimi termini il sottotesto lesbico del rapporto fra Idgie e Ruth, ed eliminando la scena dell'eutanasia di Ruth da parte della domestica di colore. Il film termina lasciando nel dubbio lo spettatore sulla reale identità dell'anziana Ninny, con il sospetto che si tratti di Idgie in persona. Ottime le quattro protagoniste. Nel cast, anche Chris O'Donnell (il fratello di Idgie) e Gailard Sartain (il marito di Evelyn).

17 marzo 2013

L'ultimo boy scout (Tony Scott, 1991)

L'ultimo boy scout (The last boy scout)
di Tony Scott – USA 1991
con Bruce Willis, Damon Wayans
***

Rivisto in TV, con Sabrina.

Joe Hallenbeck (Willis), un tempo un brillante agente dei servizi segreti (che in un'occasione aveva anche salvato la vita al Presidente degli Stati Uniti), è caduto in disgrazia e si guadagna da vivere come detective privato. Assunto come guardia del corpo da una spogliarellista (Halle Berry, allora sconosciuta), non riesce a salvarle la vita: ma indagando insieme a Jimmy (Wayans), fidanzato della ragazza e campione di football la cui brillante carriera si è a sua volta interrotta (è stato messo fuori squadra per uso di droghe), scoverà i responsabili e manderà all'aria il loro tentativo di corrompere un importante politico per legalizzare le scommesse clandestine nello sport professionistico. Scatenato action movie che il fratello di Ridley Scott dirige con polso e talento (si tratta indubbiamente di uno dei suoi film migliori), interpretato da un ispirato Willis che ben tratteggia un personaggio alcolizzato, malinconico e con seri problemi famigliari (la moglie lo tradisce con il suo miglior amico, la figlia tredicenne lo odia) ma che, nonostante tutto, non rinuncia all'etica e alla propria integrità (tanto da meritarsi, da parte di Jimmy, il nomignolo che dà il titolo alla pellicola): in poche parole, una rilettura del "perdente" di tante pellicole noir del passato. Ma il vero punto di forza del film, oltre alle violente e spettacolari scene d'azione (con il climax nello stadio da football), è rappresentato dalla sceneggiatura di Shane Black, un vero fiorilegio di battute e di dialoghi cinici e sarcastici. Non a caso Black è autore anche degli script della serie di "Arma letale" e di "Last Action Hero", tutte pellicole che hanno contribuito a smitizzare l'eroe d'azione, rendendolo irreale e autoironico, meno propenso a prendersi sul serio e più incline a sparare risposte taglienti nella vena dei film di Sergio Leone o dei fumetti dell'Uomo Ragno. Nella scena finale, Joe spiega a Jimmy questa filosofia: "Siamo negli anni novanta, non basta più tirare un cazzotto a qualcuno, bisogna prima dire una frase ad effetto". Buono il cast di contorno: Taylor Negron è il cattivo, Chelsea Field la moglie di Joe, Danielle Harris sua figlia.

15 marzo 2013

Il lato positivo (David O. Russell, 2012)

Il lato positivo (Silver Linings Playbook)
di David O. Russell – USA 2012
con Bradley Cooper, Jennifer Lawrence
**1/2

Visto al cinema Colosseo, con Marisa e Sabrina.

