3 settembre 2011

Estasi di un delitto (L. Buñuel, 1955)

Estasi di un delitto (Ensayo de un crimen)
di Luis Buñuel – Messico 1955
con Ernesto Alonso, Miroslava Stern
***1/2

Rivisto in DVD alla Fogona, con Giovanni, Rachele, Eleonora e Marisa.

Il casuale ritrovamento di un carillon appartenuto un tempo alla madre rievoca un trauma infantile nella mente del ricco Archibaldo De La Cruz (nella versione italiana rinominato, chissà perché, Alessandro) e risveglia in lui un istinto omicida e misogino. Ma per una serie di fatalità, il protagonista non riesce mai a compiere i delitti che progetta, visto che le sue "vittime" muoiono tutte senza il suo intervento: una si suicida, un'altra perisce in un incidente, una terza viene uccisa da un altro uomo... Black comedy dai risvolti psicanalitici (il ruolo dell'analista, in maniera bizzarra, è svolto dal commissario di polizia al quale Archibaldo confessa i suoi crimini – il film è praticamente raccontato tutto in flashback – e che alla fine rifiuta di arrestarlo, spiegandogli che "se si condannassero le intenzioni, le carceri sarebbero piene", e che, comunque, "non sarà l'unico criminale a piede libero"), si tratta di un vero e proprio gioiellino all'interno della produzione messicana di Buñuel. Criminale "potenziale", il simpatico Archibaldo è continuamente frustrato nei suoi desideri di uccidere le donne che lo circondano (la voluttuosa e seducente Patricia; la sfuggente e provocante Lavinia; la virginea e pura – ma solo in apparenza – Carlotta): in un caso deve persino accontentarsi di bruciare il manichino che ritrae Lavinia, facendogli fare la fine che aveva riservato alla ragazza. Attorno a lui si dipana il solito mondo colmo di ipocrisia che il regista spagnolo ama mettere alla berlina: anche per questo motivo è facile parteggiare per il protagonista. Per alcuni critici l'intera pellicola è un'allegoria dell'impotenza sessuale, ma semmai i temi sono più quelli del feticismo (sin da piccolo vediamo Archibaldo indossare i vestiti della madre), del complesso di Edipo e della fascinazione per il binomio sesso e morte (il piccolo Archibaldo rimane impressionato dall'immagine delle gambe dell'istitutrice che si macchiano di sangue). E il film anticipa "Bella di giorno" nel presentare un personaggio alle prese con desideri inconfessati da soddisfare (evocati da richiami uditivi-visivi: qui la musica del carillon, lì l'immagine della carrozza) e che vorrebbe trasferire dal sogno alla realtà.

5 commenti:

marco c. ha detto...

Bella recensione. Rispetto al periodo francese c'è solo l'intenzione di violare i limiti.
A volte penso che anche il luogo dove si girano i film influenzi sostanzialmente il soggetto. E' una versione solo potenziale delle intenzioni poi espresse appieno in "Bella di giorno". Resto dell'idea che il periodo francese sia il momento più maturo di Bunuel. Mentre continuo a ritenere il periodo latino come imperfetto perché il risultato è solo accennato. Curiosamente rispetto a "L'Age D'Or" c'è una involuzione della logica cinematografica di Bunuel. Un regresso dell'audacia surrealista dei primissimi anni, che verrà riscoperta nuovamente a Parigi negli anni della maturità. Senza scomodare concetti come il genius loci, credo che sia evidente che l'aria francese migliora l'arte di Bunuel. Questo film è discreto ma non a livelli tali da giustificare la sua fama.

Christian ha detto...

C'è anche da dire che i film del periodo messicano (almeno i primi) sono perlopiù lavori "commerciali" o girati su commissione, anche se poi i produttori lasciavano a Buñuel (vista la sua fama) una certa liberta nella scelta dei soggetti e nella sceneggiatura. Quando nel 1946 aveva ricominciato a dirigere film dopo una pausa di quasi 15 anni (trascorsi per lo più in America, lavorando come direttore del doppiaggio, montatore, produttore), considerava ormai conclusa l'esperienza surrealista ed era più interessato a curare l'aspetto tecnico che quello creativo. Poi, per fortuna, lentamente ha ricominciato a farcire le sue pellicole con le sue idee e le sue ossessioni.

marco c. ha detto...

Sono d'accordo con le precisazioni che hai sollevato. Bisogna rendere merito ai produttori messicani che hanno saputo osare moltissimo anche in presenza di un mercato cinematografico non certo così aperto alle novità e alle provocazioni come quello sudamericano. Recentemente leggevo un'intervista a un noto regista italiano che si è pensionato con la motivazione che i produttori non gli consentivano più i margini di manovra che invece erano normali fino a dieci anni fa. Spiace dirlo ma è evidente che il mercato mondiale e in particolar modo quello italiano siano molto più imbrigliati ora che negli anni passati. Penso al remake di "Amici Miei": perfettamente in linea come soggetto e sceneggiatura con il nostro pubblico contemporaneo; mentre sarebbe impossibile oggi che un produttore decida di finanziare un'opera intrisa di cinismo come il primo film della Trilogia. Il pubblico sicuramente non apprezzerebbe e sarebbe un grosso e dispendioso flop al botteghino. Comunque tornando a Bunuel, mi ha incuriosito la pausa di 15 anni negli USA, mi sembra troppo tempo per un regista che ha molto da dire. Non credo che la fase surrealista fosse davvero finita, è più probabile che non trovasse sbocchi finanziari oltreoceano che gli garantissero fondi per prodotti poco spendibili sul mercato. Ma è una mia impressione. Nemmeno io avrei finanziato un film di Bunuel se avessi puntato solo al ritorno economico. Daltronde le grandi Major americane finanziavano Allen solo per darsi un "tono", recentemente infatti di fronte all'inaridirsi delle linee di credito è stato costretto a film di ottima qualità ma sicuramente più di "cassetta". Ma anche questa è una mia personale interpretazione del cinema attuale, suffragata anche dal discutibile pre-apertura a Venezia affidato al film di un noto conduttore televisivo.

Elio ha detto...

Sottoscrivo le tue parole. Un gioiellino in cui si ritrova tanto del cinema di Bunuel.

Christian ha detto...

Grazie del commento, Elio! Pur essendo un film "minore", è uno dei miei Buñuel preferiti.