26 gennaio 2012

Il passo sospeso della cicogna (T. Angelopoulos, 1991)

Il passo sospeso della cicogna (To meteoro vima tou pelargou)
di Theodoros Angelopoulos – Grecia/Francia/Italia 1991
con Gregory Karr, Marcello Mastroianni
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Visto in divx, con Marisa.

La recente scomparsa del regista greco Theo Angelopoulos, di cui praticamente non ho mai visto nulla (tranne qualche cortometraggio all’interno di film a episodi), mi ha spinto a recuperare una delle sue pellicole meno note, una meditazione sul tema dell’identità, dei confini e dell’immigrazione (il film si apre con l’immagine di alcuni clandestini dispersi in mare). Il giornalista televisivo Alexandre, inviato a realizzare un servizio in una città innevata presso il confine fra Grecia e Albania dove si ammassano orde di profughi e di immigrati (albanesi, turchi, curdi, iraniani) in attesa dei documenti per entrare nel paese, crede di riconoscere in uno dei disperati un celebre uomo politico e scrittore (Mastroianni) la cui misteriosa e volontaria sparizione, anni prima, aveva suscitato scalpore. Per confermare la sua identificazione, farà giungere fin lì la moglie dell’uomo (Jeanne Moreau, che recita in inglese), ma il mistero rimarrà. In parte profetico (la guerra nei Balcani era ancora da venire, ma la paralisi e l'incapacità della politica di far fronte ai problemi sociali e all'immigrazione era già evidente), pericolosamente vicino alle atmosfere di Antonioni e Tarkovskij (la “colpa” è di Tonino Guerra, co-sceneggiatore), pieno di metafore e di simboli, il film indaga con estrema lentezza "le frontiere politiche e quelle dell’anima", ma il risultato è spesso poeticista, pretenzioso e confuso, soprattutto nelle scene parlate. Meglio, molto meglio, quelle mute, che sprigionano un fascino particolare: su tutte, la carrellata sulle carrozze del treno usato come rifugio dagli immigrati, il piano sequenza della sala da ballo e soprattutto la scena del matrimonio sulle sponde del fiume, con gli sposi che si trovano sulle rive opposte e sono separati dall'acqua e dalla frontiera. Fondamentale la colonna sonora di Eleni Karaindrou. Il titolo fa riferimento alla posizione che il protagonista assume, con un piede sollevato, sulla linea che delimita il confine.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Tutto il film si regge sulla follia degli uomini che si complicano la vita e la rendono infelice con i loro schemi mentali, primo tra tutti la mania dei confini: se si supera la linea tracciata appena con un gessetto si viene uccisi! Siamo tutti prigionieri, come il carcerato e il suo carceriere, nella stessa prigione-società che abbiamo contribuito a formare e per sottrarsene bisogna rinunciare, come l'illustre politico che prende e nel bel mezzo di un discorso esce dal parlamento e sparisce, al proprio nome e al proprio ruolo...
Sì, la scena più bella è quella del matrimonio con il fiume che separa e mette in contatto solo visivo. Ma la vita scorre in mezzo...Forse, sembra dire il regista, siamo sempre ai lati opposti di un fiume, anche quando crediamo di stare dalla stessa parte e di capirci.

Christian ha detto...

Scene come quella del fiume – con tutti i suoi simboli e significati – riconciliano un po' con un film che, per lunghi tratti, sembra far fatica a decollare. Per fortuna i grandi registi riescono sempre a comunicare qualcosa anche con poche sequenze.