8 novembre 2011

Ultimo tango a Parigi (B. Bertolucci, 1972)

Ultimo tango a Parigi
di Bernardo Bertolucci – Italia/Francia 1972
con Marlon Brando, Maria Schneider
***

Visto in DVD, con Giovanni, Rachele e Paola.

Senza conoscere nulla l’uno dell’altra, nemmeno il nome, un uomo e una ragazza si incontrano in un appartamento sfitto di Parigi e imbastiscono una relazione basata puramente sul sesso. Lui fugge dal passato (il tragico suicidio della moglie, una vita di fallimenti), lei dal futuro (l’imminente matrimonio, i lacci della piccola borghesia). Ma quando il primo si illude che il rapporto possa trasformarsi in qualcosa di più stabile e duraturo, finirà in tragedia. Etichettato, a seconda dei punti di vista, come romantico, malinconico, selvaggio o decadente, nato da una fantasia dello stesso Bertolucci (che immaginava di fare l’amore con una sconosciuta incontrata per caso in strada), è stato uno dei “casi” più celebri e scandalosi della cinematografia italiana, vero fenomeno di costume, al tempo stesso film proibito e maledetto (per via delle traversie con la censura) e popolare e di massa (aggiustando i dati in base all’inflazione, rimane tuttora la seconda pellicola italiana con il maggior incasso al botteghino, dietro a "Continuavano a chiamarlo Trinità"). Per la critica americana Pauline Kael, che lo difese sin dal primo momento contribuendo a farlo accettare come opera artistica, si tratta del "più importante film erotico mai realizzato", dotato di una straordinaria valenza liberatoria. In anni di cinema politico, di tensione e di impegno collettivo (una tendenza cui lo stesso Bertolucci aveva contribuito con i suoi lavori precedenti), il film racconta una storia che si svolge invece in una dimensione esclusivamente individuale e personale: e se agli spettatori non viene nascosto il background dei due personaggi, con i loro drammi e le vite private, i protagonisti condividono invece – attraverso i loro corpi – soltanto il presente; persino i ricordi d’infanzia appaiono trasfigurati e ammantati da una patina di sogno e di irrealtà. Straordinaria la fotografia di Vittorio Storaro, interamente giocata sui toni caldi (giallo, ocra, rosso), così come la musica di Gato Barbieri. È passata alla storia, in particolare, la scena della sodomizzazione con il panetto di burro (la Schneider, all’epoca ventenne e sconosciuta, raccontò in seguito che non era prevista nella sceneggiatura e che Brando e Bertolucci le dissero cosa avrebbe dovuto fare soltanto poco prima di girarla). Sotto certi aspetti, comunque, la pellicola appare un po’ datata, soprattutto per alcuni dialoghi o monologhi un po’ intellettualistici e per un eccesso di turpiloquio che a volte sembra fin troppo provocatorio e gratuito (molte cose vennero comunque improvvisate). Le controversie sulle scene di sesso fecero passare in secondo piano altre sequenze altrettanto "scandalose", come quella degli insulti di Paul alla salma della moglie (che mi ha ricordato una scena de "I pugni in tasca" di Bellocchio). Per il ruolo femminile Bertolucci aveva pensato inizialmente a Dominique Sanda (che rifiutò perché era incinta) e a Catherine Deneuve. Il fidanzato di Jeanne (interpretato da Jean-Pierre Léaud), che gira cinema-verità per le strade alla ricerca di spunti sociali e vuole chiamare i suoi figli Fidel (come Castro) e Rosa (come Luxembourg), è un chiaro omaggio a Godard, a Truffaut e alla cultura della nouvelle vague (ma le citazioni investono un po’ tutto il cinema francese: si pensi al salvagente con il nome de "L’Atalante").

Ancora più celebri del film stesso, però, sono le clamorose vicende giudiziarie che ne seguirono l’uscita e che rappresentano una delle pagine più vergognose nella storia della censura italiana. Già per far arrivare il film nelle sale, Bertolucci era stato costretto a tagliare una sequenza (i famosi "otto secondi" del primo amplesso fra Brando e la Schneider nella casa vuota) pur di ottenere il nulla osta dalla commissione di censura. Denunciata per oscenità (per la precisione, per un "esasperato pansessualismo fine a sé stesso”), la pellicola venne poi sequestrata (ma Bertolucci, che se lo aspettava, aveva messo in salvo il negativo inviandolo all’estero). Dopo l’assoluzione in primo grado, Bertolucci, Brando e il produttore Alberto Grimaldi – che era subentrato alla Paramount quando questa aveva rifiutato di finanziare il film – furono condannati a due mesi di carcere con la condizionale. In Cassazione, il film venne poi condannato a essere distrutto, e Bertolucci addirittura privato dei diritti civili per cinque anni (lo scoprì per caso, quando nel 1976 non gli arrivò a casa il certificato elettorale). Soltanto nel 1982, dopo che un gruppo di cinefili lo proiettò clandestinamente in una rassegna a Roma (dicendo alle forze dell’ordine che la copia gli era stata fornita da Rainer Werner Fassbinder, morto di recente!), la questione venne riesaminata: e nel 1987, alla luce dei mutamenti ormai intervenuti nella società italiana, il film fu infine "riabilitato".

6 commenti:

Marisa ha detto...

Dovrei e vorrei rivederlo, ma mi sembra di poter dire che la forza e la bellezza del film sta nella sua dimensione onirica, nello spazio paradossale ed intermedio sottratto all'inesorabile legge "causa - effetto" dello scorrere quotidiano degli eventi concatenati dal ritmo dei progetti (M.Schneider) o delle catastrofi personali(M.Brando), che lega i due personaggi finchè rispettano e condividono lo stesso sogno, ma che distrugge quando si pretende di trasferire il sogno in un'altra dimensione.

Christian ha detto...

Sì, credo anch'io che il grande valore del rapporto fra i due personaggi risiede nell'essere "al di fuori" del mondo normale, delle regole formali e delle consuetudini sociali che spesso vengono seguite senza nemmeno un vero motivo. In fondo tutto il film è la rappresentazione di una fantasia, e cercare di comprenderla faecendo riferimento solo a elementi "concreti" rischia di banalizzarne l'essenza.

Anonimo ha detto...

Il non luogo dell'appartamento in cui i due si incontrano penso che abbia una forza comunicativa non indifferente, così come tutta la loro relazione, fino alla tragedia finale. Grande film secondo me.

Ale55andra

Christian ha detto...

Sì, l'appartamento è quasi il terzo protagonista della storia. Un po' come sarà quello di "Vive l'amour" di Tsai Ming-liang...

A Gegio film ha detto...

Io l'ho visto una sola volta, e a parte la bellissima protagonista, ricordo il Brando oramai in decandenza (era già morto ne Il padrino? Siamo lì) e la colonna sonora. Prima o poi devo riaffrontarlo.

Christian ha detto...

"Il padrino" è di quattro anni prima, del 1972. Comunque è vero, è un film che andrebbe rivisto più volte: la prima visione può essere fuorviante.