13 gennaio 2013

Cloud Atlas (Wachowski, Tykwer, 2012)

Cloud Atlas (id.)
di Andy e Lana Wachowski, Tom Tykwer – Germania 2012
con Tom Hanks, Halle Berry, Bae Du-na
***1/2

Visto al cinema Colosseo.

"Tutto è connesso", recita la frase di lancio di un film affascinante e complesso, che racconta in parallelo sei vicende ambientate in epoche diverse (tre di queste sono state dirette dai fratelli Wachowski – che dai tempi di "Matrix" sono diventati un fratello e una sorella – e tre dal talentuoso Tom Tykwer, il regista tedesco di "Lola corre"), apparentemente scollegate l'una dall'altra ma in realtà unite non solo dal ricorrere di temi ed elementi comuni (la libertà e la schiavitù; la ricerca della verità; il cambio di prospettive; la fuga attraverso l'arte) e di attori (praticamente ogni interprete recita – camuffato in vario modo – in tutti e sei gli episodi) ma anche per il modo in cui, attraverso il tempo e lo spazio, la vita e le azioni di ciascun individuo hanno una diretta influenza su quelle degli altri; e non importa se ciò avviene attraverso i fatti oppure mediante sogni, visioni, percezioni. Al punto che "un unico atto di gentilezza si propaga attraverso i secoli per ispirare una rivoluzione in un lontano futuro". Ed è proprio questo "passaggio di testimone", che può non essere colto se si guarda a un episodio per volta, a rendere più ampio il risultato finale e a mostrare come ogni periodo dell'umanità e ogni azione di un singolo uomo abbia una profonda influenza non solo sul suo presente ma anche sul suo futuro (confutando l'affermazione dell'uomo d'affari del primo episodio, che di fronte al desiderio del suo genero di lottare per l'abolizione della schiavitù, afferma che un tale atto non produrrà nulla e sarà solo una goccia nell'oceano. "Ma l'oceano è fatto di gocce", ribatte lui). Se il sottotesto filosofico e karmico (ci sono di mezzo anche le reincarnazioni) poteva rischiare di appesantire il film, ciò non avviene perché esso è appunto veicolato in maniera naturale e mai pedante: gli autori lasciano che esso fluisca dagli eventi che ci mostrano, senza mai mollare la presa sulla narrazione e riuscendo – cosa più unica che rara – a portare a termine le sei storie con un montaggio serrato che spazia dall'una all'altra, senza smarrire per strada l'attenzione dello spettatore. Merito, oltre che di una buona sceneggiatura (che offre tanti e tali spunti, rimandi, riferimenti e citazioni, da non riuscire a tenerne il conto), anche di un cast davvero fenomenale, di cui parleremo fra poco.

