21 marzo 2011

A better tomorrow (John Woo, 1986)

A better tomorrow (Ying hung boon sik)
di John Woo – Hong Kong 1986
con Ti Lung, Chow Yun-fat, Leslie Cheung
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Rivisto in DVD, con Giovanni e Paola.

I fratelli Ho (Ti Lung) e Kit (Leslie Cheung) vivono su due lati opposti della barricata: il primo, in coppia con l'inseparabile amico Mark (Chow Yun-fat), gestisce un lucroso traffico di denaro falso per conto delle triadi di Hong Kong; il secondo è un giovane poliziotto idealista, appena uscito dall'accademia e ignaro della professione del fratello maggiore. Quando però Ho viene arrestato dopo essere caduto in una trappola, e il padre è ucciso dal sicario di una banda rivale, l'affetto e il rispetto di Kit per il fratello si tramutano in odio feroce. Uscito di prigione dopo tre anni con l'intenzione di rifarsi una vita onesta, Ho troverà sulla sua strada numerosi ostacoli: non soltanto il rancore di Kit ma anche i tentativi del perfido Shing (Waise Lee), nuovo boss della triade e un tempo suo sottoposto, di coinvolgerlo nuovamente nel giro criminale. Al suo fianco però ci sarà ancora Mark, anch'egli caduto in disgrazia dopo essere stato gravemente ferito a una gamba.

Premetto subito: il voto così alto non è dovuto a una valutazione oggettiva del film (che ha i suoi bravi difetti ed è ancora piuttosto grezzo se paragonato ai lavori che Woo sfornerà in seguito) ma alla "simpatia" e all'affetto che nutro verso una pellicola di fondamentale importanza nell'evoluzione del cinema di Hong Kong e non solo, e che non mi stanco mai di rivedere. Imperfetto ma seminale, romantico (a suo modo) e struggente, "A better tomorrow" ha infatti il merito di aver rivoluzionato e ridefinito gli stilemi del cinema d'azione, imponendo regole che hanno rapidamente fatto il giro del mondo, e di aver svecchiato la cinematografia hongkonghese che era ancora legata ai classici gongfupian degli Shaw Brothers degli anni sessanta e settanta. Capostipite del filone denominato heroic bloodshed ("quel genere di film in cui le pistole si sostituiscono ai pugni nudi della tradizione dei film di kung-fu e diventano estensioni del corpo", secondo la definizione della rivista "Cineforum"), ha rappresentato un punto di svolta epocale, innestando spudoratamente i codici del melò in un genere che fino ad allora puntava le sue carte solo sui combattimenti e sorprendendo gli spettatori con la cura delle coreografie, un montaggio magistrale, una fotografia avvolgente e notturna ("Non mi ero mai accorto quanto fosse bella Hong Kong di notte", dice Mark) e un'enfasi retorica e persino esagerata (celebri i frequenti ralenti). I temi, ereditati dalla tradizione del "cinema della vendetta" (ma sono evidenti anche alcuni riferimenti occidentali, dai western crepuscolari di Sam Peckinpah ai dilemmi morali e psicologici del polar francese), sono gli stessi che caratterizzeranno la produzione successiva del regista: l'amicizia virile, la fratellanza, il sogno di riscatto, i codici d'onore, la redenzione, la lealtà e il tradimento, più un finale cruento e pessimista. Il tutto a uno spettatore di oggi (che ne ha visto le conseguenze nei venticinque anni successivi) può forse risultare banale, ma è stato questo film a mettere insieme, per la prima volta, i succitati ingredienti.

Progettato per rilanciare la carriera di Ti Lung (che era stato un divo delle pellicole di kung fu di Chang Cheh negli anni settanta), il film ha invece trasformato in star il giovane cantante Leslie Cheung (che nel 1993 interpreterà "Addio mia concubina") e soprattutto il semisconosciuto Chow Yun-fat (fino ad allora protagonista soltanto di alcune commedie televisive), che ruba la scena in ogni inquadratura in cui si trova, oltre naturalmente al regista, che all'epoca godeva di ben poca considerazione ed era già dato per finito dopo i primi effimeri successi realizzati per la casa di produzione Golden Harvest. È stato il produttore Tsui Hark a dargli fiducia e ad avere l'intuizione di riunire un cast diventato poi leggendario. Per anni i ragazzi di Hong Kong (e non solo: persino Quentin Tarantino ha affermato di averlo fatto) sono andati in giro con spolverino, occhiali da sole e un fiammifero in bocca, come il personaggio di Mark, e ne ripetevano le battute: e il carismatico CYF si confermò come protagonista di quasi tutti i capolavori hongkonghesi di Woo dei tardi anni ottanta. Da citare anche i comprimari: la tenera Emily Chu nei panni di Jackie, la fidanzata imbranata di Kit; l'esperto Kenneth Tsang in quelli di Ken, leader della cooperativa di tassisti che dà fiducia a Ho; e il bravo Waise Lee in quelli del "cattivo" Shing; ma in brevi ruoli ci sono anche gli stessi Tsui Hark (il giudice al provino musicale) e John Woo (l'ispettore di polizia con gli occhiali).

