23 ottobre 2010

Tarda primavera (Yasujiro Ozu, 1949)

Tarda primavera (Banshun)
di Yasujiro Ozu – Giappone 1949
con Setsuko Hara, Chishu Ryu
****

Rivisto in DVD (registrato da "Fuori Orario"),
con Giovanni, Rachele e Paola.

Noriko ha da tempo raggiunto l'età in cui dovrebbe sposarsi, come le suggeriscono di fare con insistenza tanto le amiche quanto i parenti. Ma lei preferirebbe continuare a vivere con l'anziano padre, un professore universitario vedovo e solo, per accudirlo e stargli sempre vicina. Pur di convincerla a non sacrificare la propria vita per lui, il genitore fingerà di essere intenzionato a sua volta a risposarsi: ma non è altro che una sofferta bugia. Alla fine la ragazza accetterà un matrimonio combinato dalla zia, anche se non sapremo se sarà felice (d'altronde sullo schermo non vedremo mai nemmeno il marito). Il film, che personalmente considero il capolavoro di Ozu, contiene alcune fra le sequenze più belle di tutto il cinema del regista nipponico: quella della gita in bicicletta di Noriko e Hattori, il giovane assistente del padre, che lascia per un attimo immaginare allo spettatore (e anche al padre di Noriko) una qualche sorta di intesa romantica fra i due, immediatamente smentita dalla scena successiva in cui viene rivelato che Hattori è già fidanzato con un'altra; quella in cui padre e figlia si recano ad assistere a una rappresentazione di teatro No, un capolavoro di montaggio in cui la macchina da presa mostra alternativamente il palscoscenico e il pubblico, soffermandosi sulle reazioni di Noriko nello scorgere, fra la folla, la presunta futura moglie del padre; e il confronto finale fra i due personaggi nell'albergo di Kyoto, quando Noriko chiede per l'ultima volta al genitore di lasciarla rimanere con lui: c'è qui la famosissima sequenza – su cui i critici cinematografici hanno sparso fiumi di inchiostro – con l'immagine del vaso che intervalla due primi piani del volto di Setsuko Hara, dapprima sorridente e poi piangente. La mia personale interpretazione di questa enigmatica scena è simile a quella che Dario Tomasi avanza nel suo "castorino": si tratta di un inserto con cui Ozu, per pudicizia, ci nasconde il delicato momento in cui Noriko raggiunge finalmente l'accettazione del proprio destino. Il regista "distoglie lo sguardo" per un attimo, e come un maestro zen offre allo spettatore un vaso da riempire con le sue emozioni. E proprio il tema dell'accettazione – cosa ben diversa dalla semplice rassegnazione – è il vero fulcro del film (si veda anche la scena finale del padre che acquista improvvisamente la consapevolezza di essere rimasto da solo nella casa ormai vuota), insieme a quello del contrasto fra la ricerca della felicità personale e la fedeltà agli obblighi sociali (curiosamente in un melodramma occidentale si sarebbe identificata la prima con il matrimonio e la seconda col restare a casa, mentre qui è l'esatto contrario!), o fra tradizione e spirito democratico, "due realtà che il Giappone, sotto il controllo americano, sembra pensare antitetiche".

Con "Tarda primavera" inizia l'ultima fase della carriera di Ozu, contrassegnata da uno stile sempre più asciutto ed essenziale (ma non mancano alcune sorprese: proprio in questo film, per esempio, sono presenti alcuni carrelli, il più significativo dei quali è quello che segue i personaggi, di spalle, mentre escono dal teatro dove hanno assistito alla rappresentazione No), da un'ancora più costante attenzione al tema dei rapporti familiari, dalla collaborazione fissa con lo sceneggiatore Kogo Noda e dall'utilizzo di un ristretto nucleo di attori fra i quali spiccano proprio i due ottimi protagonisti di questo lungometraggio, Chishu Ryu e Setsuko Hara. Si tratta di elementi che avevano caratterizzato già la sua produzione precedente, ma che nei film del dopoguerra si "cristallizzano" e si purificano sempre di più, liberando le pellicole da ogni orpello e trasformandole in tanti piccoli tasselli di un unico discorso narrativo e stilistico. Lo stesso regista, accusato dai critici suoi contemporanei di essere rimasto legato ai linguaggi del passato (in quegli anni il Giappone stava cambiando alla velocità della luce dal punto di vista sociale ed economico, ma anche artistico: al cinema, per esempio, stava per arrivare la nuberu bagu di Oshima, Imamura e compagni), ha replicato spiegando che i suoi film degli anni cinquanta e sessanta vanno considerati come una serie di "variazioni sul tema", al pari dei dipinti di alcuni maestri dell'arte pittorica, tanti tentativi di mettere a fuoco lo stesso soggetto, avvicinandosi ogni volta di più all'obiettivo finale. Proprio sul canovaccio di "Tarda primavera", per esempio, Ozu realizzerà in seguito ben due pseudo-remake: "Tardo autunno" e "Il gusto del sakè" (che sarà fra l'altro il suo ultimo film, in cui Setsuko Hara – che qui interpreta la figlia – vestirà i panni dell'altra protagonista della storia, la madre).