Nel 1849, l'avvocato Adam Ewing (Jim Sturgess) sta attraversando in nave l'Oceano Pacifico per riportare al suocero, un ricco uomo d'affari della California, un lucroso contratto firmato con il proprietario di una piantagione. L'incontro con uno schiavo maori che sogna la libertà e che gli salverà la vita durante la traversata, cambierà ogni sua idea, al punto da spingerlo a ribellarsi al potente suocero. Nel 1936, a Edimburgo, il giovane musicista gay Robert Frobisher (Ben Whishaw) si fa assumere come copista dall'anziano e celebre compositore Vygan Ayrs. Vivendo al suo fianco, troverà l'ispirazione per scrivere a sua volta un capolavoro, il "Cloud Atlas Sextet": ma quando il maestro vorrebbe impadronirsene e pubblicarlo con il proprio nome, minacciando di rivelare al mondo il suo passato non proprio cristallino, Robert lo ferisce e si dà alla fuga, per completare il proprio lavoro in clandestinità prima di suicidarsi. Nel 1973, a San Francisco, la reporter Luisa Rey (Halle Berry) indaga sulle attività clandestine di una potente azienda che opera nel campo dell'energia, spinta da indiscrezioni che le sono state fornite dal fisico nucleare Rufus Sixmith. Quest'ultimo viene ucciso da un misterioso sicario, e anche Luisa si ritrova in pericolo, avendo scoperto che la corporazione, al soldo delle lobby petrolifere, vorrebbe provocare un disastro in un reattore nucleare. Nel 2012, l'editore britannico Timothy Cavendish (Jim Broadbent) viene rinchiuso dal rancoroso fratello in un ospizio per anziani, gestito con il pugno di ferro dalla tirannica infermiera Noakes. Con l'aiuto di un gruppo di arzilli vecchietti, Timothy organizzerà un piano di fuga. Nel 2144, in un mondo distopico e totalitaristico, Somni-451 (Bae Du-na) lavora come "servente" in un ristorante nella megalopoli di Neo Seoul. Come tutti coloro che sono nati "artificialmente" (ossia in provetta, a differenza dei "purosangue" che nascono in maniera naturale), non ha diritti ma solo doveri, e ignora persino che sia possibile una vita diversa. L'incontro con Hae-Joo Chang, membro di un gruppo di ribelli che l'aiuta a fuggire, la porterà a scoprire un nuovo mondo e diventerà l'ispiratrice di una prossima rivoluzione. In un futuro post-apocalittico (i titoli di coda dicono che siamo nel 2321), 106 anni dopo "la caduta" (un cataclisma di origine nucleare), l'umanità ha ormai abbandonato la Terra per trasferirsi su colonie in altri pianeti, lasciando dietro di sé pochi individui che vivono divisi in sparuti gruppi: i "prescelti", privilegiati che vivono in isolamento e hanno conservato la conoscenza della tecnologia, e alcune tribù ridotte a uno stato barbarico e semi-primitivo, in perenne guerra fra loro. Fra queste ci sono gli abitanti della valle dove vive Zachry (Tom Hanks), tormentato da un fantasma misterioso e diabolico. L'arrivo della "prescelta" Meronym, in cerca di un modo di comunicare con le colonie extraterrestri, cambierà il suo mondo.

Il film (formalmente di produzione tedesca, al punto che è stato battezzato dai media "il primo blockbuster della Germania", dimenticandosi di cosucce come "Metropolis"...) è tratto dall'omonimo romanzo del britannico David Mitchell (in italiano pubblicato col titolo "L'atlante delle nuvole"), dove il meccanismo delle "storie contenute in altre storie", come scatole cinesi, era ancora più esplicito ed evidente (ogni vicenda era raccontata, letta o vista dal protagonista della storia successiva). Anche nella pellicola, comunque, ci sono questi collegamenti: Il diario di viaggio di Adam (1849) viene letto da Robert nel 1936 e contribuisce ad ispirare la sua composizione. La musica di Robert viene ascoltata da Luisa nel 1973, che ne legge anche le lettere indirizzate all'amante Rufus Sixsmith, anzi è l'incontro con quest'ultimo in persona a dare il via alla sua indagine. La storia di Luisa – come preannunciato dal suo giovane amico ispanico – diventa un libro, anzi un manoscritto che viene recapitato nel 2012 a Timothy Cavendish, che lo porta con sé nella casa di ricovero. L'avventura di Cavendish, il suo anelito per la libertà (con tanto di citazione da Solženicyn) e la sua ardita fuga si trasformeranno in un film, che sarà visto nel 2144 da Somni-451 e ispirerà il suo animo rivoluzionario. La testimonianza di Somni, infine, tramandata da generazione in generazione, si ammenterà di un'aura religiosa: le tribù barbariche nel 2321 la venereranno come una dea, mentre per i "prescelti" sarà comunque un'importante figura di riferimento. Oltre a quelle intertestuali, sono poi innumerevoli le citazioni, i rimandi e i riferimenti a libri, film, poesie, opere musicali "esterne", molte addirittura esplicite, che arricchiscono le vicende in profondità. Ne cito una su tutte: nel 2012 Cavendish grida, durante la sua ribellione, "Soylent Green is people!", la celebre frase che conclude il capolavoro fantascientifico "2022: i sopravvissuti" di Richard Fleischer con Charlton Heston. Ebbene, la trama di quel film riecheggia in modo impressionante gli eventi che si svolgono a Neo Seoul nel 2144, con tanto di scoperta che i corpi degli umani defunti vengono "riciclati" per produrre il "sapone" di cui sono costretti a nutrirsi.

