18 settembre 2010

Ballata dell'odio e dell'amore (A. de la Iglesia, 2010)

Ballata dell'odio e dell'amore (Balada triste de trompeta)
di Álex de la Iglesia – Spagna 2010
con Carlos Areces, Antonio de la Torre
**

Visto al cinema Arcobaleno, in originale con sottotitoli
(rassegna di Venezia), con Martin, Marisa e Lucia.

Javier, "pagliaccio triste" in un circo, ama la bella acrobata Natalia, che però è innamorata del violento Sergio, il "pagliaccio allegro". Inizialmente timido e sottomesso, si adeguerà alla violenza e alla follia del rivale. L'inizio sembrava promettere bene: i primi minuti del film, ambientati durante la guerra civile spagnola, sono da antologia (il padre che combatte vestito da clown con il machete; o l'improvvisa apparizione di un leone alle spalle del fragile bambino, come per sottolinearne il feroce lato nascosto). E splendidi anche i titoli di testa, che mescolano esseri umani e "mostri", giocando con la storia ma anche con la cultura pop degli anni del Franchismo e non solo. Ma anziché fornire il giusto background al personaggio e rappresentare in seguito un punto di riferimento con cui confrontarsi, queste scene vengono "surclassate" in violenza e atrocità dal resto della pellicola, al punto che ci si ritrova persino a chiedersi quale fosse la loro ragione d'essere (il film avrebbe benissimo potuto cominciare già nel presente – in realtà siamo negli anni '70, alla fine della dittatura – e senza alcun preambolo). Pablo Larraín nel suo "Post mortem", altro film presentato in questa edizione del festival di Venezia, è stato ben più abile nell'utilizzare le tragedie collettive di un popolo come sfondo e contesto dal quale far sorgere quelle personali: de la Iglesia, invece, rinuncia subito agli spunti più interessanti per dar vita a un grottesco ed esagerato film horror dai toni sempre più pulp, come a voler seguire i suoi personaggi nella loro follia. Non a caso, i momenti migliori nella seconda parte – ma durano poco – sono quelli in cui il passato torna a fare capolino, nei panni del generale che aveva combattuto al fianco di Franco (e persino il dittatore mostra un lato umano). A non convincere del tutto è invece la vicenda principale, quella della lotta fra i due pagliacci, che si risolve in un bagno di sangue e culmina in una scena finale di grana grossa (la lotta sul monumento). Man mano che procede, e a ogni svolta narrativa, la pellicola perde un po' dell'appeal che si era conquistata con merito all'inizio, accumulando senza senso della misura sequenze sempre più farsesche ed eccessive, quando non semplicemente stupide (il motociclista che si schianta contro la croce). Che la pazzia e il masochismo dei personaggi siano una metafora della Spagna della dittatura? Sarebbe un'interpretazione un po' ardita, così come quella che vede nel contrasto fra orrore e ridicolo (cosa c'è di più spiazzante di un clown omicida?) l'unico modo per esorcizzare le atrocità commesse dagli esseri umani contro sé stessi. Il premio a Venezia come miglior regia, in fondo, ci può stare: lo stile non manca (e poi a guidare la giuria c'era Tarantino...). Quello alla sceneggiatura, che invece è il punto debole del film, decisamente no.

2 commenti:

Martin ha detto...

Tutto sommato sono d'accordo con le tue considerazioni ma alla fine a me lo stile De la Iglesia piace più che a te, anche nei momenti più grotteschi e insensati e quindi il film non mi ha deluso.
Anzi, tecnicamente è il suo film più maturo anche se già in Oxford Murders si erano già visti grossi passi avanti.
Per la stessa ragione prevedo che tu invece domani sarai entusiasta del nuovo Miike!
Si accettano scommesse ;-)

Christian ha detto...

Comunque, dopo un primo istante di rigetto, devo ammettere che ripensando al film nel suo insieme lo trovo più riuscito di quanto non mi fosse sembrato immediatamente al termine della visione.
Registicamente, come ho scritto, nulla da obiettare!

Su Miike, vedremo! ^^ Anche su di lui, comunque, a volte ho delle riserve...