13 aprile 2011

Il vangelo secondo Matteo (P. P. Pasolini, 1964)

Il vangelo secondo Matteo
di Pier Paolo Pasolini – Italia 1964
con Enrique Irazoqui, Margherita Caruso
****

Rivisto in DVD, con Rachele, Paola e Stefano.

Comunista, ateo e omosessuale dichiarato, Pasolini non ha mai fatto mistero di sentire costantemente l'influenza della cultura cattolica in cui è vissuto, come aveva fatto confessare al suo alter ego Orson Welles ne "La ricotta", segmento del film a episodi "Ro.Go.Pa.G." (a causa del quale, peraltro, era stato condannato per vilipendio alla religione): alla domanda "Che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?", Welles/Pasolini rispondeva "Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo". Dunque non deve sorprendere più di tanto che PPP abbia voluto realizzare una versione cinematografica della vita di Gesù. Quello che invece stupisce è che si tratti dell'adattamento più "puro", fedele e rispettoso mai realizzato, addirittura al punto di non aggiungere alcun dialogo che non fosse già presente nella fonte originale (Maria, per esempio, non parla mai perché nel Vangelo non sono riportate le sue frasi: si gioca tutto sugli sguardi, sulle inquadrature, sulla musica), senza contaminare l'opera con interpretazioni ideologiche e tenendosi lontano dall'iconografia tradizionale, spesso posticcia (nessun Cristo biondo con i capelli lunghi e gli occhi azzurri: sia lui che gli altri personaggi hanno fattezze rigorosamente mediterranee). La genesi del film è stata raccontata da Pasolini stesso: invitato ad Assisi in occasione di un evento culturale (nel periodo in cui Giovanni XXIII – alla cui "cara, lieta, familiare memoria" è dedicata la pellicola – invitava i fedeli ad aprire un dialogo con gli intellettuali non credenti), fu costretto a restare chiuso per un'intera giornata in albergo perché proprio una visita del papa aveva paralizzato il paese. Non si era portato nulla da leggere, e nella stanza dell'hotel era disponibile soltanto il Nuovo Testamento: si rilesse dunque di fila i quattro vangeli e gli venne d'impulso il desiderio di portarne uno sullo schermo. Scelse quello di Matteo perché era il più stimolante ("Giovanni era troppo mistico, Marco troppo volgare, Luca troppo sentimentale"): a differenza degli altri film sulla vita di Gesù, che mescolano episodi tratti un po' da tutti e quattro i vangeli (e anche dalle tradizioni successive), questo si attiene infatti dall'inizio alla fine a un unico testo e fa felicemente a meno della zavorra dogmatica che la Chiesa vi avrebbe depositato sopra nei secoli successivi (indicativa, nel titolo, l'omissione del "San" davanti al nome di Matteo).

Un viaggio in Terrasanta per scegliere le location (da cui nacque un documentario, "Sopralluoghi in Palestina") si rivelò inutile, perché alla fine PPP decise di girare la pellicola in Italia (fra Lazio, Puglia, Calabria e Basilicata, e in particolare fra i sassi di Matera): una scelta controversa che però si rivelò vincente, al punto da ispirare successivi registi come Martin Scorsese (che avrebbe voluto ambientare "L'ultima tentazione di Cristo" negli stessi luoghi) e Mel Gibson (che vi girò effettivamente "La passione di Cristo"). Gli scenari, arcaici e rupestri, sono nobilitati dalla fotografia in bianco e nero di Tonino Delli Colli che dona loro un aspetto fuori dal tempo e una qualità cinematografica di altissimo livello. La narrazione fluisce in maniera naturale e pulita, attraverso una successione di episodi, parabole, miracoli e discorsi, con un risultato al tempo stesso astratto e ieratico, spirituale e concreto, che restituisce la dimensione religiosa e rivoluzionaria del personaggio (sì, perché il Gesù originale è davvero lontano dall'immagine distorta che ne è stata fatta nei secoli seguenti) senza le ombre di bigottismo e le tentazioni agiografiche che normalmente affossano gli adattamenti dei testi evangelici. Affascina, in particolare, la semplicità di alcune scene (a cominciare da quella con cui si apre la pellicola, l'annunciazione, ma anche l'incontro col diavolo nel deserto) dove gli sguardi e le immagini comunicano più di mille parole, al punto da rievocare capolavori espressionisti del cinema muto come "La passione di Giovanna d'Arco" di Dreyer. Quanto alle parole, oltre ai passi più noti e agli episodi più popolari la pellicola presenta anche passaggi (l'episodio del fico inaridito) e frasi meno citate, alcune delle quali sorprendono non poco chi non conosce bene i testi originali ("Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre").