Acclamata da una (piccola) parte della critica, la pellicola è stata invece male accolta da chi l'ha accusata di essere eccessivamente ambiziosa o addirittura caotica e confusa. A torto: perché seguirla, pur nella sua stratificazione, non è difficile. E non solo perché le varie storie, anche se corrono in parallelo, sono comunque lineari (non ci sono salti temporali, flashback o contorcimenti narrativi), ma anche perché ciascuna di esse ha un proprio look e un proprio tono che la rende diversa dalle altre. E non mancano i punti di riferimento cinematografici: l'episodio del 1973, per esempio, si rifà chiaramente alle pellicole di blaxploitation di quegli anni, come il celebre "Shaft", oppure ai film di fantapolitica e di indagine poliziesca; quello del 2012 è quasi una commedia, dai toni grotteschi e surreali (merito anche della comicità del protagonista, Jim Broadbent), ma con richiami a "Qualcuno volò nel nido del cuculo" (vedi l'infermiera Noakes); il mondo futuristico del 2144 richiama naturalmente "Blade Runner", "Il quinto elemento" ma anche sparute pellicole di SF giapponesi e coreani ("The resurrection of the little match girl"), e così via. Le regie di autori diversi non rappresentano in questo caso un handicap, ma contribuiscono ulteriormente a differenziare fra loro le storie. In ogni caso, bravi sia i Wachowski (che hanno diretto gli episodi più fantascientifici o avventurosi: quelli del 1849, del 2144 e del 2321) che il talentuoso Tykwer (dallo stile più classico, responsabile dei segmenti del 1936, del 1973 e del 2012). Tornando alle citazioni, un riferimento fondamentale – che pochi hanno colto ma che mi sembra evidente – è quello del manga giapponese "Le bizzarre avventure di JoJo" di Hirohiko Araki: il film lo ricorda per le avventure ambientate in epoche diverse ("JoJo" è diviso in varie serie, che partono appunto dall'ottocento per poi proseguire negli anni trenta del novecento, ai giorni nostri, nel futuro, e così via), ma anche per dettagli minori come la voglia a forma di stella (qui una cometa) che è sempre presente sul corpo dei protagonisti delle varie storie... E c'è persino uno "stand"! Mi riferisco, naturalmente, al fantasma che appare a Zachry nell'ultimo episodio, visibile a lui solo, che gli parla e influenza le sue azioni: anche nell'aspetto ricorda certe creazioni grafiche di Araki, con tanto di cappello a cilindro (che peraltro richiama quello indossato da Adam nel primo episodio: un altro ciclo che si chiude!).