In ogni caso, è ingeneroso accusare Ozu di rivolgere il suo sguardo esclusivamente al passato. Al contrario, i suoi film mostrano in maniera evidente e puntuale i cambiamenti in atto nella società giapponese: lo facevano già quelli degli anni trenta, e lo fanno a maggior ragione i lavori della maturità, sebbene sempre fra le righe e in maniera non gridata. Piccoli elementi (un cartello pubblicitario della Coca-Cola, un bar con l'insegna in caratteri occidentali, gli abiti o gli arredi moderni, le donne emancipate come l'amica divorziata di Noriko che lavora come dattilografa) ci fanno capire che non siamo più nel Giappone nazionalista di prima della guerra. Curiosamente, rispetto ai personaggi più anziani come il padre o il suo collega Onodera, proprio la giovane Noriko si dimostra più legata ai valori del passato: si dichiara – per sua stessa ammissione – molto "più all'antica" del padre, per esempio accusando (sia pure bonariamente) il professor Onodera di immoralità per aver osato risposarsi. Il suo sorriso perenne (tranne nelle scene in cui manifesta il proprio disappunto per la decisione del padre di prendere una nuova moglie) è il simbolo del ruolo sottomesso e servizievole della donna che storicamente ha caratterizzato il paese del Sol Levante. Persino per uscire dalla casa paterna e cominciare a vivere la propria vita, Noriko sceglie la strada del matrimonio combinato, un altro retaggio del Giappone feudale. Ma forse proprio le dure esperienze della guerra (cui si accenna brevemente in un dialogo) e quelle ancora più dure del dopoguerra spingevano tanti giovani giapponesi a nutrire un certo timore per i cambiamenti radicali, come quelli che le forze di occupazione stavano imponendo in quegli anni: esemplare il momento in cui Noriko chiede al padre se non è possibile lasciare per sempre le cose come stanno. Che non sia possibile, naturalmente, ce lo rivela l'ultimissima inquadratura della pellicola, quella con le onde del mare che si riversano sulla spiaggia: nulla è per sempre.

8 commenti:

Sailor Fede ha detto...

Ciao Tomobiki, scusa se il commento non è in tema con il post, però vorrei chiederti una recensione, se possibile: il coreano "My sassy girl" (ovviamente sottotitolato).
Personalmente ho trovato questa commedia molto simpatica e carina, però l'ho giudicato con occhi prettamente europei perché non conosco quasi per niente la cultura orientale. Una persona abituata a vedere film giapponesi cosa ne pensa?
Grazie,
ciaooooo!

Christian ha detto...

Ciao! "My sassy girl" l'avevo visto diversi anni fa alla sua uscita, quando non avevo ancora il blog, e anch'io lo avevo trovato simpatico e divertente. Il tema della ragazza un po' folle e dominatrice, che semina scompiglio nella vita di un ragazzo "normale", è tipico della cultura pop di Corea e Giappone degli ultimi decenni: basti pensare a cartoni animati come "Lamù" (che, incidentalmente, dà il nome al mio blog! ^^).

Probabilmente questa tendenza, che genera storie d'amore "sbilanciate" sul versante femminile (dove, cioè, il personaggio femminile è quello più dinamico e attivo) nasce proprio come reazione a una figura della donna sottomessa e passiva che invece caratterizza tradizionalmente la cultura dell'estremo oriente. E qui torno in topic e mi ricollego a "Tarda primavera": nel film di Ozu, un'esempio di questa nuova mentalità è dato da Aya, l'amica della protagonista, che non solo è divorziata ma ha un'atteggiamento molto libero e disinvolto nei confronti della vita, del lavoro, degli uomini e del matrimonio, se confrontata alla più tradizionale Noriko.

Tornando a "My sassy girl", aggiungo che proprio nel campo delle commedie il cinema coreano secondo me ha prodotto dei veri gioiellini, purtroppo poco noti in occidente rispetto ai film d'azione, ai thriller e agli horror. Non appena mi capiterà di rivederlo, sicuramente lo recensirò!

Marisa ha detto...

E' veramente un film molto bello e che apre a molte riflessioni (come hai giustamente abbozzato nel post) perchè dietro l'apparente miniminalità del soggetto, i temi in gioco sono profondi e collettivi, andando ben oltre il Giappone del dopoguerra.
Se da una parte il bisogno di cambiamento è sempre all'opera (sia nel privato rispetto alle fasi della vita, che in famiglia attraverso i conflitti generazionali e nel sociale attraverso i grandi cambiamenti che la storia impone), altrettanto forte è il bisogno di radicamento e conservazione, senza cui rischiamo di perdere la nostra identità.
Sintetizzo con una frase del premio Nobel 2000 per la medicina, Kandel: "Siamo ciò che siamo in virtù di ciò che abbiamo imparato e che ricordiamo"

Christian ha detto...

Fra l'altro lo scontro fra cambiamento e conservazione è un tema particolarmente frequentato nella cinematografia (e nell'arte in generale) giapponese o dell'estremo oriente. Forse meriterebbe di esserlo di più anche da noi.

Franco ha detto...

Un capolavaro di Ozu e del cinema giapponese in generale, secondo, in questo, solo a Tokyo story dello stesso Ozu

Christian ha detto...

D'accordo, anche se personalmente preferisco "Tarda primavera" a "Viaggio a Tokyo": ma sono due capolavori assoluti.

Alex ha detto...

Ozu mi ha regalato la più bella scena di un film, nella "history of floating weeds" (quello muto) quando la compagnia alla fine si scioglie e canta (Ozu rende benissimo la cosa pur coi limiti del film muto). Questo film l'ho apprezzato ma l'ho trovato la stessa (geniale) variazione sul tema delle tematiche che Ozu ha trattato.

Christian ha detto...

La scena di "Storie di erbe fluttuanti" che citi è molto bella, anche se a me ne ha ricordato una simile che è presente in un altro film muto di Ozu, "Il coro di Tokyo". In effetti il regista giapponese torna spesso sugli stessi temi e sulle medesime situazioni. I suoi film (che quasi sempre riutilizzano anche gli stessi attori o gli stessi collaboratori tecnici) sono piccoli tasselli di un unico discorso che si ripete e si perfeziona ogni volta di più. Il paragone con un pittore che dipinge più volte lo stesso soggetto non è fuori luogo.