Reduce da otto mesi di ricovero in un ospedale psichiatrico (gli è stato diagnosticato un disturbo bipolare dopo un improvviso scatto d'ira in seguito alla scoperta del tradimento della moglie Nikki), Pat Solitano si ritrova senza casa e senza lavoro. Torna dunque ad abitare dai genitori e manifesta una nuova filosofia di vita, all'insegna dell'ottimismo e della ricerca del "lato positivo" di ogni cosa. Nonostante tutti gli suggeriscano di voltare pagina, è convinto di poter riallacciare i rapporti con la moglie, che nel frattempo si è trasferita, dimostrandole di essere cambiato e di meritare dunque il suo "perdono". Ma a cambiarlo davvero sarà l'incontro con Tiffany, giovane vedova che dopo la morte del marito è diventata sessuomane e sociopatica: i due parteciperanno insieme a una gara di ballo, e gli sforzi per portare avanti questo progetto – che implica responsabilità, collaborazione e autodisciplina – li faranno non solo trovare un nuovo equilibrio psicofisico, ma anche innamorare. Una gradevole commedia romantica ed esistenzialista, ben scritta (la sceneggiatura si ispira a un romanzo di Matthew Quick) e recitata (notevoli i comprimari, su tutti Robert De Niro nel ruolo del padre di Pat, appassionato tifoso della squadra di football dei Philadelphia Eagles, schiavo delle superstizioni e delle scommesse; ma ci sono anche Jacki Weaver, Chris Tucker, Julia Stiles, John Ortiz, Shea Whigham e Anupam Kher), che però non sfugge alla prevedibilità e all'immancabile lieto fine di ogni classico film romantico o di riscatto, con il culmine nella gara di ballo che sancisce la vittoria finale su più fronti. Se durante la visione riesce a divertire e ad intrattenere per un paio d'ore, una volta terminata non lascia la sensazione di aver assistito a qualcosa di particolarmente profondo, e francamente le otto nomination agli Oscar (con una sola statuetta vinta, quella assegnata a Jennifer Lawrence come miglior attrice) sono esagerate. Interessante comunque la caratterizzazione del protagonista, che pensa di dover essere "perdonato" dalla moglie e non vede invece le responsabilità di lei. Macchiettistici gli altri personaggi (dallo psicanalista che si trasforma a sua volta in uno scatenato tifoso di football, ai vari amici di Pat). Il titolo originale fa riferimento al quaderno delle tattiche di gioco (Playbook) delle squadre di football, per l'occasione con i bordi delle pagine argentati (Silver Linings) come le buone intezioni di cui è foderata la nuova "strategia di vita" di Pat.

12 marzo 2013

Close up (Abbas Kiarostami, 1990)

Close Up (Nema-ye Nazdik)
di Abbas Kiarostami – Iran 1990
con Hossain Sabzian, Hossain Farazmand
***1/2

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli, con Eleonora, Paola, Marta, Sabrina.

Spacciandosi per il celebre regista Mohsen Makhmalbaf (ai tempi reduce dal successo de “Il ciclista”, e in seguito autore di “Viaggio a Kandahar”), un operaio disoccupato (Hossein Sabzian) conquista l'amicizia dei membri di una ricca famiglia di Teheran, gli Ahankhah, e inizia a frequentarli assiduamente, suggerendo di usare la loro casa come set per il suo prossimo film e promettendo anche un ruolo da attore a uno dei figli. Scoperto e arrestato, ammette la truffa ma spiega anche di non aver avuto cattive intenzioni o secondi fini, se non quello di "vivere" nel ruolo che aveva sempre desiderato. Kiarostami ha avuto l'idea di realizzare un film sulla vicenda dopo aver letto la notizia su un giornale. Il risultato è una vertiginosa “riflessione sul potere del cinema”, come l’ha definito Nanni Moretti nel suo cortometraggio “Il giorno della prima di Close Up”; il film più metacinematografico della cinematografia più metacinematografica di tutte, quella iraniana (basti pensare a titoli come “Lo specchio”, “Pane e fiore”, “Sotto gli ulivi” o “Salaam Cinema”); il capolavoro “filosofico” (più che neorealista) del regista; ma anche molto altro (una profonda indagine sull'identità, per esempio, o sull'ossessione per l'arte). A parte le scene del processo, che sono reali (ma Kiarostami era presente con una sua telecamera per riprendere l’udienza, e tutti ne erano consapevoli), il resto è stato ricostruito con l’aiuto degli stessi protagonisti del fatto, che dunque interpretano sé stessi. In poche parole, Sabzian recita nel suolo di sé stesso che recita nel ruolo di Makhmalbaf: come credergli, allora, quando afferma “In questo momento non sto recitando?”. Oltre a lui, però, anche gli altri attori sono contemporaneamente "veri" (interpretano sé stessi, ripropongono ciò che è successo realmente) e "fasulli" (si tratta comunque di una messa in scena): tutti recitano una parte, anche quando in realtà non lo fanno, come in una sorta di "falso documentario". Per questo motivo "Close Up" (il titolo significa "primo piano", "inquadratura ravvicinata": ma non sempre i dettagli si distinguono meglio da vicino!) è un complesso intreccio fra realtà, finzione e metacinema, con tanto di messa in scena spoglia ed essenziale, e persino di "finti" tempi morti – come nella sequenza della lunga attesa dell'autista del taxi davanti alla villa della famiglia Anankhah (con l'interminabile inquadratura della lattina che rotola lungo la strada) – o "finti" problemi tecnici (l'audio che va e viene nella celeberrima scena finale, quella in cui Sabzian e il "vero" Makhmalbaf viaggiano in motorino per le strade di Teheran; da notare che la stessa "trovata" dell'audio difettoso sarà riproposta da Jafar Panahi ne "Lo specchio"). Molto interessante anche il sottotesto sociale, che illustra la forza del cinema e l'importanza che questa forma d'arte investe per ampi strati della popolazione, non importa se si tratta di poveri (come Sabzian) o di benestanti (come gli Ahankhah): per tutti il cinema è una fonte di sogni, di speranze, un modo per allargare la propria visione del mondo e per ampliare i propri orizzonti, anche al punto di ingannare o di lasciarsi (consapevolmente?) ingannare. A un certo punto, alcuni membri della famiglia affermano addirittura di aver presto compreso di trovarsi di fronte a un truffatore, ma di aver continuato a far finta di crederci pur di permettere agli altri parenti (come la madre, per esempio) di proseguire a vivere nel loro sogno. In un paese pieno di difficoltà contingenti (pur ricchi, anche i figli degli Ahankhah hanno problemi nel trovare un lavoro; entrambi sono laureati in ingegneria, ma il maggiore si è adattato a lavorare in un panificio mentre il secondo è disoccupato), l'idea di diventare sia pure per un breve momento un attore o un regista può essere molto allettante: e chissà come i vari personaggi hanno reagito alla richiesta di Kiarostami, quando ha proposto loro di realizzare davvero un film sulla loro vicenda. Nota a margine: divertente l'incipit con il giornalista con il mito di Oriana Fallaci (il film precede di oltre dieci anni l'attentato delle Twin Towers e l'uscita de "La rabbia e l'orgoglio", ovviamente).