Eccezionale – come dicevo – il cast, per varietà e composizione (che bello vedere come l'attrice coreana Bae Du-na, mia beniamina già da diversi anni, sia stata finalmente notata e scoperta anche da Hollywood!) ma soprattutto per la capacità interpretativa (su tutti mi sono piaciuti Halle Berry e Jim Broadbent, ma nessuno sfigura e persino Tom Hanks e Hugh Grant riescono a sorprendere in più occasioni). Come già sottolineato, quasi tutti gli attori ricompaiono in tutti gli episodi: a volte da protagonisti, a volte in piccole parti; a volte camuffati con pesanti trucchi che li rendono quasi irriconoscibili, a volte addirittura in ruoli femminili (gli attori maschi) o maschili (le femmine). Tom Hanks, oltre a Zachry (2321, ma anche nel prologo e nell'epilogo ambientato ancora più nel futuro), è dunque anche il medico avvelenatore nel 1849, il portiere d'albergo nel 1936, l'impiegato che consegna il dossier nucleare a Luisa nel 1973, lo scrittore gangster nel 2012, l'attore che interpreta Cavendish nel film del 2144. Halle Berry, oltre a Luisa Rey (1973), è anche una maori nel 1849, la moglie dell'anziano compositore nel 1936, e soprattutto la "prescelta" Meronym nel 2321. Jim Broadbent, oltre a Cavendish nel 2012, è il capitano della nave nel 1849 e il compositore nel 1936. Jim Sturgess, oltre ad Adam nel 1849, è Hae-Joo Chang nel 2144 e il cognato di Zachry nel 2321. Bae Du-Na, oltre a Somni nel 2144 (in più ruoli, e concedendoci anche una scena di nudo!), è anche la moglie di Adam nel 1849 e la messicana nel 1973. Ben Whishaw, oltre a Robert Frobisher nel 1936, è anche Georgette, la cognata di Cavendish, nel 2012. Ma oltre a questi ruoli ce ne sono tanti altri, ancora più "minori": la visione dei titoli di coda, dove vengono mostrate tutte le "incarnazioni" (è la parola giusta) degli attori, riserva non poche sorprese, visto che in certi casi gli interpreti sono davvero irriconoscibili, soprattutto quando si tratta di personaggi del sesso opposto (ci sarà stato lo zampino, in questa scelta, di Lana Wachowski?). Incidentalmente, la cosa ha anche generato una stupida polemica: un'associazione si è lamentata perché alcuni personaggi di Neo Seoul erano interpretati da attori occidentali "truccati" con gli occhi a mandorla, come ai tempi delle yellowfaces (in particolare Jim Sturgess nei panni di Chang), anziché usare veri attori asiatici. Evidentemente questi sedicenti paladini dei diritti altrui non si sono resi conto che uno degli scopi del film era proprio quello di mostrare, per dirla con le parole dei Wachowski, "la continuità delle anime": tanto che ci sono anche asiatici nel ruolo di occidentali (la suddetta Bae Du-na), neri in ruoli di bianchi (e viceversa), e appunto maschi nel ruolo di femmine (e viceversa).

La stessa varietà di apparizioni vale anche per il cast di contorno, pure questo di notevole livello. Parliamo infatti di Susan Sarandon (il primo amore di Cavendish nel 2012; la sciamana nel 2321; e altro ancora), Hugo Weaving (il suocero di Adam nel 1849; il killer nel 1973; l'infermiera Noakes nel 2012; il fantasma diabolico nel 2321; e altro ancora), Hugh Grant (il boss della corporazione nel 1973; il fratello di Cavendish nel 2012; e altro ancora), James D'Arcy (Rufus Sixsmith sia nel 1936 che nel 1973; l'archivista nel 2144), e inoltre Zhou Xun, Keith David, David Gyasi... Da notare come Hugo Weaving faccia praticamente il cattivo in ogni episodio! Al contrario, altri personaggi (ed ecco perché è giusto chiamarle "incarnazioni") compiono un viaggio karmico attraverso il tempo, alternando vite "positive", "negative" o "neutrali", e portando con sé elementi, luoghi e sensazioni che si ripeteranno lungo lo scorrere del tempo (pensiamo a quante volte vengono citati certi luoghi, per esempio: l'Oceano Pacifico, la California, la Scozia, la Corea...). La gestazione del film è stata lunga e travagliata: l'idea iniziale di adattare il romanzo di Mitchell è stata di Tykwer, che ha poi coinvolto i Wachowski, avendo questi opzionato i diritti del testo. Più volte, per problemi di budget, la produzione ha rischiato di abbandonare il progetto: l'entusiasmo di coloro che erano stati coinvolti, come Tom Hanks, ha contribuito a portarlo avanti. La colonna sonora è stata composta dallo stesso Tom Tykwer (con i suoi soliti collaboratori Reinhold Heil e Johnny Klimek) ed è ricca di fascino: da ricordare soprattutto il brano orchestrale che, nel film, è composto da Robert Frobisher e che riecheggia in tutti gli altri segmenti: anch'esso è protagonista di un "ciclo karmico", visto che dal futuro torna nel passato: Vygan Ayrs lo ode in un sogno ambientato nella "mangeria" del 2144 dove lavora Somni-451. E Luisa Rey afferma di conoscerne già la musica prima ancora di udirla in un disco per la prima volta.... Un'ultima riflessione da fare è quella relativa al linguaggio, soprattutto nei due episodi ambientati nel futuro. La lingua ha evoluzioni, alcune parole mutano di significato e altre si semplificano mentre ne nascono di nuove, ma soprattutto è la grammatica a cambiare, al punto che – pur rimanendo intellegibile – la lingua parlata nel 2144 e soprattutto nel 2321 è profondamente diversa da quella del passato e del presente. Anche in questo si nota la cura nella realizzazione del film (e, per una volta, nell'adattamento italiano).