Notevole la scelta degli attori, dai volti scavati e fuori dal comune, quasi tutti – come Pasolini era solito fare – presi dalla strada o scelti fra non professionisti (e poco importa se la dizione non è sempre perfetta o se qua e là affiorano gli accenti), compresi diversi amici, poeti, scrittori e intellettuali (Natalia Ginzburg, per esempio, è Maria di Betania; Marcello Morante, fratello di Elsa, è Giuseppe; Mario Socrate è Giovanni Battista; J. Rodolfo Wilcock è Caifa; Enzo Siciliano è Simone; Alfonso Gatto è Andrea; Giorgio Agamben è Filippo). Per il ruolo di Gesù, PPP avrebbe inizialmente pensato a Jack Kerouac o Allen Ginsberg, ma poi preferì Enrique Irazoqui, giovane studente spagnolo (catalano, per la precisione) che aveva scritto una tesi sul suo romanzo "Ragazzi di vita" ed era giunto a Roma per incontrarlo: l'attore, il cui volto ricorda i Gesù dipinti da El Greco, nel film viene doppiato – unico fra tutti – da Enrico Maria Salerno. Molto belle le giovani Margherita Caruso (Maria da giovane) e Paola Tedesco (Salomè), così come Rossana Di Rocco che interpreta l'angelo. Ninetto Davoli appare brevemente (ed è il suo debutto sullo schermo, non accreditato) nei panni di un pastore. Ma la scelta di casting più azzardata e chiacchierata, naturalmente, è quella di Susanna Pasolini nel ruolo della Madonna anziana. Aver scelto la propria madre per interpretare l'icona per eccellenza della maternità non è certamente stato casuale: in più, va considerato che Susanna era una fervente e devota cattolica, e che – proprio come Maria – in seguito dovette sopportare il dolore di piangere il figlio ucciso prematuramente. La musica è perlopiù classica (Bach, Mozart, il Prokofiev di "Alexander Nevsky"!), ma ci sono anche un canto africano (tratto dalla "Missa Luba" congolese, sui titoli di testa e di coda) e soprattutto il bellissimo gospel "Sometimes I Feel Like a Motherless Child" in alcune delle scene più iconiche (l'adorazione dei re magi, il battesimo per mano di Giovanni Battista).

4 commenti:

Marisa ha detto...

Opera eccelsa su tutti i punti di vista, come hai ben sottolineato.
Vorrei aggiungere che la grandezza di Pasolini qui è proprio nell'aver dato una precisa lettura e quindi interpretazione, pur senza aggiungere una sillaba al testo di Matteo.
Prendiamo ad es. l'episodio delle tentazioni.
Aver scelto per la parte di Satana un uomo semplice, rozzo e del tutto simile agli apostoli (somiglia in modo sorprendente sia a Simone che a Giuda), suggerisce che il "Male" ci si presenta nel modo più banale e normale, senza quei segni vistosi che a noi piacerebbe per riconoscerlo. E' sempre la cosa più vicina e familiare, che ci sembra buona ed amichevole, che in realtà nasconde la tentazione più difficile...
Pasolini lo sapeva bene, ma è così per tutti.

Christian ha detto...

Anch'io ho notato la somiglianza di Satana con alcuni degli apostoli (segnatamente Giuda). Ho cercato il nome dell'attore che lo interpreta ma non sono riuscito a trovarlo... (Giuda invece è interpretato da Otello Sestili).

MonsierVerdoux ha detto...

che un regsiata ateo come Pasolini sia riuscito a realizzare un film così intriso di cristianità è segno della grandezza del grandissimo Pierpaolo.

Christian ha detto...

Forse proprio il suo essere lontano dal dogmatismo cattolico gli ha permesso di leggere il vangelo in maniera così limpida e diretta...