15 giugno 2012

C'era una volta in Anatolia (N. B. Ceylan, 2011)

C'era una volta in Anatolia (Bir zamanlar Anadolu'da)
di Nuri Bilge Ceylan – Turchia 2011
con Muhammet Uzuner, Yilmaz Erdoğan
***1/2

Visto al cinema Apollo (rassegna di Cannes).

Tre auto si muovono a fari accesi nell'oscurità, sulle strade sterrate delle colline e delle desolate campagne dell’Anatolia centrale (ci troviamo nella remota provincia di Kirikkale), attraversando campi arati o incolti, piantagioni di ulivi e villaggi sperduti. A bordo – fra gli altri – ci sono il commissario Nuci (Yılmaz Erdoğan), il medico Cemal (Muhammet Uzuner) e il procuratore Nusret (Taner Birsel), che scortano due fratelli arrestati per omicidio: uno di questi, Kenan (Fırat Tanış), ha promesso di condurli fino al luogo dove è sepolto il cadavere della loro vittima, ma non ricordandosi con precisione la località finisce per costringere gli uomini della scorta a una lunga odissea notturna, che terminerà soltanto all’alba. Più che un poliziesco sui generis, un film corale e di grande fascino ed atmosfera, costruito attorno a un minuscolo fatto di cronaca (di cui peraltro non tutto ci viene rivelato), che ritrae un nucleo di figure complesse e sfaccettate in un forte crescendo narrativo e cinematografico. La sceneggiatura cesella con lievi tocchi le psicologie dei numerosi personaggi, rinchiusi in una sorta di limbo o sul ciglio di un abisso: ad alcuni è dato giusto qualche breve “momento di gloria” (l’autista Arap, il comandante militare, lo stesso sospettato Kenan), mentre altri (il commissario, il procuratore, il medico) assurgono al ruolo di veri protagonisti: tutti hanno un doloroso passato da raccontare – o magari da tenere segreto – e un difficile presente da vivere, e le loro storie personali si inseriscono con grande naturalezza all’interno della vicenda comune. Molti i dialoghi che si sovrappongono nel corso della notte: si parla o si filosofeggia di futilità (lo yogurt di bufala, il nuovo cimitero del villaggio, gli strumenti in dotazione all’ospedale), di lavoro, di problemi famigliari (malattie, matrimoni, morti, divorzi); si fanno battute ("Così non si entra nell'Unione Europea!"), ci si vanta di assomigliare a Clark Gable, affiorano malumori, frustrazioni, rimorsi, sensi di colpa ("In fin dei conti, chiunque si suicidi lo fa per punire qualcun altro"). E mentre la notte è sferzata dal vento, dai lampi, dalla pioggia e dalla tempesta, non mancano gli squarci soprannaturali: fa pensare a Tarkovskij, per esempio, la scena del cane del morto (un pastore tedesco) che si ripresenta sulla fossa dove è stato sepolto il suo padrone, come un messaggero che collega il mondo dei vivi con quello dei defunti. Se dobbiamo trovare un difetto a un film nel complesso assai riuscito, è probabilmente l’eccessiva lunghezza (quasi due ore e mezza): l’ultima parte, quella che ci conduce fino all’autopsia, poteva forse essere un po’ sforbiciata. Ma è evidente che Ceylan, da vero artista, non può essere imbrigliato e ha realizzato il suo film inserendovi tutti gli spunti che gli provenivano da varie direzioni (da Tarantino a Cechov, per non parlare del titolo che scherza con l’epica alla Sergio Leone). Fra le tante scene memorabili, brilla di luce propria – è davvero il caso di dirlo! – quella in cui la figlia del sindaco porta il tè agli uomini che attendono nell’oscurità, illuminando con la lanterna e la propria presenza “angelica” l’ambiente e l’animo dei presenti. Tutti rimangono colpiti da lei, e Kenan addirittura vede il fantasma dell’uomo ucciso. Magnifica, come sempre nei lavori del regista turco, la fotografia, qui rivolta soprattutto alla resa dei paesaggi notturni (con quelle luci – così abbaglianti – delle vetture che illuminano la strada). Fra gli interpreti spicca l’intenso Uzuner nella parte del medico, carico di malinconici segreti, che nel finale si concede un profondo sguardo in camera. Una possibile lettura che mi è sorta in mente mentre vedevo il film, probabilmente nemmeno pensata o voluta dal regista, è cristologica: gli uomini che si muovono a bordo delle tre vetture sono in tutto tredici (i due arrestati, il commissario e un agente, il procuratore e il suo assistente, il medico, i due militari, i due uomini con le pale, i due autisti); e Kenan, che si autoaccusa del delitto (quando è evidente che è stato commesso dal fratello ritardato), è un Cristo che si sacrifica per espiare le colpe altrui: unico con i capelli lunghi e la barba, al momento dell’arresto viene insultato dalla folla che gli tira addosso anche delle pietre; se si aggiungono la sua affermazione di essere il “padre” anche del figlio della sua vittima, l’apparizione soprannaturale del morto, la visione “angelica” della figlia del sindaco, l’ambientazione medio-orientale (i campi pietrosi e gli ulivi) e le varie tappe del viaggio notturno che configurano una sorta di “via crucis”, direi che le suggestioni in tal senso non mancano!

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Splendida recensione, come sempre.
Non sottovaluterei la tua intuizione sul possibile allegorismo in chiave cristologica, in un film che è del resto una meditazione sul significato dell'essere umano. Il titolo, in effetti, rimanda non soltanto a Sergio Leone (come hanno sottolineato anche nella recensione del New York Times), ma anche al classico incipit delle fiabe, proiettando subito il tema in uno scenario che è al di fuori del tempo presente, pur essendovi al contempo ben ancorato.
E il tuo rilievo su Tarkovsky è azzeccato, Ceylan non è nuovo a 'omaggi' al regista russo.

Bravo Ceylan, bravo Christian!

Ale

Christian ha detto...

Grazie! ^^
In effetti è un film che mi ha molto colpito: difficile non lasciarsi "avvolgere" dalla sua atmosfera meditativa e notturna.

Marisa ha detto...

La mela che rotola nell'acqua è di diretta ispirazione tarkovskiana (vedi il sogno di Ivan) e tutta la scena della figlia del sindaco è immersa in una luce che ne fa un quadro di LaTour.
Sicuramente un film dall'impatto visivo molto suggestivo e che riesce a tenere col fiato sospeso nonostante la lunghezza.

Christian ha detto...

La lunghezza è forse il suo principale difetto (soprattutto nella parte finale, quando ormai il cadavere è stato trovato). Visivamente è davvero suggestivo, sì.

iosif ha detto...

non ho (ancora) letto la tua recensione, ma il voto è definitivo: devo vederlo.

Christian ha detto...

Spero che piaccia anche a te! ^^ Ceylan è un vero talento, e questo finora mi è parso il suo film migliore (forse anche più di "Uzak").