17 marzo 2011

Il sapore del riso al tè verde (Y. Ozu, 1952)

Il sapore del riso al tè verde (Ochazuke no aji)
di Yasujiro Ozu – Giappone 1952
con Michiyo Kogure, Shin Saburi
***1/2

Rivisto in DVD (registrato da "Fuori Orario"), con Hiromi e Michiko.

Dopo molti anni, il matrimonio fra Mokichi e Taeko Satake sta attraversando una fase difficile. Stufa di un marito al quale rimprovera il grigiore e le abitudini troppo semplici e umili, la donna trascorre le giornate a sparlarne con le amiche ed è sempre alla ricerca di una scusa per recarsi con loro alle terme fuori città. Il rapporto fra i due coniugi precipita ulteriormente quando l'uomo prende le difese della nipote Setsuko, che aveva rifiutato un incontro a scopo matrimoniale con un possibile pretendente, organizzato dalla madre e dalla stessa zia. Ma al litigio seguirà la riflessione e la riconciliazione, che avverrà davanti a un'improvvisata ciotola di ochazuke (il "riso al té verde" del titolo, un piatto molto veloce da preparare, il cui valore – come quello di Mokichi – risiede proprio nella semplicità). Amo molto questo film, uno dei miei preferiti fra tutti i lungometraggi di Ozu, al punto da ritenerlo quasi all'altezza di capolavori assoluti come "Tarda primavera" e "Viaggio a Tokyo". L'idea alla base della pellicola risale addirittura al 1939, quando Ozu e il suo sceneggiatore di fiducia Kogo Noda avevano iniziato a stenderne lo script: ma ai quei tempi la censura del Giappone nazionalista aveva impedito la realizzazione di un film così incentrato su sentimenti intimi e individuali, nonché sulla rappresentazione di comportamenti "frivoli" come quelli di Taeko e delle sue amiche (per non parlare del rifiuto di Setsuko verso l'istituzione tradizionale del matrimonio combinato). Solo nel 1952 la sceneggiatura, opportunamente riscritta per adattarla alla nuova realtà del paese dopo la fine della guerra (si pensi alle scene in cui Mokichi rincontra per caso un ex commilitone, interpretato da Chishu Ryu), potè essere finalmente portata sullo schermo. A destare perplessità fra i censori era stata, in particolare, proprio la scena chiave del film, quella in cui i due coniugi si riconciliano davanti all'ochazuke (peraltro forse mutuata da "La ragazza della quinta strada" di Gregory La Cava). Inutile sottolineare che si tratta di una scena fondamentale nell'economia della pellicola: Taeko, fino ad allora descritta come borghese e viziata, non solo impara ad apprezzare un piatto assai semplice ma decide di cucinarlo lei stessa, anziché svegliare la domestica, nonostante non metta piede in cucina da anni: e la preparazione del cibo, alla quale partecipano entrambi i coniugi lavorando fianco a fianco, suggerisce la rifondazione del matrimonio su nuove basi di reciproca comprensione. D'altronde nella cultura giapponese la cucina è spesso una metafora della vita. La grande umanità dei personaggi, la finissima caratterizzazione psicologica, lo stile frizzante e dinamico (ci sono numerosi movimenti di macchina, cosa rara per il regista nipponico, comprese alcune carrellate in avanti), il tono iniziale da commedia che si fa più teso con l'evolversi della vicenda (senza mai sforare nel sentimentale o nel melodrammatico) sono tutti elementi che rendono il film vivace e accattivante. A fianco del "tradizionale" teatro kabuki (che non casualmente è il posto scelto dalla madre e dalla zia di Setsuko per l'incontro a scopo matrimoniale) il film mostra anche luoghi di aggregazione più moderni, come lo stadio di baseball e soprattutto le sale da pachinko, nuova forma di intrattenimento popolare che in quegli anni stava diffondendosi sempre di più (si tratta, per chi non lo sapesse, di una specie di flipper verticale, antenato dei moderni videogiochi). La sottotrama della nipote che trascorre la giornata in giro con lo zio, il quale poi è costretto a fingere di rimproverarla davanti alla moglie, ricorda un film precedente di Ozu, "La ragazza che cosa ha dimenticato?".

4 commenti:

Fabio ha detto...

E' il primo film di Ozu che ho visto. Ricordo che ne trovai la visione piuttosto pesante, rimanendo un po' disorientato dall'inizio in toni di commedia nonché dall'inconsueto montaggio (spesso nei dialoghi all'inizio di ogni controcampo si vede l'attore girarsi verso la camera, aumentando il senso di finzione).

Però la scena topica mi ha commosso. E' preparata dall'intero film, è sottile, credibilissima, intima... è perfetta.
Appena esco dal tunnel Hitchcock magari mi dedico un po' a questo signore (che è un cult di questo blog ^^).

Christian ha detto...

Io sono del parere che Ozu più si vede e più si apprezza! ^^

Una full immersion nelle sue opere consente di "abituarsi" al suo stile e di entrarci sempre più in sintonia. Per questo ti consiglio, se e quando avrai tempo, di dedicargli proprio una mini-rassegna (magari, se non vuoi esagerare, limitata ai film del dopoguerra, benché abbia sfornato ottimi lavori anche negli anni precedenti).

Spinoza ha detto...

Io credo invece che nel limite del possibile bisognerebbe vederlo in progressione cronologica, prima i primi film poi quelli del dopoguerra, per abituarsi pian piano e seguire il suo percorso di astrazione formale sempre più spinto...

Christian ha detto...

Beh, certo, questo sarebbe l'ideale (ed è quello che sto facendo io in questo blog, anche se molti li avevo già visti): ma parliamo di oltre 30 film, gran parte dei quali muti e di difficile reperibilità per chi non se li è registrati da "Fuori orario"...