11 marzo 2013

Il giorno della prima di Close Up (N. Moretti, 1996)

Il giorno della prima di Close Up
di Nanni Moretti – Italia 1996
con Nanni Moretti
***

Rivisto in DVD, con Eleonora, Paola, Marta, Sabrina.

Un breve documentario in cui Nanni Moretti racconta, in prima persona, la giornata in cui al suo cinema “Nuovo Sacher” di Roma debutta la pellicola iraniana “Close Up” di Abbas Kiarostami (di cui si intravede una sola scena, quella finale). Con la sua autoironica puntigliosità e una maniacale attenzione ai dettagli, Nanni controlla al millimetro le dimensioni dei flani pubblicati sui quotidiani, verifica l’assortimento dei sandwich offerti nel bar del cinema e la disposizione dei libri in vendita nell'atrio della sala, si assicura che la cassiera fornisca al telefono le giuste indicazioni e che “invogli” all’ingresso i clienti che si mostrano riottosi verso un film con i sottotitoli, suggerisce al proiezionista un impercettibile aggiustamento del quadro (“Alza di mezzo quarto di punto... alza di quel poco che io non mi accorga che tu hai alzato”), e infine, prima di andare a dormire, si accerta che il film sia piaciuto e paragona gli incassi a quelli delle altre sale della città (che proiettano blockbuster come “Il re leone” o "Il mostro"). Come sempre Moretti mette in scena tutto sé stesso e riesce a ritrarre la passione estrema per il cinema vista, per una volta, non dal lato della domanda (lo spettatore) ma da quello dell’offerta (l'esercente della sala cinematografica).

6 marzo 2013

Tempesta di ghiaccio (Ang Lee, 1997)

Tempesta di ghiaccio (The Ice Storm)
di Ang Lee – USA 1997
con Kevin Kline, Joan Allen
***

Rivisto in TV, con Sabrina.