6 commenti:

marco c. ha detto...

Non mi sento poi così entusiasta di questo film. Per tutto il tempo ho pensato che volevo rivedere "L'Intendente Sansho". Dici che il mio subconscio ha prodotto delle associazioni di idee subliminali? L'unica parte che mi è davvero piaciuta è quella ambientata nel 2300, mentre la scena cult è il critico che vola dal balcone con conseguente effetto splatter. L'effetto sul pubblico in sala è stato discordante, alcuni hanno gridato al miracolo, la maggior parte invece sembrava lievemente frastornata ed insoddisfatta. Comunque non credo che avrà molto successo, né di pubblico né di critica. Molti recensori parlano apertamente di "fallimento spettacolare". Credo che la Germania voglia soffiare agli USA una parte importante del mercato del cinema in Europa attraverso dei Blockbuster dispendiosi e ben realizzati. Non credo che Cloud Atlas sia la strada giusta per fare incassi e nemmeno sia la strada migliore per spendere finanziamenti con cui si potrebbero sovvenzionare dei film autoriali sicuramente molto migliori.

Christian ha detto...

Io, come vedi, sono fra quelli che lo ritengono (quasi) un capolavoro... Certo, siamo di fronte più a un blockbuster (per di più tratto da un best seller) che a un film d'autore, anche se il "tocco" dei Wachowski e soprattutto di Tykwer (nel segmento del compositore, per esempio) si vede. In ogni caso mi sono parecchio appassionato durante la visione, cosa che invece non mi è successa per pellicole attualmente in sala e ben più celebrate, come "The master" di P.T. Anderson, che non mi ha mai dato la sensazione di essere coinvolto. E mi sono piaciuti i diversi "toni" dei racconti, come l'atmosfera anni '70 dell'episodio con Halle Berry e la comicità grottesca di quello con Jim Broadbent, e il modo in cui vengono fusi fra loro...

Concordo comunque quando dici che avrà poco successo di pubblico e di critica. Già è stato snobbato agli Oscar. Ma gran parte del pubblico non è proprio in grado di accettare un film dalla struttura appena un filino più complicata della media: penso alle reazioni sguaiate e spropositate cui ho assistito di persona alle proiezioni di "Memento" o "Se mi lasci ti cancello", che peraltro erano davvero più contorti e complicati di questo (in "Cloud Atlas" le storie sono lineari, è solo il montaggio in parallelo che può spiazzare, oltre alla fatica di dover seguire sei storie anziché una).

marco c. ha detto...