La trama del film è ispirata a una pellicola del 1967, "Story of a discharged prisoner" di Lung Kong, ma Woo la arricchisce con le eccezionali scene d'azione che lo hanno reso famoso: da ricordare, in particolare, la sequenza in cui Mark compie una strage al ristorante per vendicare l'amico Ho e uccidere chi lo ha tradito (quante volte abbiamo rivisto citata la camminata nel corridoio, con le pistole nascoste nei vasi di fiori? Il regista ha comunque dichiarato di aver voluto rendere un omaggio al "Mean streets" di Scorsese) e la sparatoria finale al molo (con il momento topico in cui Mark, che avrebbe la possibilità di fuggire con il denaro, compie un'inversione a U con il motoscafo e sceglie di andare invece a morire insieme all'amico). Nota di merito anche per la colonna sonora di Joseph Koo, forse la più bella mai sentita in un film di Hong Kong, costruita su due o tre temi struggenti (di quello principale esiste anche una versione cantata da Leslie Cheung): impossibile togliersela dalla mente. In seguito all'enorme successo della pellicola, produttore e regista realizzeranno subito un sequel: più tardi, per divergenze con Woo, Tsui dirigerà di persona anche un terzo capitolo, che fungerà da prequel, mentre Woo utilizzerà lo script che aveva in mente per quel film per dare vita a quello che forse è il suo capolavoro, "Bullet in the head".

6 commenti:

Pau ha detto...

Rivisto oggi appare inevitabilmente un po' ingenuo, ma siamo di fronte ad un reale oggetto di culto (espressione abusata che in questo caso mi sento di spendere con cognizione di causa).
Leslie Cheung, se non ricordo male, andò incontro ad una morte prematura, forse addirittura auto-inferta; una vicenda molto triste.
Di Woo preferisco nettamente "The Killer" (stesse tematiche struggenti e virili, stesso carismatico protagonista, a mio avviso una maggiore compattezza ed efficacia della narrazione, colombe bianche come se piovesse :-)); tuttavia ABT ha una importanza "storica" maggiore, è innegabile, e per questo merita le 4 stellette.

Christian ha detto...

Ti ringrazio per il commento! È vero, Woo ha poi fatto di meglio (come appunto "The killer" e "Bullet in the head"), e questo film oggi appare certamente meno dirompente rispetto a quando è uscito (oltre ad alcune ingenuità stilistiche, se lo si vede in italiano anche il brutto doppiaggio non aiuta di certo). Ma gli sono ancora così affezionato che non riesco a fare a meno, periodicamente, di rivederlo. Se mai un film si merita l'etichetta di "personal cult", è questo!

Quanto a Leslie Cheung, purtroppo ricordi bene: si è suicidato nel 2003, a 46 anni. Evidentemente la fragilità che traspariva dal suo sguardo non era soltanto una caratteristica dei suoi personaggi ma faceva parte proprio della sua persona.

curiositizen ha detto...

Condivido appieno! Anch'io sono molto affezionato a questo film. E' stato uno dei due film (l'altro è Hong Kong Express) che mi ha avvicinato al cinema orientale, in special modo a quello di Hong Kong. Una vera scoperta! Non lo rivedo da alcuni anni. Grazie per questo revival ^_^ ciao, c

Christian ha detto...

Proprio così! Questo, "Hong Kong Express" e poco altro (qualche Jackie Chan, "Storia di fantasmi cinesi") hanno davvero rappresentato l'iniziazione di molti di noi al cinema hongkonghese!

Massimo Volpe ha detto...

Per un motivo o per l'altro i tre lavori di questa trilogia rimangono pietre miliari.
E' vero quanto detto su certa ingenuità, ma è caratteristica costante del cinema HKese di quel periodo in modo particolare: è tutto il cinema dell'ex colonia che però è ricco di quella genuinità che lo rende unico (almeno per me).
Leslie Cheung e Anita Mui, entrambi legati a questa trilogia, mancano dannatamente al cinema...

Christian ha detto...

Hai ragione, l'ingenuità è connaturata al cinema di Hong Kong, almeno a quello degli anni ottanta e dei primi anni novanta, ed è una delle caratteristiche che lo rendono unico. Non a caso negli ultimi tempi il cinema hongkonghese si è fatto un po' più "professionale" ma ha perso anche parecchio smalto. ^^

Della compianta Anita Mui avremo modo di parlare al momento di "A better tomorrow III"... :-(