Agli inizi degli anni settanta, in una cittadina del Connecticut, due famiglie dell’alta borghesia vivono una crisi su più livelli. Ambientato in un periodo tumultuoso della storia americana, fra mutamenti politici (in televisione imperano Nixon e il caso Watergate), sociali (è l’epoca della rivoluzione sessuale, degli scambi di coppia e del libero consumo di droghe) e generazionali (l’incomunicabilità fra genitori e figli, le cui esperienze scorrono su binari paralleli), il quinto film di Ang Lee (alla sua seconda regia “occidentale”, dopo “Ragione e sentimento”) è un ritratto profondo ed esistenzialista del malessere “privato” dell’America, scritto da James Schamus (lo sceneggiatore di fiducia di Lee) a partire da un romanzo di Rick Moody. Il sedicenne Paul Hood (Tobey Maguire) torna a casa dal college per trascorrere in famiglia il giorno del Ringraziamento. Il padre, Ben (Kevin Kline), tradisce la moglie Elena (Joan Allen) con l’amica Janey Carver (Sigourney Weaver). Elena, dal suo canto, soffre di depressione e ha inclinazioni cleptomani simili a quelli dell’altra figlia, la quattordicenne Wendy (Christina Ricci), una ribelle in piena tempesta adolescenziale che sta cominciando a scoprire e a sperimentare il sesso con i due figli dei Carver, il curioso e intelligente Mikey (Elijah Wood) e l’apatico e distruttivo Sandy (Adam Hann-Byrd). Noia e disillusione fra gli adulti, confusione e paura fra i ragazzi, portano le due famiglie sull’orlo della catastrofe (esemplare la mancanza di comunicazione fra genitori e figli, perfettamente rappresentata dalla scena in cui Ben prova inutilmente a intavolare un discorso sul sesso con il figlio Paul). Tutti i nodi verranno al pettine nella notte in cui la pioggia e le temperature gelide daranno origine all’insolita “tempesta di ghiaccio” che dà il titolo alla pellicola. Ma la tragedia finale, che si riflette nella gelida indifferenza della natura, potrà forse servire a scuotere almeno in parte le loro coscienze (con il riavvicinamento, finalmente, dei membri della famiglia Hood). La collocazione temporale è rafforzata dall’inserimento nel film di elementi storici, sociali e culturali (Nixon in tv, il film “Gola profonda”, un albo dei “Fantastici Quattro” che Paul legge come metafora del ruolo della famiglia, un manifesto di “Jesus Christ Superstar”, la musica di Frank Zappa e David Bowie). Grandioso il cast, fra attori affermati che danno vita a interpretazioni intense e sofferte (Kline, Allen, Weaver) e giovani promesse che negli anni a venire dimostreranno tutte le loro potenzialità (Ricci, Wood, Maguire, più Katie Holmes e David Krumholtz). L’ottima colonna sonora gioca con le sonorità degli anni settanta, mentre la fotografia di Frederick Elmes contribuisce a creare la giusta atmosfera. E poi c’è la regia di Lee, lucida, con un’ottima direzione degli attori e un fermo controllo sulla materia trattata, a dimostrazione di un talento davvero versatile.

5 marzo 2013

Segnali dal futuro (Alex Proyas, 2009)

Segnali dal futuro (Knowing)
di Alex Proyas – USA 2009
con Nicolas Cage, Chandler Canterbury
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Visto in TV, con Sabrina.

Nel 1959, per l’inaugurazione di una scuola elementare, viene seppellita una “capsula del tempo” destinata a essere aperta cinquant’anni dopo. Al suo interno sono collocati alcuni disegni con cui gli studenti immaginano come sarà il futuro. Ma un’alunna, Lucinda, anziché un’immagine realizza un’inquietante lista di numeri. Nel 2009, alla riapertura della capsula, la lista finisce nelle mani di Caleb, figlio di Jonathan (Nicolas Cage), un insegnante di astrofisica al MIT. Questi si rende presto conto che le cifre rivelano le date, le coordinate geografiche e il numero di vittime dei maggiori incidenti avvenuti nel corso degli ultimi anni: e le ultime tre catastrofi indicate dal foglio (l’ultima delle quali di proporzioni globali) devono ancora verificarsi… Un thriller paranormale realizzato dal regista de “Il corvo” e “Dark City” nella vena di M. Night Shyamalan, con annessa catastrofe finale e suggestioni fra il fantascientifico e il soprannaturale (gli esseri che inviano i “segnali” ai bambini sono alieni oppure angeli?). A tratti la tensione è notevole e le suggestioni horror sembrano funzionare, ma in più punti il film perde credibilità per via di una sceneggiatura che pare costruita a tavolino per portare avanti la vicenda e di un finale in cui non tutto torna. Lo scienziato che va in crisi di fronte a eventi che suggeriscono un universo deterministico, con tanto di riavvicinamento alla religione, non può certo suscitare simpatia, e Cage fa poco per renderlo credibile e umano. L’idea della capsula del tempo e delle previsioni che si avverano ricorda il manga “20th Century Boys” di Naoki Urasawa. Solo un vezzo d’autore il sofisticato piano sequenza in cui il protagonista si trova coinvolto in un incidente aereo sull’autostrada. Nella colonna sonora di Marco Beltrami spiccano brani classici (“I pianeti” di Holst, l’Allegretto della settima sinfonia di Beethoven).