Il film mi è un po' cresciuto dentro, infatti questa mattina ripensavo alla struttura della trama e ne ho capito il faticoso meccanismo di equilibrio che si è cercato di ottenere attraverso un montaggio accuratamente soppesato in fase di post-produzione. Inoltre ho ripensato anche ad alcuni episodi, in particolar modo alla sezione del musicista ed a quella del post-apocalittico. Credo che siano le due parti migliori. Anche se al momento non ho apprezzato per nulla l'episodio della clinica geriatrica, alla fine ho compreso la sua necessità all'interno di un film di una lunghezza imponente che richiede necessariamente alcuni momenti di pausa. Ho notato durante la proiezione che il pubblico apprezzava l'episodio post-apocalittico e quello dei vecchietti. Sono d'accordo con te quando evidenzi che l'episodio della composizione del sestetto "l'atlante delle nuvole" sia ben girato, se ne potrebbe trarre uno spin-off sicuramente interessante. La citazione dei film "coloured" invece era indigeribile.
Tuttavia non sono ancora pienamente convinto, Forse sei storie sono troppe, ma d'altronde il sei è il numero di questo film: il sestetto è la sua cifra simbolica.
Permettiti infine di farti un'osservazione sui tuoi gusti personali in fatto di cinema: rileggendo la tua lunga recensione e sovvermandomi sulle date che hai riportato così puntigliosamente ho subito ricordato i tuoi articoli di anni fà su Heimat e su un paio di altri film corali italiani. Se questo film ti ha così coinvolto vuol dire che deve avere qualche contatto strutturale con lo stilema tipico del film corale e infatti, anche se non sembra ad una prima visione, questo è un film corale: le singole parti sono slegate e distanziate da secoli e i personaggi sono così diversi per lingua, razza, valori umani e morali ma sono tutti parti di un insieme. Leggevo ieri notte una critica che stigmatizzava come fossero sei "storielle" che prese singolarmente hanno poco peso, ed infatti è proprio così, devono essere lette in maniera unitaria, come d'altronde suggerito dallo stesso montaggio nello scorrere scorrere da una scena di un episodio immediatamente alla scena dell'episodio successivo con una dialettica visiva che permette il passaggio del testimone della narrazione non solo a livello di significato ma anche di significante grafico e mi riferisco, per fare un esempio, alla scena dell'indigeno che stende la vela dell'albero maestro che viene inframmezzata dalla scena a Neo-Seoul con l'inseguimento e sparatoria sulla passerella tra i grattacieli. Davvero, come dici tu: "la continuità delle anime".
fine prima parte

marco c. ha detto...

seconda parte
Un'ultima riflessione su un punto importante: il diverso livello dei registi. Scrivi: "...bravi sia i Wachowski (che hanno diretto gli episodi più fantascientifici o avventurosi: quelli del 1849, del 2144 e del 2321) che il talentuoso Tykwer (dallo stile più classico, responsabile dei segmenti del 1936, del 1973 e del 2012)". Non credo che i Wachowski fossero quelli dallo stile meno "classico", alla fine non hanno fatto altro che riprendere il loro repertorio classico e aggiungere citazioni hollywoodiane da Blade Runner e affini, ma comunque sempre restando all'interno di un linguaggio molto standardizzato. Invece bisogna riconoscere a Tykwer di aver mischiato i generi in maniera eterogenea senza badare a ciò che avrebbero detti i critici (preventivamente scaraventati giù da un palazzo) e soprattutto di aver avuto il coraggio - incredibile - di aver messo una storia gay con tanto di scena a letto con bacio in un blockbuster. Ti dico solo che la persona che era al cinema con me mi ha detto che sicuramente questo era uno spezzone dei Wach Bros (per via di Lana) ma io ho subito replicando dicendo:"Ti pare che gli americani potrebbero mettere una roba del genere in un film di massa?".
Avrei altro da scrivere ma vorrei prima vedere qualche film di Anderson per fare i dovuti confronti con "The Master". Se ne parla un gran bene, francamente non so che dirti. Non mi fido più molto né dei critici né dei consumatori. Ormai per scegliere che film vedere vado molto a naso e qualche volta mi aiuto con il tuo blog, come nel caso di Cloud Atlas, non volevo accompagnare l'amico spettatore ma dopo mi sono convinto quando ho visto 3***e 1/2. Ciao!

Christian ha detto...

Grazie mille davvero, Marco, del tuo contributo e delle tue parole. Io non pretendo certo di indirizzare gusti e decisioni degli altri spettatori, scrivo quasi sempre più per me stesso che per gli altri, ma mi fa piacere ricevere feedback come il tuo.

Di Paul Thomas Anderson, ti consiglio "Il petroliere": non perché sia il più bello (secondo me il suo film migliore rimane "Boogie Nights", seguito forse da "Magnolia") ma perché mi pare il più affine a "The master". Ciao!

Christian ha detto...

Comunque sì, i film corali di solito mi piacciono: soprattutto in quelli fatti bene, ho spesso l'impressione che l'insieme sia superiore alla somma delle singole parti.
Quanto a "Cloud Atlas", forse non l'ho specificato, ma secondo me l'episodio migliore è quello con il musicista. Ciao!