12 febbraio 2011

Biutiful (Alejandro G. Iñárritu, 2010)

Biutiful (id.)
di Alejandro González Iñárritu – Messico/Spagna 2010
con Javier Bardem, Maricel Álvarez
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Visto al cinema Apollo, con Marisa.

Uxbal è un uomo dal presente difficile e dal futuro inesistente, visto che ha appena scoperto di avere un tumore che gli lascerà pochi mesi di vita. Separato da una moglie fragile e disturbata, abita in uno squallido appartamento con i suoi due bambini e si guadagna da vivere con il traffico di merci contraffatte, agendo da intermediario fra gli immigrati cinesi che le fabbricano e quelli africani che le vendono per le strade. In più, è anche un sensitivo: come Matt Damon in "Hereafter", è in grado di entrare in contatto con i morti e sfrutta questa capacità per arrotondare le proprie entrate. La sua sofferenza fisica va di pari passo con quella psicologica, i tormenti concreti con quelli spirituali: scosso dai sensi di colpa e consapevole di una fine imminente, cercherà di saldare i propri conti e di sistemare ogni cosa prima della dipartita, ma causerà senza volerlo altri gravi lutti e non riuscirà a riconciliarsi con la moglie. Ambientato in una Barcellona livida e crudele, crogiolo di razze e di degradazione, così diversa dalle rappresentazioni "solari" che di solito si vedono in altre pellicole, il film accatasta temi su temi (il rapporto fra genitori e figli – il padre di Uxbal e di suo fratello Tito è morto in Messico prima che loro potessero conoscerlo – e quello con la famiglia; le condizioni disumane in cui vivono gli immigrati clandestini, di cui viene mostrata la vita segreta e sotterranea, e che portano il protagonista a empatizzare con loro; gli elementi soprannaturali, come le farfalle sul soffitto della stanza di Uxbal – che simboleggiano gli spiriti dei morti con cui ha avuto a che fare – o le pietre che fungono da legame con i figli, come già avveniva nel giapponese "Departures") e forse esagera nel porre continuamente ostacoli sulla strada del personaggio. Iñárritu gira con uno stile sporco e disordinato come la vita del suo protagonista: è il suo primo lungometraggio dopo la tumultuosa separazione dallo sceneggiatore Guillermo Arriaga che ne aveva scritto i tre precedenti film ("Amores perros", "21 grammi" e "Babel") e aveva rivendicato per sé un ruolo di "autore" alla pari del regista, forse non del tutto a torto; di conseguenza l'impianto della pellicola è diverso: non più un film corale, si concentra prevalentemente su un unico personaggio (anche se qua e là riaffiora la vecchia e brutta abitudine di allargare troppo il discorso, finendo col sfilacciarlo: la sottotrama con i due cinesi gay, per esempio, ce la poteva risparmiare). Cupo e disperato, il film si appoggia tutto sull'intensa e sofferta interpretazione di Bardem, giustamente premiata a Cannes.

4 commenti:

Marisa ha detto...

Mi sembra un film molto pasticciato, che ruba molto da altri confondendo le acque. Ottima la prova di Bardem che si conferma grandissimo, dopo Mare dentro.

Christian ha detto...

Non è esattamente un film piacevole da vedere, però per regia e recitazione qualcosa lo offre.

Massimo Volpe ha detto...

Francamente stento fortemente ad entrare in sintonia con Inarritu; senz'altro è un regista padrone di una grande tecnica e senz'altro vedrò anche questo (non stento a credere alla bravura di Bardem) però ormai ho maturato la convinzione che questo regista sia un po' troppo sopravvalutato ( o sono io che non lo capisco, ovvio).

Christian ha detto...

Tendo a essere d'accordo con te: diciamo che ha esordito alla grande con "Amoresperros", ma poi è andato in calando, e i risultati dei suoi film non sono sempre pari alle sue ambizioni.