30 novembre 2012

Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera (Kim Ki-duk, 2003)

Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera
(Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom)
di Kim Ki-duk – Corea del Sud 2003
con Oh Young-su, Kim Young-min
***

Rivisto in DVD, con Sabrina.

In un eremo costruito su una piattaforma galleggiante, in mezzo a un lago isolato fra le montagne, vive un anziano monaco buddista. Con lui c'è un bambino, che seguiremo attraverso le stagioni della sua vita, fino a quando sarà anziano a propria volta e il ciclo ricomincerà... Un'ambientazione affascinante (il film è stato realizzato presso il lago di Jusan, in un parco naturale: la produzione ha avuto il permesso di girare a condizione che al termine delle riprese il set venisse distrutto e il lago tornasse allo stato originario) e una serie di esperienze più o meno edificanti, quasi una raccolta di aneddoti e di saggezza zen, per una pellicola – dal titolo ciclico e lunghissimo – che ha fatto breccia nel cuore del pubblico occidentale e ha reso di colpo popolare Kim Ki-duk (in precedenza, il solo film del regista coreano che aveva raggiunto una certa notorietà da noi era stato il disturbante "L'isola", presentato al Festival di Venezia). Peccato però che sia anche il film con cui Kim inizia ad abbandonare la sanguingua ma spontanea "cattiveria" che lo contraddistingueva e che donava spessore alle sue pellicole, in favore di una poetica e di un'estetica più rarefatta, che lascia un po' il tempo che trova e che sembra quasi studiata per compiacere il pubblico dei festival occidentali. Cito da una recensione che scrissi proprio all'epoca della sua uscita: "Kim è sempre garanzia di qualità, ma stavolta mi è sembrato più 'facile' e commerciale (ovvero accessibile ed 'esportabile') del solito". Per la prima volta, in effetti, si può notare nel regista un desiderio di "piacere" al pubblico, attraverso le immagini ma anche i vaghi insegnamenti morali, buoni – appunto! – "per tutte le stagioni". I suoi lavori successivi, e il fatto che abbiano trovato spazio più o meno regolarmente nelle nostre sale, mi hanno dato ragione. Il film, comunque, è bello, e molte sono gli elementi – spesso simbolici – che restano impressi: i portali di legno che si aprono sul lago come un sipario; l'eremo stesso, con i suoi spazi divisi da porte ma senza pareti; la barca a remi, unico mezzo a disposizione dei personaggi per muoversi dalla piattaforma alle sponde del lago (anche se il monaco anziano dimostra, a volte, di avere poteri soprannaturali che gli consentono di muoversi sull'acqua anche senza la barca, o di controllarne il movimento a distanza); gli animali che fanno compagnia ai monaci (diversi in ogni stagione: un cane, un gallo, un gatto, un serpente e una tartaruga).

I vari spezzoni presentano ciascuno una storia a sé, rendendo il lungometraggio quasi un film a episodi, anche se si concatenano in modo da raccontare l'esistenza del protagonista dall'infanzia alla vecchiaia, facendovi scorrere in parallelo l'inevitabile ciclicità della natura. Primavera: il monaco bambino gioca e si diverte a tormentare alcuni animali (un pesce, una rana e un serpente), legandoli a una pietra con una cordicella. Il maestro gli mostrerà il suo errore. Estate: nell'eremo viene ospitata una ragazza "malata nell'anima". Fra lei e il nostro monaco (ora adolescente) scatterà l'amore. Il maestro disapprova, perché "il desiderio genera dipendenza". Guarita e partita la ragazza, anche il giovane se ne andrà via (portandosi dietro la statua di Buddha custodita nel tempio). Autunno: come il maestro aveva previsto, la vita nel mondo mondano ha generato passioni incontrollabili. L'ex monaco, ora un uomo adulto, ha ucciso la propria moglie ed è tornato nell'eremo in cerca di un rifugio (ma anche per chiedere perdono). Lo raggiungeranno due poliziotti per condurlo via, ma non prima che l'anziano maestro lo abbia aiutato a "purificarsi" incidendo con il proprio coltello (lo stesso che aveva usato per il delitto) un sutra sulla piattaforma di legno. Al termine dell'episodio, il vecchio monaco muore e si reincarna in un serpente. Inverno: uscito di prigione, il protagonista (ormai maturo e interpretato in questo segmento dallo stesso regista) torna all'eremo, che era rimasto disabitato (a parte il serpente) e lo rimette in funzione. Tutto, attorno a lui, è ghiacciato. Ma pian piano la vita ricomincia: il monaco si allena con le arti marziali e accoglie una donna che ha portato lì il proprio neonato, con l'intenzione di abbandonarlo. Dopo che la donna è morta cadendo nell'acqua ghiacciata, il monaco porta la statua del Budda in cima alla montagna che domina il lago. Primavera: come all'inizio, l'eremo è di nuovo abitato da un anziano maestro e da un bambino. Nel corso della pellicola non mancano i momenti o le situazioni curiose, com'è nello stile di Kim, per esempio quelli legati agli animali: uno su tutti, l'utilizzo della coda del gatto per dipingere i caratteri cinesi incisi sulla piattaforma di legno.

5 commenti:

Adriano Max ha detto...

Splendido ! è una pellicola che mi attira magneticamente e per vari motivi (culturali in primis, simbolici) non riesco ad 'esaurire' e ogni volta penso che vorrei rivederlo ... una cosa mi rimane oscura e vorrei sapere: cosa c'è scritto in coreano sui foglietti che il monaco usa per coprirsi gli occhi ...

Christian ha detto...

Ho appena fatto una ricerca... Sui foglietti che si mette sopra occhi e bocca c'è l'ideogramma cinese 閉, che significa "chiuso, sbarrato".

Adriano Max ha detto...

Gentilissimo Xtian ! Alla prossima visione potrò godermi la scena con un interrogativo in meno ...

Marisa ha detto...

Anche per me è uno dei film che mi è rimasto dentro e rivedrei sempre con piacere. Sicuramente è quello che ha rivelato Kim Ki-duk all'occidente rispetto ai precedenti, più rigorosamente ispirati alla spontanea"cattiveria" orientale , come dici tu, ma non credo che in questo ci sia una studiata compiacenza per accattivarsi il grande pubblico occidentale (per altro già molto abituato alla violenza) , piuttosto il successo è dovuto all'ampio respiro e all'aver pescato in una simbologia universale. Le stagioni climatiche come analogia e rappresentazione delle stagioni della vita e alla sua ciclicità, rientrano nelle analogie e nelle simbologie più evidenti e immediate in qualsiasi cultura. Anche in musica le stagioni sono molto presenti per alludere ai cicli della vita (Vivaldi, Beethoven...)
L'ambientazione sull'acqua poi rende ancora più suggestivo lo "scorrere" del tempo e il monastero "isola" accentua il senso dell'unico rifugio possibile, nella spiritualità, dopo le tempeste della vita e la loro illusioretà.

Christian ha detto...

Forse la mia opinione sulla maggiore "accessibilità" di questo film rispetto ai suoi precedenti (il che non significa automaticamente meno bello) deriva proprio da un confronto con "L'isola", che come questo si svolge quasi interamente su una piattaforma che galleggia su un lago, ma che al contrario può risultare quasi "repellente" per gli spettatori occidentali (magari anche a quelli orientali ^^), pur essendo a sua volta ricco di temi e di simbologie universali.
Rimane comunque un film notevole e suggestivo, da vedere e da rivedere più volte, ma personalmente gli preferisco altri film di KKD ("L'isola", appunto, ma anche "Bad guy").